Questo volume viene da lontano, dalle tante produzioni teoriche precedenti del suo autore, baumaniano convinto, ma aspira soprattutto ad andare lontano verso un futuro, tramite il presente, che non c’è e che non può essere sociologicamente inteso secondo categorie interpretative proprie e tradizionalmente interne alla disciplina.
In questo testo, infatti, Bordoni scava nella società digitale, tende a svelare alcune componenti rivoluzionarie che ci avvolgono nelle loro spire. Cerca di mettere insieme prassi che sembrerebbero in sé contro natura e, invece, non lo sono.
Messe sullo sfondo la società liquida e la post-modernità, l’autore ci dimostra, argomentando secondo una lingua ossimorica, come nella web society ciò che storicamente è sempre stato considerato intimo si trasferisca o diventi pubblico, quasi annullando ogni valenza sociale assegnata al privato. Dal che, un processo di «dis-individualizzazione» della nostra vita che porta l’uomo (pur coperto sempre dalla privacy) verso un’identità interscambiabile, quasi mascherata, comunque fondata su processi connettivi che implicano legami condivisi, ma nel contempo deboli e spesso contingenti.
Questa evoluzione non si accompagna a nessun genere di chiusura più o meno etero-imposta. Né, tanto meno, esso deriva dall’oppressione tecnologica che ci circonda da tutti i lati. Essa, piuttosto, è complementare alla «presenzi-azione» di ogni spazio una volta «riservato» e oggi trasformato in «comunic-azione ostensiva».
E ciò, si badi, non riguarda, come una volta (con la vecchia tv), gli addetti ai lavori ma tutti coloro che decidono di porsi lungo questa via per un percorso di incremento destinato a impennarsi nel tempo e in tutti gli strati sociali.
Bordoni è prudente e ambivalente nell’interpretare questa devolution verso il futuro, ma mi pare evidente che essa non potrà essere un fenomeno sociale accessorio, né ancor meno marginale.
Tra le altre tante questioni sollevate dal volume (che qui non posso affrontare), mi limito a segnalarne solo un’altra relativa al mutamento del nostro modo di fruire la cultura.
Essa, infatti, per la forza della web-society, si de-massificherebbe, addirittura frammentandosi in sé, senza memoria e senza futuro, in un contesto sociale che atrofizza il pensiero, lo abbrevia, lo de-potenzia, lo priva di qualità se non altro per la sua imposta in-competenza.
Dentro questo cupore (con molte e coraggiose verità al suo interno), Bordoni non si appella tanto al ritorno a una «comunità perduta» e irrecuperabile, quanto a quella che egli definisce l’«umanità-farfalla» capace di profondità conoscitiva e di resettarsi, però, rapidamente appena tale profondità con il suo sviluppo lo richiede.
Tradotto sul piano soggettivo, Bordoni assegna il primato del «progresso» culturale, invertendo la formula tradizionale, alla «consapevolezza di non-sapere» per una qualità neo-illuministica derivata soprattutto «dal dubbio e dalla precarietà».
Siamo in presenza di un’opinione (originale) secca e piuttosto unilaterale, per quanto motivata. L’eccedenza è tra noi. L’ecletticità ci viene servita su piatti d’argento. Ma il nostro sapere può essere solo aleatorio e incerto oppure comporta, anche nella società digitale, qualche forma di solida ri-composizione prospettica?