Note umanistiche sulla pandemiaNon vi dirò quello che mi ha tolto, ma quello che mi ha dato

A suo tempo abbiamo preso dai padri il testimone della vita, e tenendolo saldo abbiamo corso, visionari, coraggiosi e fiduciosi. E ora ecco che a nostra volta consegniamo la nostra testimonianza ai figli dei nostri figli: un testimone, universale, umanistico e armonioso che ha un nome grande: dignità dell’uomo

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Dinanzi ai passati comuni pericoli, nella stagione delle nostre pene, penso, ricordo; mi guardo indietro, mi sento un po’ come un naufrago che, uscito dal pericolo, si volge verso il passato incerto dove ha incontrato così vago dolore; però in esso vedo anche il bene che vi ho trovato, ed è quello che oggi per me è più importante, perché, ispirato dalla bella anima di Pavel Florenskij, volgo gli occhi in alto e in avanti, verso il cielo e verso il futuro, e di nuovo penso a un orizzonte di rinascita fatto di ideali senza tempo, un domani fondato sulla dignità della persona umana, radioso per opportunità, con pensieri geniali, con visioni coraggiose e profetiche, con azioni sagge, quasi un nuovo mondo, un mondo dove la fratellanza dei popoli non sarà più un’espressione, ma una cosa tangibile e quotidiana.

Nei giorni della pandemia il mio cuore ha palpitato più forte e più sensibile, e l’animo, preso dal timore e dalla speranza al tempo stesso, mi ha ispirato sentimenti e parole; scrissi in quei giorni alcune lettere, come un diario da fratello a fratello, lettere rivolte a ogni persona umana. La lettera di primavera parlava di rondini, e di naviganti: la pandemia era iniziata da poco, era marzo, e si sentiva lo smarrimento ma anche la fiducia verso i nostri governanti e verso le persone che, medici o infermieri, diventavano custodi premurosi delle nostre persone. Un mese dopo, quando sembrava che la parte più incerta della pandemia, in un’alternanza aleatoria, stesse per terminare, parlai, con una nuova lettera, del tempo nuovo; consideravo  una crisi che non era strutturale ma contingente; pensavo al tempo delle nuove opportunità, della crescita economica che sarebbe seguita, dei cambiamenti che avremmo accettato con fiducia e coraggio, e nelle limitazioni presenti mi dedicavo a restituire alle cose belle il loro valore; percepivo nuovamente nella loro sacralità la famiglia, le tradizioni, le cose quotidiane come il pane o l’acqua. Ancora dopo pensai al domani, alla mia discendenza, e scrissi una lettera ai nipoti: ho sempre amato parlare ai bambini; volevo che un giorno sapessero che quando ci trovammo nelle difficoltà non voltammo la testa né rinunciammo, ma, con gli occhi diritti verso il futuro, seguitammo a tenere saldo il timone della dignità umana. Esortai i miei amatissimi nipoti a essere amabili, frugali, sinceri, solleciti verso il prossimo, solerti e creativi. E dicevo loro: «Il creato e tutto quello che ne fa parte deve essere sempre amato e custodito».

E proprio al Creato pensai con intelletto nuovo in quei giorni, quando erano tornati ancora a essere difficili; da sempre ho percepito il creato come il nostro paterno custode, ma ora sembrava che questo padre, dai rami del quale per millenni cogliemmo i frutti più dorati che generosamente ci donava, fosse lui ora ad aver bisogno di noi, quasi cercasse il nostro aiuto; e ci parlava con la sua voce silenziosa e forte, quella delle foreste, dei ghiacciai, dei fiumi e dei mari sofferenti; e ricordando allora i grandi pensatori, da Platone ad Aristotele fino agli illuministi Hobbes e Locke, e infine Rousseau, sognai come un nuovo contratto sociale con il Creato, desiderai che sorgesse l’alba di un patto inclusivo, non limitato alle persone umane, ma esteso al Creato con tutto quello che ne fa parte. Mi piaceva pensare che se armonia significa connessione, proporzione, accordo, tale armonia era alla nostra portata con un simile grande patto, e su tale tema scrissi un’ulteriore lettera, pensando al domani, al continuato volgere dei cambiamenti. Se pensiamo alla relazione tra ieri, oggi e domani, vediamo la storia dell’uomo come divisa tra un passato ricco di umanesimo, un presente troppo spesso immemore dei valori, e un futuro che li vedrà nuovamente forti nel segno della dignità umana. Giambattista Vico, seppe gettare lo sguardo oltre le convenzioni, e ci ha lasciato, con la sua preveggenza geniale, il grande dono, l’idea dei Corsi e Ricorsi della storia; e secoli dopo di lui un’altra grande mente inconsueta, quella di Nietzsche, parlò di Eterno Ritorno.

