Mosca. La libertà di Mikhail Gorbaciov è durata poco. Uscito vivo da quattro giorni di prigionia nelle mani dei golpisti, il fondatore della perestrojka si ritrova prigioniero del parlamento russo, nelle mani di Boris Eltsin e dei suoi deputati: libero di muoversi, di parlare, di tornare al Cremlino, se vuole, ma politicamente sotto custodia, sottoposto al volere e persino alle umiliazioni dei suoi interlocutori.
Era andato nella Casa Bianca sulla Moscova, come i cittadini chiamano il parlamento della Russia, per rendere omaggio ai legislatori della più grande repubblica dell’Urss, e soprattutto al loro presidente, Boris Eltsin, che con una eroica resistenza hanno dato un contributo decisivo al fallimento del golpe.
Era pronto a promettere una nuova, maggiore cooperazione con le forze democratiche, a riconoscerne l’accresciuto potere; e forse sperava di ricevere in cambio un po’ di applausi e di calore, come vittima di un complotto che ha fatto tremare l’Urss.
Ma così non è. Per un’ora e mezzo, in piedi davanti a un microfono, sudando sotto i riflettori delle telecamere che riprendono in diretta il suo intervento, Gorbaciov è costretto suo malgrado a indossare i panni scomodi dell’imputato di fronte ai giudici, sempre più impazienti col passare dei minuti, sempre meno disposti ad ascoltarlo e a giustificarlo, quasi ansiosi di strappargli una confessione, di incapacità se non di colpevolezza.
Gli rimproverano di sentirsi ancora un socialista, di non considerare «fuori legge» il Partito comunista, di avere scelto lui, uno dopo l’altro, gli uomini che lo hanno tradito organizzando il golpe, e di avere ritardato le riforme per la sua ansia di cercare sempre un generale consenso. In pratica lo condannano per essere un leader che crede nella moderazione e nella mediazione come strumenti per uscire pacificamente dalla dittatura.
Comandato a bacchetta da Eltsin come uno scolaretto, interrotto continuamente dai deputati che gli siedono di fronte, contestato e irriso da un’aula che oggi si considera probabilmente con qualche ragione il vero centro di potere di tutto il paese, il presidente sovietico soffre un trattamento ancora più scioccante quando lascia il parlamento: una folla di duemila persone, i partigiani della resistenza ai golpisti, blocca per mezz’ora il suo corteo di limousine, lo fischia lungamente, gridando «Gorbaciov, il sangue dei nostri morti è sulle tue mani», «Gorbaciov, il tuo posto è sul banco degli accusati».
E alla fine solo un cordone di trenta guardie armate di kalashnikov gli ha permesso di rientrare al Cremlino. È insomma un processo quello a cui assistiamo nell’aula del Soviet Supremo russo: uno spettacolo di severa forza da una parte e di sconcertante debolezza dall’altra.
Si capisce subito che per lui le cose non si mettono bene. Quando entra sul palco della presidenza, insieme a Eltsin, lo accoglie un gelido silenzio. Pietosamente, Eltsin dà il via a un applauso, ma il battimani dura una manciata di secondi.
Un applauso ben diverso scoppia quando Gorbaciov, preso il microfono, ringrazia il parlamento russo, «e in particolare il presidente della Russia, Boris Nikolaevich Eltsin», per avere vinto la sfida con i golpisti: i deputati balzano in piedi all’unisono, per due minuti battono le mani entusiasticamente, in una bolgia da stadio. Quel che è successo dopo, merita di essere riferito quasi stenograficamente, appunto come nei dibattiti processuali.
Gorbaciov: «…sei anni di perestrojka, di riforme, hanno profondamente cambiato il paese…»
Voce dall’aula: «Vai avanti, questo lo sappiamo da un pezzo!»
Gorbaciov: «…il popolo non ha accettato il golpe, le Forze Armate non erano disposte a schierarsi contro il popolo e le riforme…»
Una voce: «Basta, vai al sodo!»
Un’altra: «Cosa dici, non è vero!»
Un’altra ancora: «Passa al concreto, dacci le notizie!»
Gorbaciov (visibilmente irritato): «Ma cosa volete, che vi ripeta tutto quel che ho detto ieri alla conferenza stampa? O non l’avete ascoltata?»
Mormorii di disapprovazione, fischi.
Eltsin (dal microfono al tavolo della presidenza): «Compagni, per favore, silenzio».
