Problemi di campoLa guerra della Turchia contro WhatsApp

A febbraio l’app di messaggistica condividererà con Facebook un maggior numero di informazioni per inviare agli utenti annunci mirati. Per questo motivo l’Antitrust turco ha aperto una indagine e il governo di Ankara ha suggerito ai cittadini di scaricare BiP, sviluppata dalla Turkcell, che però non offre gli stessi standard di protezione

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A inizio gennaio gli utenti di WhatsApp hanno dovuto accettare i nuovi Termini e condizioni imposti dalla famosa applicazione di messaggistica per poter continuare a mantenere attivo il proprio account. WhatsApp, a partire dall’8 febbraio, potrà infatti condividere con Facebook un maggior numero di informazioni per inviare agli utenti annunci pubblicitari mirati. 

L’aggiornamento ha fatto molto discutere a causa della sua obbligatorietà: l’utente infatti non può rifiutarsi di accettare le nuove condizioni, pena la cancellazione dell’account dopo 120 giorni dall’entrata in vigore dei Termini appena introdotti. I cambiamenti però interesseranno meno gli utenti europei, dato che le modifiche alla Privacy policy sono valide solo per gli account business e non per quelli standard. Tale eccezione è stata possibile grazie all’intervento del Garante per la privacy Ue e sulla base di precedenti accordi raggiunti con l’Unione sull’uso dei dati degli utenti europei. 

La decisione di WhatsApp di aggiornare i Termini di servizio e l’eccezione europea non sono però piaciute al presidente turco Recep Taiyyp Erdogan, già ai ferri corti con le piattaforme straniere. Pochi giorni dopo la comparsa degli avvisi, l’Antitrust turco ha infatti aperto un’indagine nei confronti di WhatsApp in relazione al trattamento dei dati e alla loro condivisione con Facebook a fini pubblicitari e commerciali. L’Agenzia dovrà adesso valutare se i nuovi Termini violano la legge sulla competizione turca, introdotta per impedire che poche aziende possano avere una posizione predominante sul mercato turco. 

Nel breve periodo WhatsApp rischia di incorrere in una multa di due milioni di lire turche (circa 240 mila euro), ma in futuro l’Antitrust potrebbe arrivare a bloccare l’accesso alla piattaforma, se non ci saranno cambiamenti sui Termini d’uso sulla base delle richieste turche. 

La reazione di Ankara
Ali Taha Koç, responsabile dell’ufficio per la Trasformazione digitale della presidenza, è stato tra i primi a commentare la mossa di WhatsApp e a criticare l’esenzione concessa agli utenti europei.  «La distinzione tra gli Stati membri dell’Ue e gli altri in termini di privacy è inaccettabile. Come avevamo scritto nelle Linee guida per la Sicurezza nell’informazione e nella comunicazione, l’uso di applicazioni straniere comporta dei rischi per la privacy». 

Koç però non si è limitato a una semplice critica: il funzionario ha anche proposto agli utenti turchi una soluzione al problema. «Dobbiamo proteggere i nostri dati usando software locali e nazionali da sviluppare sulla base delle nostre esigenze. Non dimentichiamoci che i dati turchi possono restare in Turchia grazie alle soluzioni nazionali e locali». Il suggerimento di Koç, quindi, è di passare all’app turca di messaggistica BiP sviluppata da Turkcell, società controllata dal Fondo sovrano di Ankara. 

L’app, che conta già 53 milioni di utenti, è stata scaricata da altre 5,4 milioni di persone pochi giorni dopo le parole di Koç, facendo salire anche il valore della compagnia Turkcell. A dare inizio all’esodo da WhatsApp – celebrato su Twitter con l’hashtag #WhatsAppSiliyoruz (Stiamo cancellando WhatsApp) – è stato l’ufficio stampa del presidente Erdogan, che ha invitato i turchi a opporsi al «fascismo digitale» delle compagnie straniere. La migrazione dell’Ufficio da WhatsApp a BiP ha costretto anche i giornalisti ad aprire un account sull’app turca, contribuendo indirettamente al successo del servizio di messaggistica locale. 

I dubbi sulla sicurezza
Il passaggio all’app turca BiP, però, non è privo di rischi: il servizio di messaggistica locale non offre gli stessi standard di protezione dei dati e delle informazioni scambiate tra gli utenti che erano invece garantiti da WhatsApp. L’app turca infatti non utilizza la crittografia end-to-end, un sistema di comunicazione cifrata nel quale solo le persone che stanno comunicando possono leggere i rispettivi messaggi, e che è alla base del successo delle app di Mark Zuckerberg. 

Eppure BiP è una tra le poche piattaforme su cui gli utenti turchi possono migrare senza incorrere in problemi con le autorità. Come spiegato dal sito di news al Monitor, dopo il fallito colpo di stato del 2016 diverse persone sono state arrestate per aver attivato un account su «app di messaggistica clandestine» presumibilmente utilizzate da alcuni utenti per organizzare il golpe. Aderire quindi a un servizio sponsorizzato dallo stesso Governo sembra essere l’unica alternativa possibile a WhatsApp. 

La fuga dalla famosa app di una parte delle autorità turche e dello stesso presidente è solo l’ultimo capitolo di una lotta contro i social media stranieri portata avanti da Erdogan ormai da diverso tempo. A luglio 2020, il Parlamento ha infatti approvato una legge che impone alle piattaforme straniere di aprire degli uffici in Turchia e di nominare un cittadino turco come loro rappresentante legale. Le compagnie che rifiutano di adeguarsi alle richieste turche subiranno una riduzione della banda fino al 90 percento e potranno incorrere in multe che vanno dagli 1 ai 10 milioni di lire turche (ossia di 146mila a oltre 1 milione e 461mila dollari). A oggi, YouTube, TikTok, VKontakte e Dailymotion hanno accettato di soddisfare le richieste della Turchia, mentre altre compagnie non hanno ancora fornito alcuna risposta alle autorità. 

L’esodo da WhatsApp e l’aumento degli utenti su BiP non è una buona notizia per i Big Tech, ma nemmeno per la privacy dei cittadini turchi e per la libertà di comunicazione. 

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