La pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), avvenuta il 5 gennaio, per la realizzazione del deposito dei rifiuti radioattivi, che permetterà di conservare in via definitiva i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività, ha creato più dubbi che certezze.
Il deposito nazionale e il parco tecnologico saranno costruiti in un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al parco. Sono 67 i siti indicati, dislocati tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Dodici in particolare, tra le province di Torino, Alessandria e Viterbo, rispondono a pieni voti ai criteri stabiliti da Sogin (la società di Stato incaricata dello smantellamento nucleare). Nel deposito saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e parcheggiati temporaneamente quelli ad alta intensità. La costruzione durerà quattro anni e il costo stimato è di 900 milioni di euro.
Il deposito sarà strutturato all’interno di 90 costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, dove verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati. In un’apposita area del deposito, sarà realizzato un complesso di edifici idoneo allo stoccaggio di lungo periodo di circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività, che resteranno temporaneamente al deposito, per poi essere sistemati in un deposito geologico.
Il deposito nazionale però, così come è concepito, non piace a tutti. Le aree individuate sono il risultato di un complesso processo di selezione su scala nazionale svolto da Sogin in conformità ai criteri di localizzazione stabiliti dall’Isin, che ha permesso di scartare le aree che non soddisfacevano determinati requisiti di sicurezza per la tutela dell’uomo e dell’ambiente.
I primi a protestare sono stati proprio i Comuni chiamati in causa. Dalla pubblicazione hanno due mesi per dire la loro: 60 giorni per produrre delle osservazioni, nominare degli esperti, realizzare un dossier, fare delle controdeduzioni dal punto di vista geologico e antropico. Forse troppo poco per una disamina completa. «È una richiesta sconsiderata», spiega un funzionare comunale del grossetano (tra le zone indicate nella Carta nazionale). «Hanno impiegato anni prima di stilare una lista, e adesso, senza avvisarci minimamente, ci obbligano ad sottostare, nel giro di due mesi, a una pubblicazione improvvisa e pretenziosa» continua ancora.
Anche Stefano Scaramelli, vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana e Capogruppo di Italia Viva, non è in linea con la scelta del governo: «Follia anche solo pensare di individuare un sito di scorie radioattive e nucleari a Pienza. Pienza è un sito Unesco e con la Val d’Orcia sono Patrimonio dell’Umanità. Serve dire No e fermare tutto. Non si può accettare che venga commesso questo crimine ambientale contro il nostro territorio». Insomma, dal fronte dei sindaci l’idea più condivisa è quella di passare almeno da 60 a 120 giorni per elaborare le controdeduzioni.
Un’altra voce critica è quella che riguarda la questione antisismica. Giuseppina Occhionero, deputata di Italia viva, ha fatto notare al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che «sono state inserite nella lista di Sogin aree di elevato pregio artistico o con criticità sismiche, mentre territori che si erano proposti sono stati esclusi». La richiesta di Italia viva, inoltre, è quella di «fermare la procedura di consultazione e ritirare la pubblicazione della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee», al fine di avere più tempo per rivedere le decisioni in merito al sito di stoccaggio.
Delle 67 aree, poco meno della metà, 29, sono in area sismica 2. Un problema non da poco, stando all’ordine di idoneità di Sogin, che tra Viterbo, Potenza e Basilicata spinge i sindaci a opporsi. Poi ci sono contestazioni ai valori espressi dalla carta. La sindaca di Carmagnola (Torino) osserva per esempio che c’è un errore «nella classificazione sismica» e spiega che a un chilometro e mezzo di distanza dal terreno interessato sorge una centrale elettrica, considerato tra i parametri di esclusione.
In attesa di un deposito definitivo di superficie, però, le scorie prodotte in Italia si trovano in depositi temporanei, molti dei quali (progettati per essere operativi 50 anni) sono saturi, vecchi e richiedono periodici e costosi interventi di manutenzione. In questo caso a farsi sentire sono le associazioni ambientaliste. Secondo Greenpeace sarebbe stato più logico verificare un numero maggiore di scenari e varianti di realizzazione del Programma utilizzando i siti esistenti o parte di essi e applicare a queste opzioni una procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in modo da evidenziare i pro e i contro delle diverse soluzioni.
Mentre per Legambiente la soluzione coinvolge anche l’Europa: «È necessario che si attivi un vero percorso partecipato, che è mancato finora, per individuare l’area in cui realizzare un unico deposito nazionale, che ospiti esclusivamente le nostre scorie di bassa e media intensità, che continuiamo a produrre, mentre i rifiuti ad alta attività, lascito delle nostre centrali ormai spente grazie al referendum che vincemmo nel 1987, devono essere collocate in un deposito europeo» spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.
Detto questo, la Carta nazionale delle aree potenzialmente, dopo una prima fase di consultazione e un seminario nazionale, sarò revisionata dalla Sogin, che restringerà ancora di più la rosa dei siti, giungendo alla Cnai (Carta delle aree idonee). A quel punto inizieranno le negoziazioni con i territori, finché sarà scelto il sito del deposito.
Anche il tempo gioca un ruolo fondamentale: lo scorso novembre la Commissione Ue ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per la gestione dei rifiuti radioattivi. L’accusa è di non aver adottato un programma nazionale conforme ai requisiti previsti dalla direttiva del Consiglio europeo. Un cambio di rotta, onde evitare altre sanzioni, è quindi da considerare obbligatorio.