Pubblicato originariamente sullo European data journalism network
La decarbonizzazione del settore degli edifici è una questione cruciale per l’Unione europea. Un anno fa la Commissione europea punta a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 riducendo le proprie emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Gli edifici rappresentano il 36% delle emissioni dell’UE e il 40% del suo consumo energetico. Queste cifre riflettono lo scarso isolamento di tre quarti degli edifici residenziali e degli uffici europei, e anche il fatto che l’energia utilizzata per riscaldarli dipende ancora in larga misura dai combustibili fossili, principalmente gas ma anche olio combustibile.
Per raggiungere gli obiettivi climatici fissati nel Green Deal dell’UE, la Commissione vuole lanciare una “ondata di rinnovamento“per gli edifici, il cui orientamento principale è stato presentato questo autunno. I tagli alle emissioni previsti nel settore residenziale-terziario sono almeno del 60 per cento entro il 2030 rispetto alla situazione 2015. Tradotto: raddoppiare il tasso di ristrutturazione annuale (attualmente l’1 per cento). La Commissione insiste sulla necessità di ristrutturazioni «profonde» (che generino un risparmio energetico di almeno il 60 per cento), il cui livello attuale è decisamente troppo basso (stimato allo 0,2 per cento dello stock totale, all’anno), e anche sulla sostituzione dei combustibili fossili da energie rinnovabili (elettricità verde e biomasse).
Poiché la Francia è molto indietro rispetto ai propri obiettivi di emissioni degli edifici (ora sostituiti dai più ambiziosi obiettivi europei), il suo Alto Consiglio per il clima (HCC) ha recentemente pubblicato un rapporto che analizza la situazione francese rispetto a quella di altri quattro paesi europei: Germania, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. Intitolato “Renovating Better: Lessons from Europe“, questo studio comparativo mostra che raggiungere le emissioni zero di CO2 nel settore edile non è un’utopia. È diventato quasi realtà in un paese, la Svezia, almeno per quanto riguarda l’edilizia abitativa. E sebbene gli altri paesi siano molto indietro, alcuni stanno ottenendo risultati migliori di altri, riflettendo politiche più proattive ed efficaci.
Prima di intraprendere l’ondata di rinnovamento chiesta dalla Commissione, i paesi dell’Unione europea dovrebbero guardare cosa funziona e cosa no, e imparare dai loro vicini. I pochi grafici che seguono sul settore dell’edilizia abitativa, che rappresenta circa i tre quarti della superficie interna riscaldata in Europa, sono abbastanza indicativi.
Negli ultimi dieci anni circa, le emissioni di CO2 delle abitazioni svedesi sono scese quasi a zero. Ci sono diversi motivi per questo successo. Innanzitutto, va notato che all’indomani del primo shock petrolifero degli anni ’70, la Svezia, particolarmente esposta date le sue condizioni climatiche, ha adottato standard di costruzione molto più esigenti che altrove in Europa (un livello che la Francia ha istituito solo nel 2012). Tanto che due decenni dopo, con il progredire della costruzione delle case, la performance del patrimonio immobiliare svedese era già ben al di sopra della media europea.
Successivamente la Scezia ha adottato un’elevata carbon tax, che ha escluso i combustibili fossili, a favore sia dell’elettricità che, soprattutto, delle reti di riscaldamento urbano ora alimentate principalmente a legna. Questa tassa, introdotta nel 1991, ammontava a 40 euro per tonnellata di CO2 nel 1996 (un livello paragonabile a quello della Francia odierna, 46 euro), è salita a 100 euro nel 2004 e ora è di 125 euro. Da qui il mix energetico di oggi per il riscaldamento delle case svedesi, dove le fonti fossili sono diventate del tutto marginali, a differenza di altri paesi dell’Unione.
Le differenze osservate negli altri paesi (18 kg di CO2 all’anno e per metro quadrato di abitazioni in Francia rispetto ai 26 kg in Germania dopo la correzione climatica) riflettono anche più o meno mix energetici a base di carbonio. In Francia, il legno e l’elettricità forniscono rispettivamente il 32 e l’11 per cento del fabbisogno di riscaldamento delle abitazioni, rispetto al 6 e al 2 per cento della Germania. Al contrario, il gas e l’olio combustibile rappresentano il 37 e il 15 per cento in Francia, rispetto al 52 e al 28 per cento in Germania.
