Draghi e lucertoleEcco come sono stati i conti del Conte uno e del Conte due

Breve rassegna delle politiche economiche degli ultimi due governi: in sostanza, continuità con il quinquennio 2013-2018, con l’aggiunta del reddito di cittadinanza e di quota 100 (ma senza la flat tax). In più, da ultimo, un riavvicinamento con l’Europa e la grande variabile portata dalla pandemia. Questa è l’eredità che riceve il premier incaricato

Photo by Didier Weemaels on Unsplash

Può essere di qualche utilità, volendo seguire gli antefatti dell’incarico dato a Mario Draghi, ripercorrere le proposte di politica economica che si sono avute durante i governi Conte I e Conte II. E rilevare che quanto è emerso in campo economico con le elezioni del 2018, e ancora nel 2019 dopo il cambio di maggioranza, mostra una continuità. Continuità che affonda le radici nel periodo 2013-2018, di cui abbiamo già scritto su questo giornale.

I programmi elettorali del 2018 dei Cinque stelle e della Lega divergevano sulla flat tax e il reddito di cittadinanza, mentre convergevano sull’abolizione della Legge Fornero. Per immaginare che cosa sarebbe successo se i programmi dei vincitori fossero stati integralmente attuati, si possono sommare le due proposte prendendole alla lettera, secondo i conti di allora.

Su base annua, il reddito di cittadinanza sarebbe costato una trentina di miliardi di maggiori uscite, l’abolizione della Fornero un’altra ventina di miliardi, sempre di maggiori uscite, e la flat tax una sessantina di miliardi di minori entrate. Sommando le tre voci, abbiamo un centinaio di miliardi di maggior deficit, pari al 5 per cento circa del Pil. A questo nuovo deficit andava aggiunto quello in essere, che era pari al 2 per cento circa. L’Italia avrebbe avuto così un deficit intorno al 7 per cento, un numero troppo lontano dagli accordi di Maastricht (con il coronavirus le cose si sono messe in modo diverso).

I vincitori delle elezioni del 2008 avrebbero potuto obiettare – ma, chissà come mai, non hanno mai prodotto una simulazione – che il taglio delle imposte avrebbe spinto i consumi per effetto del maggior reddito delle famiglie, con ciò aumentando il Pil. Il maggior Pil avrebbe a sua volta prodotto un gettito fiscale maggiore. Una crescita addizionale dei consumi si sarebbe avuta anche per effetto del reddito di cittadinanza.

Fin qui i programmi economici. Dietro ai quali vi era un conflitto di interesse significativo. Accreditando i maggiori benefici proposti alle diverse Regioni, si sarebbe avuto che il 58 per cento della flat tax andava al Nord, e il 19 per cento al Sud. Simmetricamente, il reddito di cittadinanza avrebbe favorito il Sud per il 58 per cento e il Nord per il 25 per cento.

Il programma che si è materializzato nel 2018-2019 non ha visto diventare operativa la flat tax, ma il reddito di cittadinanza, insieme a una riforma parziale delle pensioni che prese il nome di quota 100. Gli effetti a consuntivo del Conte I sull’economia reale sono stati modestamente negativi, ma si è avuta una crisi, rientrata nel 2018 con il cambio di obiettivi economici, in campo finanziario. Si è, infatti, avuta fuoriuscita dai titoli di Stato decennali inferiore di quella del 2011, quando arrivò Mario Monti, ma maggiore di quella del 2016 quando fu bocciato il referendum di Matteo Renzi.

Una maggioranza parlamentare formata dai Cinque stelle e dal PD ha poi dato vita nel 2019 a un governo presieduto da chi era a capo di quello precedente. Più che una manovra diversa da quella precedente abbiamo avuto un cambiamento di linguaggio nei confronti della Unione europea, un linguaggio molto più conciliante. Allo stesso tempo, le intenzioni del Conte II erano ispirate alla logica operativa del Conte I.

Un maggior deficit per finanziare la manovra, degli interventi quasi nulli dal lato della spese, e pochi cenni sull’importanza di diminuire il debito. Le misure sarebbero state soprattutto finanziate sia da un disavanzo (di poco) superiore sia da entrate supplementari (molto elevate rispetto a quanto l’esperienza insegna) derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.

Invece di aumentare leggermente il deficit e il debito, dal punto di vista della sostenibilità della finanza pubblica sarebbe stato (avendo la forza politica, che evidentemente mancava) preferibile modificare alcune delle misure che non hanno avuto degli effetti positivi sull’economia, ma che hanno avuto un effetto negativo di lungo termine sulla finanza pubblica: quota 100 e il reddito di cittadinanza.

Si noti, infine, che una parte delle risorse aggiuntive della manovra del Conte II ha tratto origine da una minore spesa per interessi, dovuta al calo dei rendimenti dei titoli di Stato. Calo legato al venir meno – con il cambio di maggioranza – del rischio di una uscita dall’euro che alimentava il cosiddetto “rischio di denominazione”, espressione che richiama il passaggio dall’euro alla lira come moneta che segna il debito pubblico.

Pochi mesi dopo l’insediamento del Conte II, è arrivato il coronavirus, e molte cose sono cambiate. E, ancora dopo, è arrivato Mario Draghi.