Gorbaciov: «E va bene, se volete notizie, eccole». E comunica le decisioni prese al mattino, nella riunione con Eltsin e i leader di altre otto repubbliche sovietiche: le nomine di tre nuovi ministri, quello della Difesa, degli Interni e il capo del Kgb, tutti progressisti, tutti graditi a Eltsin.
L’aula applaude. «Sto ancora raccogliendo informazioni su quel che è successo nei giorni del complotto, ma posso dire che sicuramente almeno due membri del governo non mi hanno tradito, il ministro della Cultura Gubenko, che si è schierato contro…»
Voce dall’aula: «Balle!»
Gorbaciov (rivolto al deputato che ha parlato): «Perché?
In un primo momento ha taciuto, ma poi ha pur dato le dimissioni per protesta…»
Voce: «Tardi, troppo tardi!»
Altra voce: «Vergogna!»
Gorbaciov: «…comunque, l’altro rimastomi fedele è il vice primo ministro Sherbakov, che…»
Scoppia un putiferio: «No, no, balle, non è vero, ha tradito, è come gli altri, sono tutti golpisti!» in un coro di urla e schiamazzi. Eltsin si alza in piedi, va accanto al podio da cui parla Gorbaciov, gli mette sotto gli occhi un foglio, gira il microfono verso di sé e dice all’aula: «Questo è un resoconto stenografi co della seduta del Consiglio dei ministri del 20 agosto, da cui risulta che tutti sono complici o non si sono opposti al golpe». Poi torna a sedersi al suo posto. Gorbaciov: «Ma io, veramente, non l’ho ancora letto…»
Eltsin: «Lo legga».
Gorbaciov: «Ma Primakov (il suo consigliere economico, ndr) mi ha detto che…»
Eltsin (spazientito e ad alta voce): «Mikhail Sergeevich, mi faccia il piacere di leggere quel documento, ora, qui».
Gorbaciov (confuso, imbarazzato): «…Sì, no, adesso lo leggo, prima voglio finire il discorso che stavo facendo». Racconta di avere ricevuto al Cremlino il ministro degli Esteri Bessmertnykh, si dice convinto che non abbia condannato abbastanza apertamente il golpe e per questo gli ha chiesto di dimettersi. Applausi.
Un grido: «Shevardnadze, riprendi Shevardnadze!»
Altre grida: «No, Shevardnadze ce lo teniamo noi! Troppo comodo! Dovevi pensarci prima!»
Una voce: «Il documento, leggilo, lo leggi o no?»
Gorbaciov: «Aspettate, voglio dire un’altra cosa. Voglio dire che i golpisti ci volevano annientare, schiacciare, e per questo devono essere puniti, ma in base alla legge. Dobbiamo essere tutti responsabili, equilibrati, non dare il via a una caccia alle streghe…»
L’aula esplode, urla, fischi, non si sente più niente.
Eltsin: «Buoni, compagni, buoni».
Gorbaciov (esasperato): «Per favore! Per favore! Non dimenticate che avete davanti a voi un essere umano. La mia situazione non è semplice. Io dico quello che penso, tutto qui, cosa volete di più?!»
Il presidente continua: «Ricordate che il più grande pericolo, il più grande regalo che possiamo fare ai conservatori, ai reazionari, è dividere le forze democratiche…»
Una voce: «Già sentita!».
Un’altra: «Roba vecchia!»
Una terza: «In galera i reazionari! E non avremo più paura di niente!»
Gorbaciov (incredulo, esitante): «Vabbè, ora passo a leggere il documento che mi ha dato Boris Nikolaevich…»
Voci: «Era ora! Finalmente!» Il presidente legge il resoconto stenografico della riunione del Consiglio dei ministri. Risulta che i membri del suo governo, messi di fronte alla destituzione di Gorbaciov e allo stato d’emergenza proclamato dai golpisti, accettano uno dopo l’altro il fatto compiuto, qualcuno esprimendo riserve, qualche altro dicendo che deve rifletterci un po’ sopra o che non si sente di dire subito né sì, né no.
La platea esplode. «Vergogna! Gliela faremo pagare! Vigliacchi!»
Gorbaciov appare un po’ rinfrancato, sta al gioco, commenta a gesti e parole le reazioni dei ministri che lo hanno tradito: «Che ne dite di questo? Più golpista che no, non vi pare?» Per un altro, che si dice «un po’ incerto», agita la mano nel segno di «così, così».
Ma poi arriva a Gubenko, il ministro della Cultura, che dallo stenografico appare favorevole al golpe.