In Francia e nei Paesi Bassi gli alloggi hanno lo stesso livello di emissioni di carbonio, mentre nei Paesi Bassi la quota di combustibili fossili è molto più alta. Gas, olio combustibile e carbone rappresentano l’86% del consumo di calore in Olanda, rispetto al 53% in Francia. La spiegazione è che le abitazioni nei Paesi Bassi sono molto meglio isolate. Il consumo medio di energia olandese è ora di circa 100 kWh per metro quadrato all’anno, rispetto ai 160 in Francia (dopo la correzione del clima). La Svezia è molto più avanti rispetto alla concorrenza, con quasi 60 kWh per metro quadrato all’anno.
Grazie a questo livello di efficienza energetica, la Svezia è riuscita ad abbandonare l’uso dei combustibili fossili nel settore dell’edilizia abitativa. Al contrario, nonostante un mix ad alta intensità di carbonio molto meno che nei Paesi Bassi, in Germania o nel Regno Unito, la Francia mostra risultati molto medi in termini di emissioni perché il suo patrimonio immobiliare è il più ad alta intensità energetica.
Sebbene i rigidi inverni nell’Europa settentrionale siano un incentivo più forte a isolare le case rispetto al sud, dato l’impatto significativo sulle bollette energetiche domestiche, il rapporto HCC rileva che la Svezia e i Paesi Bassi hanno ancora prezzi dell’energia più elevati della Francia per gas, gasolio da riscaldamento ed elettricità. Spiega: «Da un lato, questi prezzi più alti aumentano l’incentivo per una migliore prestazione energetica in questi paesi. D’altro canto, è perché le abitazioni sono più efficienti dal punto di vista energetico che le famiglie possono sopportare tasse energetiche più elevate». Questo circolo virtuoso è difficile da innescare: quando l’efficienza energetica delle proprie case non migliora a sufficienza, le famiglie, a cominciare dalle più modeste, non sono propense ad accettare tasse più elevate sui combustibili fossili, anche se ciò accelererebbe il passaggio al carbonio.
Da qui la necessità di rafforzare gli investimenti pubblici nella ristrutturazione termica delle abitazioni per sostenere gli investimenti privati delle famiglie. La priorità dovrebbe andare ai più poveri e l’obiettivo dovrebbe essere un rinnovamento profondo, come raccomandato dalla Commissione Europea.
Per incoraggiare i lavori di ristrutturazione riducendo al minimo l’impatto sul bilancio, Francia e Regno Unito fanno molto affidamento sui meccanismi obbligatori per i fornitori di energia (certificati di risparmio energetico in Francia od obblighi delle società energetiche nel Regno Unito), ma qui i costi vengono infine trasferiti alle famiglie. Inoltre, i lavori di ristrutturazione tendono a essere suddivisi in molteplici iniziative non sempre coerenti tra loro e questo spesso porta a scarsi risultati.
La Germania, da parte sua, è favorevole a una politica di prestiti per ristrutturazioni vantaggiosa e altamente condizionata. La banca pubblica KfW impone una consulenza tecnica obbligatoria alle famiglie che prendono in prestito e il contributo al credito è legato allo svolgimento del lavoro svolto. E laddove l’eco-prestito francese senza interessi è limitato a 30.000 euro rimborsabili in 15 anni, la KfW offre un prestito fino a 120.000 euro rimborsabile in 30 anni.
Il consumo energetico delle case tedesche è inferiore a quello francese, ma comunque ben al di sopra della media europea. Ciò suggerisce che semplici incentivi non sono sufficienti, anche se accompagnati da un sistema di supporto intelligente e criteri esigenti, come in Germania. Allo stesso modo, l’esempio francese e britannico mostrano che un sistema di obblighi non è molto produttivo se è scarsamente progettato.
In Francia, la Citizen’s Climate Convention – un esperimento che ha interessato l’intera Europa – ha concluso che ci deve essere l’obbligo di rinnovare gli alloggi in modo efficiente, a partire da quelli più energivori, e che deve essere fornito supporto tecnico e finanziario alle famiglie, con una buona dose di sussidio per i più poveri. Questa azione alla fine avrà un effetto non solo sulle emissioni, ma anche sull’occupazione e sulla salute pubblica, con la fine di quelle abitazioni cosiddette “setacci termici”. In ogni caso, gli europei non taglieranno le emissioni dei loro edifici del 60% in dieci anni senza inasprire i loro standard sia nei nuovi che nei vecchi edifici, senza mettere una buona quantità di denaro pubblico sul tavolo per far rispettare gli standard e senza una seria revisione delle loro tasse sul carbonio. La Svezia ha aperto la strada.