Sette tipi di grandi coalizioniIl governo Draghi è l’ultima chance dei partiti per risultare credibili

Il governo di unità nazionale potrebbe servire a sancire che Partito democratico, Lega, Forza Italia e chi ci sta sono tutte forze egualmente responsabili e maturate rispetto a Europa, mercato e Costituzione. Avversari che si rispettano piuttosto che bande di esagitati sempre pronti a evocare l’uno contro l’altro Bibbiano, comunismo e fascismo

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Sarà una Grande Coalizione, il governo di Draghi. Non la prima Grande Coalizione della storia d’Italia, non la prima Grande Coalizione della Repubblica, e neanche la prima Grande Coalizione della Seconda Repubblica. Potrebbe però essere la Grande Coalizione più Grande Coalizione tra tutte quelle che ci sono state. 

In tedesco Grosse Koalition fu chiamata la coalizione che governò a Bonn dal primo dicembre 1966 al 21 ottobre 1969, e che comprendeva da una parte la Cdu-Csu, dall’altra la Spd Cancelliere era Kurt Georg Kiesinger: un ex-dipendente della radio di Goebbels già inquisito da un tribunale sulla denazificazione. Vice-cancelliere e ministro degli Esteri Willy Brandt: un esule antinazista che nel 1940 era stato perfino preso prigioniero dagli uomini della Wehrmacht mentre indossava una uniforme norvegese. Al di là dell’aneddotica storica, ciò spiega abbastanza bene ciò a cui una Grande Coalizione serve.

Sono sette le diverse tipologie del fenomeno. Le prime due riguardano la democrazia consociativa: sistemi politici dove o per prassi o per disposizione costituzionale si cerca di far governare assieme più partiti possibili, perché in società frammentate dal punto di vista etnico e/o religioso non si può pensare di mettere una comunità pur minoritaria all’opposizione. Il terzo è il modello delle democrazie popolari: sistemi autoritari in cui, come ancora oggi in Cina, piuttosto che il partito unico si è preferito lo schema del partito dominante con alcuni satelliti. Il quarto è la coabitazione: non solo in Francia, ma in tutti i sistemi presidenziali o semi-presidenziali può accadere che un presidente di un colore si ritrovi con la maggioranza parlamentare di altro colore. A Parigi ciò ha portato appunto alla coesistenza tra presidenti e primi ministri di schieramenti politici opposti, ma anche negli Usa di fatto un presidente che non negozia con una opposizione maggioritaria in Congresso si espone come minimo allo shutdown.

Ma questi sono casi estranei alla storia italiana. In compenso, noi abbiamo invece conosciute tutte e tre le altre tipologie. La Union Sacrée francese durante la Grande Guerra e gli War Cabinet al potere a Londra durante entrambe le guerre mondiali corrispondono infatti a quel che anche da noi successe nel 1915-18: tutti i partiti al governo; eccetto il Psi massimalista, perché non ci volle stare lui; ma compreso perfino il Partito Repubblicano, i cui ministri chiesero solo di non essere designati ministri ma Commissari, per non dover giurare fedeltà al re. 

Dal secondo governo Badoglio al secondo e terzo governo Bonomi le coalizioni con i sei partiti del Consiglio di liberazione nazionale in Italia iniziano in questo modo: anche qui c’è da fare una guerra, sia pur con la complicazione della disintegrazione dello Stato e della necessità di smantellare il regime fascista. Ma con Parri e con i primi tre governi De Gasperi si passa alla tipologia numero quattro: governi costituenti. Governare assieme intanto che si fanno regole del gioco accettate da per tutti. Così, anche quando poi si lasceranno gli ex-partner continueranno a ritenersi interlocutori legittimi del gioco democratico. Il concetto di Arco Costituzionale: che in Italia in realtà funzionò solo fino a un certo punto, perché il fattore K dovuto alla Guerra Fredda impedì al Pci di tornare al governo. Ma tra 1976 e 1979, in un periodo di emergenza per crisi economica e terrorismo, poté comunque tornare nelle maggioranze di unità nazionale.

In effetti, tanto in Germania nel 1966 quanto in Italia nel 1976 i principali partiti erano tornati assieme soprattutto perché non si erano riuscite a trovare altre maggioranze. È questa la stessa ragione per cui la Grosse Koalition è tornata in Germania: nel 2005-09, e poi di nuovo dal 2013. Ed è questa la ragione per cui dopo il collasso della maggioranza berlusconiana, anno 2011, la Grande Coalizione è diventata in Italia quasi la regola. Monti, ad esempio, si resse sul patto Abc: Alfano in rappresentanza del Pdl, Bersani del Pd e Casini per l’Udc e l’allora Terzo Polo. 

La formula fu continuata da Letta: salvo che al posto del Pdl era tornata Forza Italia e al posto del Terzo Polo era venuta Scelta Civica. Ma poi dopo la condanna di Berlusconi Forza Italia si sfilò, salvo la minoranza di ministri che fondò il Nuovo Centro Destra. E Scelta Civica si squagliò, confluendo in massa nel Pd. Così fu possibile a Renzi e Gentiloni tornare a una maggioranza Pd e alleati.