Voci: «Hai visto? Ha tradito anche lui!»
Gorbaciov: «Sì, ma poi si è dimesso…»
La lettura arriva al nome di Sherbakov, il vice primo ministro, che avrebbe detto di non voler prendere ancora posizione sul golpe.
Voci sovrapposte: «Bel fetente! E tu dicevi che era da salvare? Agli arresti, in galera!»
Gorbaciov (rassegnato): «Sì, penso che il giusto approccio siano le dimissioni dell’intero governo e del resto su questo sembravamo d’accordo stamattina con Boris Nikolaevich…»
Finalmente un applauso.
Gorbaciov (incoraggiato): «Passando a un altro tema, voglio dire che i decreti firmati dal presidente della Russia, Boris Eltsin, nei giorni della mia prigionia, avevano piena legalità. Adesso dobbiamo cambiare tutto, ci vuole un nuovo governo di coalizione sostenuto da tutte le repubbliche sovietiche, bisogna riorganizzare le forze democratiche, lavorare insieme…»
Eltsin (interrompendolo): «A proposito, compagni, che ne dite se io firmo un altro decreto per fare cessare le attività della Federazione russa del Partito comunista (la più conservatrice all’interno del Pcus, apparentemente implicata nel golpe, ndr)?»
Lungo, entusiastico applauso.
Eltsin: «Il decreto è approvato per acclamazione».
Gorbaciov (facendo segno di no con la mano): «Penso che, che, che… Non capisco cosa state facendo. Spetterebbe al Soviet Supremo, no, cioè, certo io rispetto Boris Nikolaevich, ma, un momento, non si può certo dire che l’intera Federazione russa del partito è coinvolta nel golpe, sono milioni di persone, milioni di operai e contadini, tra loro ci sono molti sinceri democratici, ve lo assicuro, non si può negare, proibire le attività del Pc russo sarebbe un errore…»
Eltsin: «Allora diciamo che l’attività è sospesa, in attesa che la magistratura stabilisca le responsabilità».
Gorbaciov: «Ah, allora, in questo caso…»
Poi cominciano le domande. Un deputato: «Lei crede o no nel socialismo?»
Gorbaciov: «Bisogna chiedersi cos’è il socialismo, è un’ideale che in una società pluralista ha diritto di esistere, non vi pare? Altrimenti torniamo ai metodi del passato».
Secondo deputato: «Lei è favorevole o contrario a di chiarare illegale il Pcus, che è uno degli artefici del golpe? Risponda chiaramente, sì o no?»
Gorbaciov: «Non bisogna farsi prendere dall’isteria anti-comunista, compagni. Se il partito accetterà, come io sono convinto, il programma di rinnovamento da me presentato, diventerà una forza democratica, come siamo tutti noi qui dentro».
Fischi, proteste, urla.
Terzo deputato: «Mikhail Sergeevich, si rende conto che d’ora in avanti è lei ad avere bisogno di noi, non siamo noi ad avere bisogno di lei? Lo capisce? Avanti, risponda!»
Gorbaciov (con un filo di voce): «Io veramente credo che abbiamo bisogno gli uni degli altri, è anche una lezione del golpe…»
Quarto deputato: «Chi sarà il primo ministro? E il nuovo vicepresidente?».
Gorbaciov: «Il primo ministro, direi, deve provenire dalla leadership della Russia. Il vostro primo ministro Silaev mi pare un eccellente candidato. Il vicepresidente forse dovrebbe venire dalle nostre repubbliche asiatiche».
Qualche timido applauso.
Le domande, e il supplizio di Gorbaciov, proseguono.
Eltsin interviene per proporre che il vicepresidente della Russia, il colonnello Rutskoj, sia promosso generale: «Lei è d’accordo, Mikhail Sergeevich?»
Gorbaciov: «Certo, certamente, ben fatto».
Eltsin: «Bene, compagni, da un’ora e mezzo il presidente del nostro paese è in piedi a parlarci. Mi pare ora di lasciarlo ai suoi impegni. Lo ringrazio anche a nome vostro». Poi accenna un battimano, i deputati lo imitano di malavoglia e Eltsin accompagna Gorbaciov alla porta.
Il processo è finito. Stanco, affranto, l’ideatore della perestrojka si trascina verso l’uscita, come un prigioniero che sognava da un pezzo di tornare in libertà.
da “La fine dell’impero. Ultimo viaggio in Urss”, di Enrico Franceschini, Baldini + Castoldi, 2021, pp. 308, euro euro 18.00