Impeachment colorsPantera nera contro Arancione in chief e altre note sul processo a Trump

Mentre in Senato i repubblicani scelgono come schierarsi sul processo all’ex presidente, il nuovo procuratore della Fulton County, quella di Atlanta, è Fani Willis, donna afroamericana liberal che ha già inviato una lettera a vari membri del governo statale chiedendo che conservino i documenti legati alla telefonata incriminata

Lapresse

L’Incitatore in capo
L’Incitatore in capo, secondo l’impeachment manager capo Jamie Raskin e molti, molti altri, è Donald Trump. Avrebbe lavorato per settimane alla giornata del 6 gennaio per poi incitare i dimostranti a invadere il Campidoglio di Washington. Un altro impeachment manager, il deputato democratico Joe Neguse del Colorado, ha mostrato un video in cui un assalitore gridava di essere stato «invitato dal presidente degli Stati Uniti». Molti degli oltre 200 arrestati, dopo, hanno raccontato agi investigatori di essere stati motivati da Trump.

Un’altra impeachment manager ancora, Stacey Plaskett delle Isole Vergini, ha fatto vedere riprese di gente entrata in Campidoglio che cercava la speaker Nancy Pelosi, urlando con voce da film dell’orrore, «Naaaaancy. Oh, Naaaaancy». In un altro video si vede Eugene Goodman, il poliziotto afroamericano ora promosso e decorato per aver affrontato e tenuto a bada bande di rivoltosi, far scappare Mitt Romney un attimo prima che arrivino. E altro.

«Nuovi video drammatici del 6 gennaio mostrati nell’#ImpeachmentTrial. È stato un tentativo di colpo di Stato da parte di bande di menti malate, incitate dal Mob Boss della Casa Bianca. Il loro obiettivo era assassinare Mike Pence e @SpeakerPelosi. I senatori GOP che non voteranno per condannare stanno negando la realtà», ha twittato ieri Larry Sabato, baffuto e moderato politologo della University of Virginia.

Gli impeachment manager democratici non li attaccano. Cercano di convincerli più o meno sottilmente. Neguse ed Eric Swallwell della California hanno sempre distinto tra dimostranti pacifici e violenti. I senatori repubblicani la prendono, a volte, alla larga. Marco Rubio della Florida ha fatto sapere via Twitter che «l’attacco del 6 gennaio al Campidoglio è stato molto più pericoloso di quanto la maggioranza si renda conto». Ma che esiste «un sistema di giustizia penale per questo». Rubio ha bloccato i commenti al tweet, per paura di troll e trumpiani estremi, che potrebbero rifarsi vivi.

Qanon va in albergo
In questo periodo, il Trump Hotel di Washington è deserto e non solo per la pandemia. Le prenotazioni sono poche, tranne per la notte tra il 3 e il 4 marzo. Era la data originale delle inaugurazioni presidenziali, e secondo i seguaci di Qanon sarà il giorno in cui Trump tornerà presidente («se Trump e l’esercito non faranno niente dovremo fare qualcosa noi», ha scritto un Qanonista su Telegram, «non possiamo lasciare che questi traditori conquistino il paese», eccetera; intanto, per la notte del 3, il Trump Hotel ha raddoppiato le tariffe).

Il punto di vista di Newsmax
Molti elettori trumpiani non stanno seguendo l’impeachment, o lo seguono su tv network o siti social di estrema destra, a destra di Fox News dove hanno detto che ha vinto Joe Biden. Lì la copertura è diciamo schierata. Per dire, ieri, dopo una pausa, il conduttore di Newsmax ha detto: «Continuiamo a seguire il tradimento bipartisan del popolo americano…Guardiamo il pugnale penetrare ancora più in profondo nella schiena del popolo e di questo paese».  Sempre su Newsmax, il primogenito di Trump, Don junior, intervistato dall’ex portavoce licenziato da Trump, Sean Spicer, ha spiegato che «i democratici ci hanno insurrezionato», che è un verbo nuovo e interessante.

Trump e la figlia della Pantera Nera
C’è giustizia poetica, nel caso del presidente bianco maschilista e razzista e anche un po’ golpista, indagato, e forse a breve rinviato a giudizio, da una donna afroamericana liberal e figlia di una Pantera Nera. Lui è Donald Trump, lei è Fani Willis, nuovo procuratore della Fulton County, dove c’è Atlanta, capitale della Georgia.

Come previsto, Willis ha mandato una lettera a vari membri del governo statale, chiedendo di conservare i documenti riguardanti la telefonata di Trump al Segretario di Stato Brad Raffensperger per chiedergli di inventare voti e farlo vincere. La richiesta, scrive Willis, «è parte di un’indagine penale», e se si arrivasse a un processo, la sorte di Trump non verrebbe decisa da un gruppo di senatori repubblicani timorosi (intanto, a Washington, al dipartimento della Giustizia, dovranno decidere se autorizzare un mandato di perquisizione dello studio di Rudy Giuliani; i procuratori federali di Manhattan stanno indagando sui suoi rapporti con l’Ucraina, roba del vecchio impeachment ma sempre penalmente valida; non si sa se decideranno ora, o sarà una delle prime rogne del nuovo Attorney General Merrick Garland, non ancora confermato dal Senato).

