In 52 minuti di accurate disamine Mario Draghi, nel suo discorso al Senato, non ha riservato un solo secondo alla giustizia penale.
Una singolare omissione che i più tendono a motivare con la estrema cura del neo-premier a non toccare un nervo scoperto e divisivo come la prescrizione, oggetto di una sotterranea trattativa per disinnescare l’impatto di un emendamento abrogativo della riforma Bonafede quale gesto di cortesia istituzionale di Italia Viva e Forza Italia verso la ministra Marta Cartabia.
Tuttavia, a ricordare quanto spinoso e ineludibile sia il tema, è piombata sul nuovo esecutivo e sulla esordiente Guardasigilli la notizia della prematura fine del governo del più grande ufficio giudiziario italiano, la Procura di Roma, che come si sa, secondo i vecchi democristiani che ne capivano; «vale tre ministeri».
Un vuoto improvviso che non si può certo liquidare come un contrattempo tutto interno alla magistratura, una mera questione amministrativa, bensì costituisce un vero e proprio problema politico ed istituzionale che frana su di un Csm ormai delegittimato e su di un ordine giudiziario in preda a una profonda crisi etica.
Il punto è presto detto e lo si ricava dalla lettura delle due sentenze del Tar che hanno accolto i ricorsi di due dei competitor battuti da Michele Prestipino nella corsa al prestigioso incarico, e che per tale effetto hanno annullato la sua nomina al vertice della procura capitolina: l’elezione del magistrato siciliano fu resa possibile dallo scoppio del caso Palamara che ebbe tra i suoi effetti principali la revoca, giudicata dal Tar del tutto immotivata, della candidatura approvata dalla V commissione di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, che sarebbe stata ratificata dal plenum di lì a pochi giorni.
Non esistono precedenti del genere per un ufficio giudiziario di tale portata e già questo sottolinea l’eccezionalità del caso che la lettura delle sentenze conferma.
Conviene leggere ciò che i magistrati amministrativi scrivono (e di cui la grande stampa, con poche eccezioni non si è interessata) per capire l’entità (e gravità) del caso che si riverbera sulla già declinante credibilità dell’organo di autogoverno dei magistrati ancora in carica.
Osserva il Tar del Lazio che la V Commissione, dopo aver preso conoscenza degli stralci delle prime intercettazioni di Palamara (quelle che riportavano i suoi incontri all’hotel Champagne con Cosimo Ferri, Luca Lotti ed altri membri del togati del CSM poi dimessisi nelle quali si parlava con favore della candidatura di Viola),«disponeva la revoca della proposta originariamente formulata a favore dell’odierno ricorrente (Viola) nonché delle altre due proposte formulate nella precedente seduta del 23 maggio 2019 (Creazzo e Lo Voi)».
Dopo di che, appena sette mesi dopo «nella seduta del 14 gennaio 2020, la medesima Commissione proponeva per il conferimento gli altri due magistrati nonché il dott. Prestipino al posto del dott. Viola. All’esito della seduta dell’organo plenario del Csm, la scelta cadeva, a maggioranza, su quest’ultimo».
E dunque, concludono i giudici amministrativi, «sui profili dei candidati all’Ufficio direttivo in questione, mutava completamente il proprio indirizzo, peraltro senza esternare alcuna motivazione idonea a giustificare tale circostanza, tenuto anche conto che lo stesso relatore della proposta a favore del dott. Viola – come approvata, aveva espresso invece, nella seduta del 23 maggio 2019, il proprio voto a sostegno della proposta favorevole al dott. Prestipino». Insomma, un giro di valzer repentino e senza giustificazione, questo il succo.
Non è difficile, in realtà, capire la ragione che è costata all’incolpevole Viola l’agognato posto di capo a Piazzale Clodio: l’essere il suo nome e la sua candidatura appoggiati dai convenuti nelle sale dell’hotel Champagne, anche se di tali manovre ed intese è pacifico che nulla egli sapesse (indubbio ed unanime è il suo prestigio e la stima nella comunità forense).
All’incolpevole procuratore generale di Firenze è toccato in sorte un atroce destino da “mascariato” simile a quello di cui nel corso della storia giudiziaria più recente, sono state vittime decine e decine di carriere politiche, istituzionali e professionali.
Un nome, un’allusione, una toccatina di polso e il malcapitato investito, «l’alluso» pur senza essere un «colluso» scivola silenziosamente nell’ombra. È toccato a lui, ma oggi il Tar dice (oggi, poi vedremo il Consiglio di Stato cui Prestipino presumibilmente ricorrerà) che invece bisognava trovare un perché. E scriverlo.
Non meno caustiche sono le argomentazioni che bocciano la decisione del Csm anche per quanto riguarda l’altro candidato, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi.
In questo caso la V commissione aveva ritenuto decisiva per indicare al plenum la candidatura di Prestipino l’aver messo a frutto la sua esperienza in procure come Palermo e Reggio Calabria per poi operare fruttuosamente «in un contesto di riferimento (Roma) caratterizzato da forti elementi di originalità con la presenza di tutte le mafie… e di mafie autoctone con connotazioni di forte peculiarità che instaurano complessi rapporti tra loro con la politica e le pubbliche amministrazioni».
Non senza una certa qual ironia, il Tar evidenzia che «se è stata la raffinata conoscenza delle mafie tradizionali che ha consentito al controinteressato di cogliere e sviluppare processualmente l’originalità della situazione peculiare di Roma, non si comprende come tale capacità non poteva essere riconosciuta anche al ricorrente, (Lo Voi) che certamente – per quanto affermato nella stessa motivazione della valutazione – poteva vantare una robustissima conoscenza delle mafie tradizionali (tra tutte “Cosa Nostra”)» la cui caratura, va detto, è ormai acquisita unanimemente al contrario di alcune «espressioni autoctone» romane sulla cui connotazione non ha concordato la Cassazione.
Sia come sia, oggi il più importante (e decisivo) ufficio giudiziario, conosce un inaspettato vuoto di potere che può costituire un grave problema politico. Il punto è che a porvi rimedio dovrebbe essere lo stesso Csm che il problema ha creato: come si può confidare che scelga per il meglio? E che succederà se il Consiglio di Stato dovesse capovolgere la decisione del Tar?
È facile prevedere altri straordinari per il Presidente della Repubblica, che è anche capo del Csm, che si troverà necessariamente ad operare in un regime di emergenza non meno grave di quella politica.
Il problema peraltro investe la magistratura nel suo complesso: può oggi la comunità dei magistrati andare a votare per un nuovo Csm oltre che sfidando la pandemia, anche in una condizione di profonda divisione e crisi morale? Non sarebbe meglio un (auto)governo tecnico della magistratura con personalità super partes e svincolate dalle correnti?
Magari con un vicepresidente di superiore prestigio e competenza individuato grazie alla moral suasion del presidente e non tra un politico?
(Nel caso avremmo anche un nostro non richiesto consiglio per un’ampia scelta: Giorgio Spangher, Vittorio Manes, Ennio Amodio, Glauco Giostra, Oreste Dominioni tra gli altri, i nomi non mancano).
Nel frattempo le correnti potrebbero provvedere a rigenerarsi con volti nuovi. Soprattutto sia consentito alla società civile (avvocati e cittadini) far parte dei consigli giudiziari dove finalmente si valuti la progressione delle carriere a Magistrati che siano stimati nella comunità professionale e sociale.
Sia la magistratura soprattutto (e qualche coraggioso lo ha già fatto) a proporre questa riforma, prima che la situazione peggiori.