Che fine hanno fatto i test fai-da-te per il Covid? Mentre nel Regno Unito il primo ministro britannico Boris Johnson considera i test rapidi una componente cruciale nella lotta contro il coronavirus e saranno utilizzati in case di cura, aziende, scuole e università e richiederanno solo dieci minuti per l’elaborazione, in America l’approvazione normativa necessaria per immetterli in commercio tarda ad arrivare.
I test rapidi, come spiega un articolo di Axios, potrebbero dare un contributo vitale per arginare la pandemia e intensificare una sorveglianza costante della malattia. Tuttavia, i “vecchi” metodi di diagnostica stanno frenando la commercializzazione dei kit.
L’amministrazione Biden ha presentato un piano da 1,6 miliardi di dollari per accelerare la campagna di tamponi nelle scuole e in altri ambienti, per rafforzare le catene di approvvigionamento per i materiali dei test e migliorare la sorveglianza del sequenziamento genetico.
«Non abbiamo ancora abbastanza test, e non abbiamo abbastanza test nei luoghi in cui invece ci devono essere», ha detto Carole Johnson, coordinatrice dei test per la Casa Bianca. Il numero di test effettuati ogni giorno negli Stati Uniti è diminuito di circa il 30% rispetto al picco di un mese fa. Gli Stati Uniti hanno effettuato circa 340 milioni di test in totale, poco più di uno a persona in quasi un anno di emergenza sanitaria. Gli esperti hanno indicato come principale causa di questo calo il minor numero di casi di Covid-19. Ma per i sostenitori dei test rapidi, il calo indica anche alcuni problemi presenti sia nella strategia attuate per il monitoraggio dei casi, sia nel tipo di test adottati.
I tamponi molecolari (o Pcr) sono i più utilizzati in quanto altamente accurati. Il metodo di esecuzione implica però alle persone di recarsi presso gli ospedali (esponendoli così a un rischio di contagio), oltre al fatto che sono i test più laboriosi da analizzare. La logistica e i costi di produzione e di esecuzione di grandi quantità di test PCR rendono inoltre difficile lo screening costante della popolazione, ovvero tutto il contrario di quello che un test rapido (o a domicilio) garantirebbe.
Negli Stati Uniti, la società Innova, con sede a Pasadena, in California, produce test per il Covid-19 che costano meno di 5 dollari e funzionano con la facilità di un test di gravidanza, producendo risultati in 15-30 minuti. Per mesi Innova ha inviato milioni di questi test nel Regno Unito, dove sono stati utilizzati come parte del programma di monitoraggio di massa del primo ministro Boris Johnson. Il Ceo di Innova, Daniel Elliott, afferma ad Axios che la società può attualmente realizzare 15 milioni di kit di test al giorno, con piani di espansione a 50 milioni al giorno entro l’estate.
Ma il test rapido di Innova – che è stato presentato per la prima volta alla Fda (Food and Drug Administration) per l’approvazione in agosto – non ha ancora ricevuto l’autorizzazione per l’uso di emergenza necessaria per l’ampia distribuzione. Innova non è la sola, e lo stallo americano coinvolge altri test rapidi, come quello sviluppato da Gauss e Cellex che utilizza uno smartphone per interpretare i risultati.
«Siamo abituati a considerare i test come se dovessero essere tutti allo stesso livello di quelli di laboratorio, e non c’è molta fiducia in un invenzione così ampia e che sia utile per scopi diversi», continua Elliott. I test rapidi, che si basano su una specifica proteina virale chiamata antigene, sono effettivamente meno accurati dei molecolari. Uno studio di Innova ha rilevato che il suo test ha identificato correttamente il 78,8 per cento dei casi in un gruppo di 198 campioni: un tasso decisamente inferiore agli standard dei Pcr di laboratorio, che può causare più falsi positivi e negativi.
Ma i sostenitori dei test rapidi affermano che i test sono particolarmente utili per identificare le persone che si trovano nello stato contagioso della loro malattia. Questo, combinato con la capacità di testare un gran numero di persone, li rende uno «strumento di salute pubblica per sopprimere i focolai», svela Michael Mina, un epidemiologo della Harvard.
Dello stesso parere sono anche alcuni funzionari della Fda: «Consideriamo i test domestici una priorità assoluta», ha detto di recente a The Hill Jeffrey Shuren, un alto funzionario dell’ente governativo statunitense. «E se le società riporteranno i dati che ne ufficializzano l’efficacia, noi siamo porti ad autorizzarli».
La Fda ha recentemente concesso un “Emergency Use Authorization” (autorizzazione all’uso di emergenza) a un test rapido prodotto da Ellume, che ha riportato risultati estremamente accurati, sebbene abbia un prezzo potenziale di almeno 30 dollari.
Dal Regno Unito, dove i test rapidi sono più diffusi, arrivano anche le prime raccomandazioni. Il timore è che le persone possano leggere erroneamente i test, approssimando ulteriormente la loro accuratezza e interpretando erroneamente i risultati. Dall’altro fronte, invece, fanno l’esempio dei test di gravidanza: ai tempi della loro immissione sul mercato aleggiavano gli stessi dubbi, ma fino ad oggi si sono rilevati uno strumento efficace e innovativo.
In Italia invece a fare da apripista è stato il Veneto. Il presidente della Regione, Luca Zaia, è tornato sull’argomento qualche giorno fa, assicurando che «il test fai-da-te non significa deregulation». Anzi, «il fai-da-te ci permette fare uno screening che mai riusciremmo a fare», ha puntualizzato Zaia. Il governatore ha inoltre presentato la scorsa settimana la validazione del test a Roma, in particolare per quanto riguarda il loro utilizzo all’entrata di teatri, cinema e ristoranti. Nel frattempo, anche nel resto di Italia, sugli scaffali delle farmacie, è possibile trovare i kit per scoprire a casa se si è contratto o meno il virus. Si tratta di test sierologici qualitativi e non quantitativi che stabiliscono se la persona ha sviluppato o meno gli anticorpi.
Allo stesso tempo, in alcune regioni come la Puglia e l’Emilia-Romagna, sono disponibili anche i test rapidi antigenici. I tamponi antigenici possono essere utilizzati da persone che non appartengono a categorie a rischio (per esposizione lavorativa o per frequenza di comunità chiuse) e che non siano “contatto di caso sospetto”. In base all’accordo, se il risultato del test sarà negativo non sarà necessario effettuare approfondimenti ulteriori. In caso di positività, invece, si dovrà procedere alla conferma con test antigenico rapido di terza generazione o con test in biologia molecolare e le persone interessate. Il tutto a un costo medio di 20 euro.