Certezze imprenditorialiI nuovi punti di riferimento dei cittadini sono le aziende

Secondo l’edizione 2021 dell’Edelman Trust Barometer, nel mondo si aggrava la crisi di fiducia nelle istituzioni e nei media. Mentre cresce quella riposta nelle imprese grazie alla maggiore attenzione con cui sono stati trattati temi come la sostenibilità, la collettività e l’etica

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«Un’epidemia di disinformazione». È con questo titolo che il Time ha sintetizzato i risultati dell’ultima edizione dell’Edelman Trust Barometer, lo studio che viene pubblicato ogni anno dalla società internazionale di pubbliche relazioni e comunicazione. Quest’anno realizzato attraverso oltre 33.000 sondaggi online condotti in 28 paesi tra ottobre e novembre dello scorso anno. Si tratta di una sintesi difficilmente migliorabile poiché la realtà dei dati ci racconta un inarrestabile processo di costante erosione della quota di fiducia che l’opinione pubblica ripone nelle istituzioni sociali, cioè governo, organizzazioni non governative (ONG) e media.

Dunque, nell’anno della pandemia e della protesta globale contro l’ingiustizia razziale, eventi dinamicamente complessi per la cui gestione serve una fortissima coesione culturale e sociale, si registra invece un aumento del livello di sfiducia nei confronti di ciò che dicono i leader politici e di quel che riportano i giornalisti. Categorie che vivono un livello di delegittimazione tale per cui oggi per avere informazioni accurate la maggior parte delle persone preferisce affidarsi principalmente ai propri datori di lavoro. Cioè ci fidiamo più delle aziende che del governo e dei media. E questo a livello globale.

Per fare un esempio che rappresenti la ripercussione nel mondo reale di questa crisi di fiducia planetaria nelle istituzioni, basti pensare che solo una persona su tre si è detta pronta alla vaccinazione immediata. Eppure, siccome viviamo tutti in un’era che ci pone di fronte a importanti questioni che debbono essere affrontate con estrema urgenza, dovremmo essere un pubblico bene informato e quindi in grado di fare scelte consapevoli e non basate su approssimazione, teorie cospirazioniste di qualsivoglia genere e grado o, peggio, su paure indotte.

In un’ottica futura non posso che convenire con il pensiero di Richard Edelman, presidente e Ceo della società che ha realizzato questo studio, quando afferma che «ogni istituzione deve fare la sua parte nel riportare i fatti al loro legittimo posto al centro del discorso pubblico come passo essenziale per uscire dal fallimento dell’informazione». Ma nello stesso tempo devo anche sottolineare quello che sostengo da molto tempo a questa parte, e cioè che le aziende, e quindi il loro management, sono chiamati sempre più a giocare responsabilmente il ruolo decisivo nella costruzione di quel clima di fiducia sociale che le persone si aspettano per affrontare il futuro.

La conferma della fiducia riposta nei capi azienda, qui da noi in Italia, la si capisce anche da un altro dato che emerge dall’indagine: l’89% teme la perdita del lavoro, a fronte del 71% che teme di contrarre il virus. Dunque, l’economia è il nostro primo argomento in uno scenario che vede le due superpotenze, Cina e America, perdere rispettivamente il 18% e il 5% di fiducia. Ma il mondo del business non solo è il settore che attrae più fiducia, quanto è l’unico che con il 61% a livello globale, gode di “trust”. Come c’è riuscito? Secondo il report grazie alla maggiore attenzione con cui sono stati trattati temi essenziali quali la sostenibilità, la collettività e l’etica. 

Tuttavia, per quanto a mio parere sia un ottimo inizio, è solo un inizio al quale occorre dare un seguito molto consistente pervadendo tutti gli ambiti della nostra vita dove il bisogno di tornare a un sistema di valori condiviso si avverte in modo inequivocabile. Per questo, mentre aspettiamo che il mondo della politica e quello dell’informazione si adeguino convertendosi a questa necessità di rinnovarsi nelle forme e nei messaggi, dobbiamo ripensare alla responsabilità che in tal senso le aziende del nostro presente si ritrovano a dover gestire. 

È necessario quindi che sappiano cogliere l’importanza del loro compito storico che richiede loro di essere in grado di agire nella società civile come un modello di cambiamento virtuoso, diffondendo con il loro operato una nuova etica fatta anche di pratiche e idee che promuovano quello che possiamo definire come lo sviluppo degli esseri umani e dell’insieme di cui tutti facciamo parte, e che sarà premiato dalla gratitudine. Le aziende più lungimiranti si stanno già impegnando a dare un nuovo approccio “coopetitivo” al business. La concorrenza di mercato deve diventare sinonimo di crescita dell’insieme costituito da tutta la società.

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