Tra il xv e il xvi secolo Cina e India, con la loro economia mercantile, rappresentavano forse il cinquanta per cento del Pil del mondo, e dall’altra parte del pianeta, da Marco Polo nel Medioevo, alle grandi banche come il Monte dei Paschi di Siena, alla famiglia de’ Medici, l’Occidente era un possente mediatore culturale, con l’Italia in prima fila; tutti allora guardavano a noi con stima e apprezzamento, alla nostra arte, alla nostra scienza, alla nostra sapienza economica, creativa e vitale. Però poi le cose cambiarono: attorno agli anni Cinquanta dello scorso secolo Cina e India non rappresentavano che il dieci per cento del Pil dei popoli; e sono cambiate ancora perché oggi tali due nobili nazioni hanno ripreso a crescere, laboriose come api, ferme nelle loro grandi tradizioni, amorose della loro millenaria cultura, profetiche nella loro attualità di fermento creativo che ogni giorno è nuovo. Così anche l’Occidente torna a vivere dei suoi geni, e l’Italia, fra i sette grandi Paesi economici del mondo, può ancora essere orgogliosa di sé, della sua abilità manifatturiera, benevolmente accolta, espressa in così tanti settori produttivi: nella moda, nell’arredamento, nella cucina, ma anche nella produzione del vino, e addirittura nella produzione di acciaio di alta qualità; una manifattura che ha ereditato dall’artigianato le attitudini umanistiche tramandate di padre in figlio e la dignità che permette sempre il contatto diretto e naturale tra artefice e prodotto artificiato, vi trasferisce qualcosa del suo animo, e con la sua regola garantisce durata, proporzione, temperanza, bellezza.

Così imprevedibili nella creazione, anticonvenzionali, sentiamo in Italia il bisogno di lasciar cadere nell’ombra ogni semplice quotidianità e avvertiamo il bisogno di una grande e nuova visione per il futuro; proprio per questo vedo con chiarezza tre grandi temi per il domani: la tecnologia, che i nostri giovani, con il loro bravi cuori, sapranno, ne sono certo, includere armonicamente con l’umanesimo; il ritorno alla riparazione e al riutilizzo, e anche qui i giovani saranno protagonisti, perché lasceranno per sempre la cultura dello scarto e del consumo che, non sempre bella, abbiamo seguito forse un  po’ troppo negli ultimi tempi. Come terzo tema mi piace immaginare che proprio noi italiani, legittimati dalla storia e dalla nostra connaturata vocazione, osiamo, con qualche timore, con gentilezza, proporci al mondo ancora una volta quali mediatori culturali, fiduciosi di essere accolti con benevolenza, portatori di una cultura umanistica proficua e inclusiva.

Oggi è il tempo della speranza e della fiducia nel domani radioso, un domani dove tutti e ciascuno, se lo vorranno, potranno vivere nei luoghi natii, e nessuno sarà costretto a guardare con tristezza la patria abbandonata; ognuno potrà vivere nei luoghi dove un’economia saggia porta a un duraturo e diffuso equilibrio tra profitto e dono, dove la sacralità del lavoro si armonizza con il benessere, e penso a William Morris, che connetteva nel lavoro arte, benessere e ricchezza e sognava un lavoro piacevole da fare, onorevole, nei luoghi belli, le case pulite e sane, le città piene di verde, a contatto con la bellezza che genera a sua volta la grazia di tutti i prodotti realizzati senza causare danno al creato.

Noi, siamo come dei naviganti, e abbiamo bisogno che la nostra barca sia leggera, che il mare sia gentile, il vento a favore; scrutiamo costantemente l’orizzonte, che rappresenta il futuro, pensando ai giovani, che ne saranno protagonisti; a loro guardiamo, cercando la speranza e il perdono; essi si confronteranno con i grandi temi della tecnologia, e sapranno utilizzare ogni utilità dell’intelligenza artificiale come ancella dell’intelligenza umana; a loro oggi chiediamo le idee geniali, i nuovi lavori che per noi sono inimmaginabili.

A suo tempo abbiamo preso dai padri il testimone della vita, e tenendolo saldo abbiamo corso, visionari, coraggiosi e fiduciosi; e ora ecco che a nostra volta consegniamo la nostra testimonianza ai figli dei nostri figli: un testimone, universale, umanistico e armonioso, che ha un nome grande: dignità dell’uomo.


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