E Grillo RousseauL’estremo omaggio alla pseudo-democrazia diretta, augurandoci che sia l’ultimo

Se è proprio necessario, possiamo anche accettare lo spettacolo dei vertici delle istituzioni in attesa del voto grottesco in casa Casaleggio, ammesso che ci sia. Ma non diteci che è una cosa seria

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E così, il Parlamento più populista, antieuropeista e antiatlantista della storia d’Italia, uscito dalle elezioni del 2018 con una larghissima maggioranza filo-putiniana e para-orbaniana – che in quanto tale, e a dimostrazione della tesi, cominciava la legislatura spartendosi tutte le cariche istituzionali e di controllo, dai presidenti fino ai questori di Camera e Senato – si appresta a esprimere una maggioranza schiacciante a sostegno dell’esecutivo più europeista e atlantista che la Repubblica abbia mai visto, perlomeno dai tempi del V governo De Gasperi.

Per averne l’ultima certificazione, le massime istituzioni e gli italiani tutti dovranno solo aspettare il responso della piattaforma Rousseau, oscuro marchingegno proprietà di un’associazione presieduta e strettamente controllata dal privato cittadino Davide Casaleggio. Singolare e speriamo ultimo tributo che la riaffermazione dei principi della civiltà occidentale, della razionalità moderna e della politica democratica dovrà pagare ai precursori italiani del trumpismo, ai pionieri del nuovo irrazionalismo politico che per qualche anno, dalla Brexit nel 2016 all’assalto a Capitol Hill nel 2021, è sembrato sul punto di rovesciare il mondo.

Con buona pace degli irriducibili difensori dell’estrema trincea populista, come Alessandro Di Battista, ieri impegnato in una sorta di consultazione parallela con Andrea Scanzi su Facebook, da cui ha annunciato il suo voto contro il governo (su Rousseau, ovviamente), proprio mentre i Cinquestelle incontravano Mario Draghi a Montecitorio.

Per non parlare dell’ultimo colpo di teatro, con Beppe Grillo a spiegare in un video, alle dieci di ieri sera, che Draghi non gli sembra avere ancora le idee chiare e che quindi bisogna avere pazienza, la votazione è sconvocata, se ne riparlerà più avanti, si vedrà quando e come. Evidentemente le fragole erano acerbe. Uno spettacolo comunque piuttosto ridicolo, che sarebbe umiliante anche solo far finta di analizzare e approfondire da qualunque punto di vista. Ma al tempo stesso tragicamente normale.

È la normalità a cui ci siamo abituati da diversi anni a questa parte, e che dunque ci meritiamo, dopo aver passato anche gli ultimi giorni a parlare del «dibattito interno» al Movimento 5 stelle, della linea Dibba e della corrente contiana, come se parlassimo dello scontro tra amendoliani e ingraiani all’undicesimo congresso del Pci.

Può darsi che l’ennesimo dibattito sulla pseudo votazione grillina – ammesso che non ci facciano la grazia di cancellarla del tutto – sia un tributo necessario, e che come tale vada pagato fino in fondo, ancora una volta, con giornali e televisioni a discuterne come se fosse una cosa seria.

Possiamo accettare tutto questo, ancora una volta, anche se non dovremmo. Non dovremmo farlo perché sta proprio qui, nel modo in cui raccontiamo e discutiamo di cose simili, l’enorme differenza che passa tra i Paesi che il populismo lo hanno combattuto e sconfitto, come gli Stati Uniti di Joe Biden, e un Paese come l’Italia, dove continuiamo a illuderci che la via omeopatica ce ne tirerà fuori senza traumi, senza scossoni e soprattutto senza che nessuno perda la faccia.

Non dovremmo farlo perché proprio ora lo spappolamento del Movimento cinque stelle, con l’esplosione di tutte le contraddizioni accumulate in questi anni, rende ancora più assurdo il sacrificio e più pesante il tributo, per il nostro senso critico, per la dignità delle istituzioni e per la decenza del discorso pubblico, in un momento tanto grave, in cui ripetiamo continuamente che ogni secondo è prezioso, e poi fermiamo tutto per aspettare le comunicazioni di Vito Crimi.

Non dovremmo farlo ma accetteremo anche questo, ancora una volta. Ci consola, se non altro, sapere che è l’ultima.

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