Il senso di strapotere globale totale di Jack Dorsey e dei suoi deve aver raggiunto il picco ieri dopo pranzo, ora californiana (ma lui era in Polinesia, sempre perché può). Quando Twitter, dopo pressioni interne ed esterne, ha sospeso definitivamente l’account del presidente degli Stati Uniti. Ed è stato come tagliare i capelli a un Sansone imbolsito e bisognoso di Tso.
Il Sansone, che il giorno prima aveva letto un comunicato non-golpista con faccia da ostaggio, ieri mattina ha ripreso a twittare cose discutibili ed è stato licenziato. Ha provato a twittare dall’account ufficiale della Casa Bianca ma l’hanno cancellato anche lì, e intanto Apple e Google hanno rimosso l’app di Parler, il social network dei trumpiani sediziosi.
La notizia ha fatto un’enorme impressione, soprattutto su Twitter. Ha messo in secondo piano la richiesta dei democratici più qualche repubblicano di avviare un nuovo impeachment, la minaccia di Lisa Murkowski dell’Alaska di lasciare il partito repubblicano se Trump non si dimette, le pressioni di Nancy Pelosi sul Pentagono perché vengano usate «tutte le precauzioni disponibili» per evitare che Trump usi i codici nucleari o anche solo bombardi qualcuno alla vecchia maniera.
I collaboratori presidenziali sono ora divisi tra chi scappa (ultima la sua amatissima assistente Hope Hicks) e chi probabilmente prende appunti per la miniserie in otto puntate sugli ultimi giorni di Trump. Per i figli è complicato. Perché «la puzza di Trump» è impossibile da eliminare, ora, scrive la trumpologa di Vanity Fair Emily Jane Fox. E i tre maggiori, Don jr, Ivanka ed Eric si sono rotolati fino all’ultimo nel trumpismo. Mercoledì, al raduno prima dell’assalto al Campidoglio, Don junior aveva motivato la piazza gridando «you can be a hero or you can be a zero»; Eric e la moglie Lara hanno ripetuto «non smettete di combattere», poi sono tornati a Manhattan scortatissimi. Ivanka ha twittato il suo sostegno agli «American Patriots», poi ha cancellato il tweet.
Tutti e tre più il babbo si possono ammirare in un video girato durante l’attacco a Camera e Senato. Don jr. ha le solite pupille dilatate, la fidanzata Kimberly Guilfoyle balla, Donald senior e Ivanka guardano con soddisfazione i manifestanti in tv.
Comunque, Ivanka fa sapere ai media che è sempre lei a convincere il padre a non esagerare e a leggere comunicati quasi moderati, e che è in continuo contatto con Capitol Hill. Mentre Melania, la moglie del presidente, mercoledì era occupata a far fotografare gli arredi della Casa Bianca. E non dice niente, anche perché la sua capa di gabinetto e la sua social secretary si sono dimesse (ma qualche addetta stampa racconta ai giornalisti che in questi giorni i due parlano moltissimo, al telefono).
L’ex chief of staff John Kelly invoca il 25esimo emendamento per rimuovere il presidente che ha servito. Il senatore conservatorissimo Ben Sasse del Nebraska – ora detto il Romney giovane – considera pubblicamente l’impeachment. Poi ci sono Murkowski, Romney e i moderati del Senato che non vedono l’ora di liberarsi di Trump.
Forse non succederà, ma il braccio alzato di Hawley per incoraggiare i dimostranti, e l’email di Cruz per chiedere soldi mandata ai sostenitori durante l’assalto resteranno nella storia del post-trumpismo. Che è appena iniziato.
Il 19 gennaio è prevista una nuova calata su Washington, nei post online degli organizzatori si invita a venire armati. Per il 17 i Bugaloo Bois pensano a un «secondary attack» a Capitol Hill e in altri campidogli, Michigan, Pennsylvania, eccetera. Il 20 dovrebbe esserci la Million Militia March, per rovinare l’insediamento di Joe Biden e Kamala Harris, o peggio. Trump non ci sarà, dovrebbe partire per Palm Beach il giorno prima.