La pandemia è un problema che riguarda tutti, ma avere a gestirla un governo come quello di Giuseppe Conte è un problema solo nostro. Lo illustra l’ultimo libro del sociologo Luca Ricolfi, “La notte delle ninfee. Come si malgoverna un’epidemia” (La Nave di Teseo), riassunto delle mancanze, degli errori e delle colpe dell’esecutivo degli ultimi mesi. Non solo frutto di impreparazione, ma anche di condizionamenti esteriori (qui considerati quasi un’attenuante) e di impostazioni ideologiche. La parte più grave
Come nella storia del lago che si riempie di ninfee, classico esempio per spiegare ai più giovani il fenomeno della crescita esponenziale, la pigrizia con cui si è affrontata la crescita dei casi è stata decisiva.
In breve si è perso il controllo della situazione (nella metafora: il lago era ormai pieno di ninfee) e anche l’attività dei pescatori (leggi: l’economia) era compromessa. «Perché la legge fondamentale dell’epidemia è una sola: se vuoi fare qualcosa, più tardi lo fai più costerà caro a tutto», scrive Ricolfi. Il governo ha ritardato a intervenire «con la prima ondata e ancor più con la seconda», ha tergiversato a lungo prima di decidere «e quando ha deciso ha ancora a lungo atteso prima di varare le misure più efficaci».
Non è una cosa da poco: il ritardo ci è costato carissimo. Decine di migliaia di morti non necessarie, prima di tutto. E poi «ci ha regalato la seconda ondata». Perché, sostiene Ricolfi, quest’ultima non è un evento ineluttabile, come in tanti credono «con un misto di fatalismo e ingenuità». Era un fenomeno prevedibile (lui, e lo dice senza orgoglio, la ha prevista) e soprattutto evitabile.
Già, perché il governo italiano paga una serie di debolezze. Tra le molte che elenca c’è la subalternità alle organizzazioni come l’Oms (che sui tamponi agli asintomatici e sulle mascherine ha commesso errori gravissimi), che potrebbe sembrare una attenuante ma, in realtà, è un’aggravante. Per pigrizia, sciatteria ma soprattutto convenienza l’Italia ha preferito ignorare gli appelli di scienziati ed esperti, che chiedevano per esempio di utilizzare un modello di risposta di carattere asiatico (con più controlli, frontiere chiuse, tracciamenti, quarantene rigide) ha rinunciato a qualsiasi analisi scientifica propria e si è accodata all’esempio degli altri.
In modo opportunista, certo, perché non si può nemmeno dire che «il modello di risposta italiano sia quello tipico europeo – già di per sé poco efficiente», bensì «ne è una degenerazione». Tanto decantato durante l’estate (la stessa estate in cui non ci si preparava per la seconda ondata) si riduce in realtà a un insieme di prudenze e alibi, calati in uno schema d’azione sempre più evidente con il passare delle settimane. Questo: «più poteri > attesa & rassicurazione > terrorismo > lockdown > riapertura».
Sono le operazioni messe in atto da un esecutivo incerto, che prima prova a minimizzare (quando invece avrebbe dovuto mettere in atto misure di controllo), poi passa all’improvviso al terrore (con i bollettini quotidiani su morti e contagi), mette in atto un lockdown duro (il più pesante di tutti, per durata e intensità, tranne forse per la Spagna) e infine, con molta lentezza, riapre. Quando in realtà non c’erano ancora le condizioni per farlo.
Ma, si sa, gli inganni dati dalla bella stagione e le preoccupazioni per il turismo hanno portato a mettere in campo comunicazioni «iperottimistiche», una operazione di «autolode e rassicurazione» che ha fatto abbassare la guardia. Quando già a giugno, i dati lo dicevano, i contagi avevano cominciato la risalita.
In una intervista il sociologo ha definito i componenti dell’esecutivo «struzzi e incapaci». Un ritratto in due parole: «struzzi» perché, come aveva detto il professore ed ex presidente del Consiglio Mario Monti, la classe politica italiana da tempo ha rinunciato a mettere in campo strategie per il lungo periodo.
Si è basata soltanto sul consenso, e soprattutto sul consenso sul breve, sull’istante. Un navigare a vista nutrito di sondaggi e indici di ascolto. Inevitabile che questa patologia, che ha subito contagiato anche un novello rappresentante come Giuseppe Conte, non influenzasse le decisioni sulla pandemia.
«Incapaci», invece, lo spiega con una risposta del «tipo Angela Merkel». La Cancelliera tedesca viene ricordata nel volume per il suo approccio serio, onesto e soprattutto scientifico al problema. Tutto questo è mancato in Italia, soprattutto, è mancato un gruppo di esperti con conoscenze minime per comprendere l’aritmetica della pandemia.
Quello che si delinea, insomma, è il ritratto di un Paese in mano al pensiero magico o, peggio ancora, a una classe politica che non se ne sa distaccare. Che si nutre di retorica e che ha già individuato il Graal della salvezza nel vaccino, che già gode di una «ansia messianica». Ma questo, a differenza della seconda e terza ondata, ormai appare inevitabile. «Avvolgerà tutto e tutti e quasi niente cambierà davvero».