Ma con il Conte 1 la Grande Coalizione è tornata. Certo, una Grande Coalizione paradossale: tra quei Cinque Stelle e quella Lega che erano diventati primo e secondo partito proprio protestando contro gli “inciuci” tra Pd e Cav. Ma sempre Grande Coalizione era. Si è rivelata ingestibile, ed è stata sostituita dal Conte Bis. Una sorta di nuovo centro-sinistra. Ma, adesso, di nuovo là stiamo. E stavolta, appunto, sono chiamati a starci dentro proprio tutti. Durante la Grande Guerra era voluto stare fuori il Psi: che peraltro entrando avrebbe rinnegato lo slogan «né aderire né sabotare». Nei governi del Cln e poi della Solidarietà Nazionale c’era una esclusione esplicita verso chi era considerato erede del fascismo. I governi del 2011-2014 avevano puntato a tagliare fuori le «estreme». Il governo giallo-verde aveva invece messo assieme le «estreme» contro gli altri. Draghi, per la prima volta nella storia d’Italia, non ha esclusioni. Se Fratelli d’Italia o Liberi e Uguali si chiamano fuori, è solo per scelta loro.

Ciò, e l’esempio della Grosse Koalition, aiuta di nuovo a decifrare la missione storica da compiere. In qualche modo, è pure un governo di guerra: mutatis mutandis, la pandemia sta avendo effetti e contraccolpi non del tutto dissimili da quelli che ebbero le guerre mondiali.  Naturalmente, è una soluzione imposta da un Parlamento dove tutti le altre possibili combinazioni sono saltate. Ma ricordiamo soprattutto la Grosse Koalition del 1966-69. La Spd, a parte la pessima prova data ai tempi di Weimar, dopo la Seconda Guerra Mondiale si era ricostituita su una piattaforma neutralista e antimilitarista, che era l’esatto contrario di una cultura moderna di governo in un Paese inserito nel blocco occidentale. È vero che nel 1959 il famoso Congresso di Bad Godesberg aveva rappresentato un passo importantissimo in questo senso, con l’abbandono completo di quella tradizione marxista in realtà mai fino ad allora rinnegata, anche se interpretata per lo più in senso revisionista. 

La figura personale del combattente anti-nazista Brandt come leader, in qualche modo, copriva questa svolta a sinistra. Ma bisognava che i tedeschi si sentissero garantiti anche sul versante moderato, prima di potersi fidare a farsi governare dalla Spd come partito di maggioranza. Dopo tutto, anche a Weimar i socialdemocratici avevano sempre fatto parte di coalizioni piuttosto ampie. Insomma, mai l’Spd aveva governato da sola: salvo i tre mesi di Friedrich Ebert dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, quando comunque anche per i moderati l’Spd era un male minore, rispetto all’incubo della rivoluzione bolscevica. La Grosse Koalition, dunque, fu la necessaria transizione, per permettere ai socialdemocratici di abituarsi a governare una moderna economia sociale di mercato e ai tedeschi di abituarsi alla Spd al governo. 

Allo stesso modo, la Coalizione Draghi servirebbe finalmente a sancire che Pd, Lega, Cinque Stelle, Forza Italia e chi altri ci sta sono tutte forze egualmente responsabili ed egualmente maturate rispetto a Europa, Mercato e Costituzione. E anche chi si tratta di avversari che si rispettano a vicenda, piuttosto che di bande di esagitati sempre pronti a evocare l’uno contro l’altro Bibbiano, i crimini del comunismo, l’emergenza fascista, le connessioni mafiose, Soros, e chi più ne ha più ne metta.

In più, la Grosse Koalition con la grande maggioranza di 468 seggi su 518 permise anche di affrontare con decisione la congiuntura economica negativa. E di superare la cosiddetta dottrina Hallstein, escludente qualunque contatto con i Paesi del blocco comunista che avevano riconosciuto la Repubblica Democratica Tedesca. E di mettere ordine definitivo nel sistema federale, stabilendo definitivamente il riparto delle competenze tra il Bund e i Länder. E di prevenire ogni possibile fantasma weimariano anche col diciassettesimo emendamento costituzionale sullo stato d’emergenza: condizione poste dal Consiglio di Controllo Alleato per il pieno ripristino della sovranità tedesca.  A sua volta, la Grosse Koalition del 2005 servì a blindare la riforma del mercato del lavoro e del Welfare che Schröder aveva fatto: per rimettere in sesto il sistema dopo il salasso rappresentato dalle spese per la riunificazione con l’Est.

Appunto: mercato del lavoro, welfare e impresa sono i temi su cui Draghi ha già detto che vuole intervenire, e su cui ha comunque il prestigio per farlo. Ma anche il ripensamento delle sfere di competenza tra Stato e Regioni sarà quasi inevitabile dopo quello che si è visto in tempi di lockdown, anche la nostra politica estera ha bisogno di ripensare obiettivi condivisi, e la razionalizzazione del sistema costituzionale che la Germania fece fin dal 1949 col sistema della sfiducia costruttiva da noi è ancora nel libro dei sogni.

 Sogni da tempi di Draghi.   

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