E così, nel gelo di stagione, torna di prepotenza il peggio della Prima e della Seconda Repubblica quando a un certo punto la situazione si incarta e nessuno sembra avere la chiave per risolvere il rebus di una crisi politica che scivola verso un altro governo.
Con il logoro copione delle trattative più o meno finte, le parole date e non mantenute, le telefonate – o le call– che non partoriscono nulla, ognuno che fa due parti in commedia in una sarabanda felliniana con relativa triste marcetta in sottofondo.
I personaggi cercano un autore che razionalizzi un testo sbrindellato e senza senso, un Beckett minore e più ostico alle orecchie di cittadini che hanno ben altro per la testa, ora che le incertezze sui colori delle Regioni, sui vaccini e sulla riapertura delle scuole si intrecciano in modo crudele con il nuovo aumento dei decessi, 649 italiani che se ne sono andati – ma non avevano detto che le nuove regole funzionavano?
Ed ecco che l’inasprirsi della ferocia del Covid potrebbe persino giocare un ruolo – per quanto macabro questo possa apparire – nel senso di giocare contro l’apertura della crisi di governo.
Quello che è certo è che hanno preso a muoversi ambienti politici, come nei momenti meno limpidi della storia parlamentare, drappelli di onorevoli, personaggi sciolti, formazione di quattro persone (Cambiamo di Giovanni Toti) che danno non si capisce bene quale «disponibilità» per strani governi «di salute pubblica» – mai formula fu meno azzeccata, in una situazione come questa.
Il Presidente del Consiglio è pronto a mollare su tutto, compresa la famigerata delega sui servizi segreti, pur di non infilarsi nel tunnel della crisi formale, mentre improvvisati maestri di politica gli consigliano di andare in Parlamento e mostrare a Matteo Renzi di avere i voti – c’è il tocco mazariniano di Travaglio in queste genialate – ma il leader di Italia Viva, cui non pare vero di aver conquistato il centro del ring e che gode nel giocare a Risiko, farà di tutto per costringere Conte a rassegnare le dimissioni: e poi si vede.
Potrebbe anche gettare sul tavolo il nome dell’ex presidente della Consulta Marta Cartabia, addirittura con Mario Draghi super–ministro dell’Economia. Tanto per far capire che se le cose stanno così, qui la vicenda potrebbe trascinarsi più a lungo del previsto.
E non a caso la quarta bozza del Piano per il Recovery Fund slitta e con essa la fatidica riunione del Consiglio dei ministri mentre il classico del rimpastone tiene banco e ora si parla di un nuovo ministero per il Recovery fund per Andrea Orlando, con conseguente irritazione di Dario Franceschini che si vedrebbe soffiato il ruolo di capodelegazione del Pd ma siamo alle indiscrezioni tipiche dei momenti in cui la qualità della lotta politica si abbassa sotto il livello del mare.
Persino i politici sembrano disamorati da una contesa che ormai sfugge di mano e rotola per conto suo senza che nessuno prenda in mano la situazione.
Il Quirinale non ha in questa fase molto da dire, la parola è ai partiti. Conte, come detto, si muove a tentoni cercando di salvare un governo che ormai è in punto di morte; il Pd tratta e aspetta che sia il premier che Renzi si facciano male – «se la vedano loro» – ma si sta stufando anche lui, se è vero com’è vero che persino un ministro dem nelle chiacchiere ha auspicato le urne come male minore.
Questa Befana dunque è come il momento di attesa che precede l’entrata in scena dei duellanti, solo che qui non siamo nel racconto di Conrad, e nessuno chiederà all’altro di fare pace. Mentre l’Italia è sempre più stanca, e non capisce cosa sta succedendo sul palcoscenico della Terza Repubblica.