Verso la fine, ma senza strappiConte lotta per restare a Palazzo Chigi, ma è sempre più esposto alle critiche

Il presidente del Consiglio è disposto a qualunque cosa pur di rimanere a Palazzo Chigi. Anche a diventare un ostaggio politico di Matteo Renzi, il quale più di tanto non si spinge. Il Pd dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Di Maio, invece, è assente

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Qualunque cosa pur di restare a Palazzo Chigi: e questo è Giuseppe Conte. Più di tanto non posso spingermi: e questo è Matteo Renzi. In mezzo c’è il neo-doroteismo del Pd: cambiare passo ma senza strappi. La crisi politica innescata dal senatore fiorentino sul Piano italiano per il NextGenerationEu sul Meccanismo europeo di stabilità e sul controllo dei servizi segreti sembra chiudersi con un accordone che comprenderà anche la squadra di governo.
Un accordone che porterà alla quarta versione del Piano accogliendo molte richieste di Italia viva, e con due bombe: la scomparsa della famigerata cabina di regia e l’affondamento della discussa Fondazione per la cybersicurezza. Erano due pilastri della costruzione del contismo di potere che non piacevano nemmeno al Pd. Fine, kaputt. Su questo vince Renzi, come anche sui fondi per la sanità che Roberto Gualtieri ha accettato di aumentare.

Però poi bisogna capire come si fanno le cose. Per esempio, si apre la crisi formale oppure no? Conte la teme e vorrebbe chiudere tutto alla Giulio Andreotti, qualche ritocco alla compagine, qualche concessione di merito e via.

Renzi invece vuole portare la crisi al Quirinale, tenere il Presidente del Consiglio nel mirino, costringerlo a un terzo governo in meno di tre anni, record forse mondiale, certamente italiano (in 50 anni – ha fatto notare il giurista Francesco Clementi – solo Andreotti e Berlusconi guidarono più di due governi, ma nel corso di anni e anni).

E pare che anche il Quirinale vuole che si passi dalla Vetrata per le dimissioni, consultazioni lampo, reincarico a Conte e formazione del nuovo governo in pochissimo tempo, una crisi pilotatissima, nella quale però come nei gialli di Agatha Christie nessuno si fida di nessuno. Anche in queste ore, ci si parla ma con fatica, non sarebbe strano se si azionassero i registratori: il clima è torbido.

Al di là dei labirintici percorsi che la crisi prenderà, la morale della favola sembra appunto quella di una coalizione che fatica a parlare la stessa lingua e nella quale ciascuno lavora molto per sé e poco o nulla per gli altri. È questa l’escrescenza più fastidiosa di una fase dominata dall’egoismo delle forze politiche e dai conseguenti giochetti per conquistare le casematte più avanzate dalle quali meglio muovere l’offensiva. Renzi, maestro di questa permanente guerra di posizione, ha messo in moto una specie di domino che contagia anche gli altri partiti: ed è tutto un tatticismo a chi riesce a fregare l’altro.

Il Pd ha scelto, dal suo punto di vista con successo, una tattica più sottile di quello che sembrerebbe a prima vista: non riuscendo a ottenere quel cambio di passo invocato da mesi, il Nazareno ha in un certo momento avallato, o comunque non ostacolato, la protesta renziana contro gli errori di Conte, dando all’ex segretario l’impressione di poter condurre assieme una iniziativa per una discontinuità reale, a partire dal cambio del presidente del Consiglio. Poi invece ha scelto di arroccarsi a difesa di Conte in cambio di una disponibilità a modificare il Piano per il NextGenerationEu e a mollare la presa sui servizi segreti. Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte, uno Renzi e uno a Conte. Molta tattica, con il crisma di una forza tranquilla che però non incide sulla situazione, al massimo la sfrutta.
E pazienza se al tavolo da gioco dovrà rimetterci qualche ministra: è singolare che a fare le spese del rimpastone dovrebbero essere donne – a quanto si dice – Luciana Lamorgese e Paola De Micheli, forse Lucia Azzolina, forse Nunzia Catalfo. Ma tanto per Conte vale tutto.
Conte, appunto. Se riuscirà a salvare le penne potrà dirsi soddisfatto. Anche se la figura a cui assomiglierà sempre di più sarà quella di San Sebastiano trafitto dalle lance, un presidente del Consiglio esposto in via permanente a tutte le critiche (ed effettivamente ogni giorno ne dà motivo, pensiamo ai pasticci su scuola e vaccini), una specie di ostaggio di Renzi e/o di Zingaretti – Di Maio continua a essere missing – insomma un presidente del Consiglio che resta in piedi con l’attaccatutto del potere e dell’emergenza, punto di incontro di un accordo politico che tutto sarà tranne che una tregua autentica, piuttosto sarà come una fitta coltre di nebbia sulla grande pianura della politica.

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