Sardegna renaissanceL’isola laboratorio di chef locali: da dove ripartono le trattorie moderne

Nell’attesa che i turisti tornino a ripopolare coste e spiagge, nelle cucine chef e brigate hanno iniziato a fare ricerca e sperimentare nuovi piatti, facendo appello alle materie prime locali, alle tradizioni e alle influenze innovative

Stanno prendendo tempo per fare ricerca, proporre modelli alternativi di ristorazione ma soprattutto, non hanno mai smesso di cucinare. Se è vero che da alcune catastrofi nascono opportunità, la Sardegna privata dai turisti, è oggi, culinariamente, un laboratorio in seno al Mediterraneo che sarà da tenere d’occhio per il prossimo futuro. I locali hanno lavorato a capienza ridotta, ma alcuni decisi a sperimentare nuove idee, grazie a una geografia che offre grandi spazi, il clima mite che anche in pieno inverno rende godibili a pranzo i tavolini – distanziati – al sole, e alla possibilità di reperire ingredienti di superba qualità: vedi alla voce carciofi, ortaggio territoriale re di questa stagione.

Se servisse una prova per credere che con l’energia di un progetto si sfida anche una pandemia, bisognerebbe guardare al lavoro che il giovane Dario Torabi sta facendo a Cagliari con il suo Old Friend Bistrot, un concetto nato per omaggio alle bettole d’avanguardia e alla gioia di chi sa scoprirle. Lo scorso autunno, lo chef 32enne ha lasciato il suo primo mini-locale, e si è trasferito in uno spazio più grande, in via Abba, al centro città. In carta solo vini naturali, il suo menù dà spazio ad accostamenti inusuali, prediligendo soprattutto le verdure, che i cagliaritani comprano al mercato e cucinano a casa, ma poco vengono elevate nei ristoranti: salamelle, erbe amare, cardoncelli, friggitelli. Un suo piatto di questo inverno: baccalà, ristretto di pollo, paté di fegatini, funghi. Ama le frattaglie, ed è interessante il suo lavoro di come si abbracciano qui mare e campagna. I piatti hanno nomi punk e il servizio, è deliziosamente hipster con un oste, Matteo Atzori, che riempie i calici di vini arancioni e spende due parole sul vino, con ogni tavolo.

A Cagliari c’è anche Alessio Signorino, chef indigeno al cento per cento (è nato nello storico quartiere di Castello) ma ha girato parecchio, da Cracco a Perdomo, dal Geranium a Enoteca Pinchiorri, per poi tornare in Sardegna e dare vita a un proprio menu. Ha fatto parlare di sé all’Osteria Moderna, in città, e ora è approdato sulla terrazza sul mare del Calamosca. Qui sta introducendo alcuni suoi piatti (il  risotto cacio e pepe, zucca, sgombro e semi di zucca) lavorando sulla ricerca di materie prime.

Concetto genuino è il progetto di Armidda, trattoria sarda, dedicato ad aggiungere vita e lucentezza a certi sapori della cucina tradizionale. Lo chef Roberto Serra che ha temporaneamente chiuso il suo Su Cardoleu per rinnovare locali e cucina, ha trovato una casa a pochissimi chilometri. Ad Abbasanta, in uno snodo tradizionalmente di sosta per chi viaggia sulla strada principale sarda 131 (subregione della Sardegna chiamata Guilcer), propone quel che il suo territorio ha da offrire con un taglio moderno. Sa budda prena, gallina ripiena, piatto povero di questa parte d’Isola, il ragù tagliato al coltello, “su pane con ou”, uovo, sugo e il pane del giorno prima. Nobile la sua ricerca sul pane, viaggia tra i paesi del circondario, Ghilarza, Norbello, Soddì, e propone sulla sua tavola i panifici locali che sfornano pistoccu, crivazzu e su cocoi, ad accompagnare i piatti. Menu degustazione a pranzo, con prezzi delicati. Lo chef lavora con carni solo locali e un approccio sostenibile su tagli, qui assaggerete la manzetta di Abbasanta: letteralmente a chilometro zero.

A Mamoiada ha appena aperto Mauro Ladu, un progetto coraggioso di cucina innovativa in terra di Barbagia. Ladu ha lavorato con lo chef Cristiano Andreini a Mosca, nell’avventura del ristorante che si trovava all’interno del Hotel National sulla Piazza Rossa, per poi approdare nel laboratorio di Cucina Eat a Cagliari. La sua Abbamele osteria che prende il nome da una prelibatezza della Sardegna rurale, il decotto di miele, è il primo progetto di questo genere di cucina a Mamoiada, paese dell’entroterra e vetrina di cantine, turismo e trattorie tipiche. Ladu scommette sulla rivisitazione di ricette antiche, dalla pecora in cappotto, all’ovu frattau alla polenta con purpuzza – la carne di maiale utilizzata per le salsicce – e pecorino.

Bisognerà attendere la primavera per il ritorno del progetto di Salvatore Camedda, Somu, all’interno del Club Hotel a Baja Sardinia, tra i pochissimi chef sardi che lavorano nella Costa Smeralda. Originario di San Vero Milis, territorio ai piedi del Montiferru e non troppo distante dal mare della costa Ovest e dal suo ingrediente principe: bottarga. Camedda lavora il garum di cefalo, la ricciola servita con brodo di rafano e aneto o il suo risotto al Casizolu, formaggio e presidio Slow Food, ottenuto dalle vacche del bue rosso, allevate allo stato brado. Segnate gli indirizzi: l’Isola riparte con nuovo spirito, sarà presto tempo di tornare a sedersi al ristorante affamati di chi ha fatto ricerca, a sostenere tenacia e creatività.