La coscienza di Mitch
A Capitol Hill le parole “Mitch McConnell” e “coscienza” non vengono usate insieme, non spesso. Ma stavolta è obbligatorio: il leader dei repubblicani al Senato, che da quando Trump ha perso ha un atteggiamento ciclotimico, sta dicendo ai suoi di votare «secondo coscienza», a sorpresa.

McConnell ha fatto poi capire di non avere deciso come votare (finora ha votato per dichiarare incostituzionale l’impeachment in quanto Trump è un ex presidente, dopo aver spostato l’impeachment per evitarlo mentre Trump era in carica). L’anno scorso, sul vecchio impeachment, aveva dichiarato di non considerarsi un giurato imparziale. Ed è probabile che anche stavolta voti contro, ed è quasi impossibile che almeno 17 repubblicani si uniscano ai democratici nel votare la condanna (però chi riuscirà a ricostruire il flusso di coscienza di McConnell capirà molte cose).

Trump merita un mulligan
Non tutti i senatori repubblicani hanno i dubbi di McConnell. Alcuni, i più di destra, i più trumpiani, gli hanno già perdonato il suo piccolo tentativo di insurrezione (i due senatori compiaciuti dall’insurrezione, Josh Hawley e Ted Cruz, sono in aula ma non stanno attenti). «Tutti fanno errori. Tutti hanno diritto a un mulligan», ha detto intervistato da Fox News Mike Lee dello Utah (nel golf, un mulligan è la concessione di un secondo tentativo dopo un primo tiro venuto male, e forse Lee vuole un altro golpe, non si capisce).

Trump impiegato a Palm Beach
Martedì, mentre il Senato si riuniva per il secondo impeachment, i consiglieri comunali di Palm Beach si vedevano su Zoom; anche loro per discutere delle violazioni di Trump. Secondo un accordo del 1993, l’ex presidente può vivere a Mar-a-Lago non più di tre settimane l’anno, avendo trasformato il villone da residenza privata a circolo per clienti molto paganti. I consiglieri sono stati più buoni degli impeachment manager. E l’avvocato della città, John C. Randolph, ha sostenuto che nulla nell’accordo vieta a Trump di usare la proprietà come sua residenza «se, come presidente del club, Trump viene considerato un impiegato di Mar-a-Lago».

Il consiglio comunale non ha votato, ma nessuno ha fatto obiezioni al trasferimento di Trump in pianta stabile (anche perché gli straricchi di Palm Beach vivono lì d’inverno, d’estate è umidissimo, caldissimo, e non ci sarebbe nessuno tranne forse lui). Anche se i residenti invernali lo hanno accolto senza entusiasmo: «I vicini sarebbero stati più cordiali se non avesse incitato i suoi sostenitori ad assaltare il Campidoglio», ha detto al New York Times Laurence Leamer, erudito locale. I milionari di zona lo avevano, in molti, votato, e avevano apprezzato i tagli alle tasse. Ma ora «tanti soci di Mar-a-Lago non ci vanno più, e non rinnoveranno l’iscrizione». La villa non viene più presa in affitto per feste benefiche, racconta Leamer: «Non vale la pena di rischiare, sapendo che almeno la metà degli invitati non sarebbe contenta della location» (non ci sono notizie di Melania Trump; che starebbe cercando casa a Jupiter, una trentina di chilometri più a nord).

Intanto, i Trump
Mentre al Senato i democratici cercano di dimostrare, parole di Jamie Raskin, che «c’è stato metodo in quella follia» golpista di Trump, qualcuno ricorda che il 6 gennaio, a incitare i dimostranti, non c’era solo il presidente sconfitto. Hanno parlato in dodici, tra loro due figli e due nuore Trump.

Eric e sua moglie Lara hanno promesso di continuare la lotta post-elettorale. Quando Lara gli ha chiesto cosa desiderasse per il trentasettesimo compleanno, Eric ha risposto che avrebbe voluto «un po’ di spina dorsale» per i repubblicani in Congresso che non appoggiavano i tentativi trumpiani di rovesciare i risultati, e una bella marcia sul Campidoglio (poco dopo, a Capitol Hill, veniva issata una forca per Mike Pence). Kimberly Guilfoyle, rumorosa fidanzata di Don jr, ha invitato a «non permettere ai liberal e ai democratici di rubare il nostro sogno e rubare le nostre elezioni» (ha poi assicurato che «Donald Trump continuerà a salvare l’America»).

Ancora più deciso è stato Donald Jr. Ha spiegato ai repubblicani che il voto per certificare le elezioni era per loro un’opportunità di essere «a zero or a hero», uno zero o un eroe, un amico o un nemico. Si è poi rivolto direttamente a loro, dicendo «sarò nel giardino di casa vostra in un paio di mesi» in caso di voto non trumpiano (Ivanka, la meno nazionalpopolare, si era limitata a circolare con un trench molto scuro, e non dovrebbe temere conseguenze penali).

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