Guida spiritualePer capire la Pubblica Amministrazione bisogna chiedere a Kant

Nonostante sia un accostamento insolito, un approccio speculativo alla realtà della burocrazia come quello adottato da Edoardo Ongaro in “Filosofia e governance pubblica” (Egea) permette di addentrarsi in riflessioni originali e assumere punti di vista nuovi

di William Warby, da Unsplash

La filosofia di Kant si concentra su questioni di ontologia, di conoscenza, di morale e di estetica e non fornisce di per sé dei criteri articolati per progettare un sistema di governance pubblica: non delinea dei criteri specifici per la costruzione di un sistema pubblico che sia tanto competente quanto accountable (Rayney, 2003). (La filosofia politica di Kant è limitata al saggio “Per la Pace Perpetua”, dove tratteggia un sistema di governance globale che va oltre l’ordine di Westphalen secondo il quale ogni stato è sovrano assoluto sul proprio territorio, e che ha costituito una ispirazione per il sistema delle Nazioni Unite.)

Il percorso logico che passa dal principio di ogni comportamento morale kantiano al dettaglio di come progettare un sistema di governance pubblica, e di come valutarne l’adeguatezza effettiva nel tempo per correggerlo e migliorarlo è lungo e articolato, e tuttavia ci fornisce un criterio: ogni sistema di governance pubblica deve essere progettato e funzionare in modo tale da trattare l’umanità che è in ogni persona mai soltanto come un mezzo bensì anche sempre come un fine.

In modo complementare, la filosofia di Kant fornisce una fondazione alla possibilità di conoscere il mondo dei fenomeni (il mondo empirico), e quindi fornisce una fondazione alla possibilità di una scienza dell’amministrazione.

In ultima analisi, se seguiamo l’impostazione di fondo di Kant dobbiamo assumere che gli esseri umani siano equipaggiati sia con le capacità conoscitive che con la bussola morale necessaria a progettare e far funzionare dei “buoni” sistemi di governance pubblica.

In questo senso, tutto il filone di ricerca in PA sull’etica pubblica (l’etica dell’amministratore pubblico, la discussione sui valori pubblici) non può esimersi dal confrontarsi con il tentativo di Kant di elaborare una fondazione assoluta alla morale: agisci in modo tale da trattare l’umanità, sia nella tua persona che in ogni altra persona, mai soltanto come un mezzo ma sempre anche come un fine.

Questo è stato denominato “il regno dei fini”, nel quale l’umanità che è in ogni e ciascuna persona non è mai trattata solo alla stregua di un mezzo. Anche se è un dato fattuale che ogni persona sia anche e sempre, almeno in certa misura, un mezzo per gli altri – e in certo senso tutti i pubblici funzionari sono un “mezzo” per il perseguimento dei fini dello Stato, così come tutti i cittadini e residenti, ad esempio in quanto contribuenti, sono un “mezzo” dello Stato – tuttavia seguendo l’impostazione kantiana è possibile fondare la “buona governan ce” (definire cosa sia una buona governance) sulla base del criterio che lo Stato e le istituzioni pubbliche debbono tutte operare, attraverso i loro sistemi amministrativi, in modo tale da considerare ciascuna e tutte le persone – cittadini, residenti, contribuenti, funzionari pubblici, clienti dei servizi pubblici, o quant’altro – sempre anche come fine.

La fondazione della legge morale elaborata da Kant è stata criticata in innumerevoli saggi, dai più svariati angoli. Forse le critiche più rumorose sono quelle provenienti da una prospettiva relativista, che argomentano l’impossibilità di una fondazione assoluta della moralità.

Tuttavia, critiche, invero inaspettate, sono venute anche da prospettive molto diverse e distanti. Infatti, come osserva Bird (2006), l’assunto kantiano che considerazioni di interesse, convenienza od utilità debbono essere nettamente distinte dalle considerazioni di ordine morale può risultare estremamente problematico dal punto di vista della progettazione di un sistema di governance pubblica: se infatti comportarsi in modo da conformarsi totalmente alla legge morale non fa – non deve fare – letteralmente nulla per promuovere gli interessi, la convenienza o l’utilità del singolo individuo (poiché, appunto, la legge morale è e deve essere interamente distinta dagli altri moventi dell’agire umano), questo costituisce un problema dal punto di vista della governance pubblica.

Un sistema di governance pubblica ha infatti nella promozione degli interessi, convenienze e utilità dei suoi membri una delle sue raison d’être; quale membro di un sistema politico, quale cittadino, infatti, si accontenterebbe di sapere che il sistema nel quale vive è stato disegnato e viene operato sulla base di criteri di assoluta moralità, anche se non è progettato per garantire il benessere dei suoi cittadini, né per tutelarne gli interessi?

È questo, in nuce, l’argomento del Bene Comune elaborato da Platone: che un sistema di governance pubblica deve contribuire a migliorare il benessere di tutti i suoi membri, e questo ne giustifica l’esistenza agli occhi dei suoi membri – non (o almeno non necessariamente o non solo) il fatto che esso sia operato sulla base di criteri di assoluto rigore morale.

Questa critica che Platone, per bocca dei suoi seguaci di oltre due millenni posteriori, rivolge all’impostazione kantiana della fondazione della legittimità di un sistema di governance pubblica è estremamente rilevante, oltre che forse inaspettata.

da “Filosofia e governance pubblica”, di Edoardo Ongaro, Egea, 2021, pagine 271, euro 29,50

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