L’Italia ha superato i tre milioni di somministrazioni di vaccino contro il Covid-19. Le inoculazioni sono andate avanti con un buon ritmo nell’ultimo mese e mezzo, ma è improbabile raggiungere i tredici milioni di vaccinati entro marzo promessi dal ministro Roberto Speranza a dicembre (Matteo Salvini, invece, ha assicurato che entro giugno tutti i maggiorenni lombardi saranno immunizzati). Ma al di là delle evidenti difficoltà organizzative e logistiche (vi ricordate delle primule?), i programmi di vaccinazione potrebbero rallentare anche a causa di una produzione dei farmaci che procede più lentamente del previsto, nonostante le rassicurazioni delle case farmaceutiche.
È una condizione comune a tutta l’Unione europea. La settimana scorsa la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha riconosciuto le difficoltà di Bruxelles: «Siamo stati troppo ottimisti nell’immaginare una produzione così imponente, e forse siamo stati troppo fiduciosi anche sui tempi di consegna». È sembrato quasi che volesse assolvere, almeno in parte, le case farmaceutiche. Ma queste difficilmente riusciranno a velocizzare la distribuzione di dosi agli Stati membri.
Al momento a produrre i vaccini distribuiti in Italia e Unione europea sono Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca. E non dovrebbe arrivare sul mercato un nuovo vaccino in tempi brevi. Quelli di Pfizer e Moderna sono vaccini a rna messaggero, cioè utilizzano questa molecola per far produrre all’ospite una proteina del virus. Questo tipo di vaccino rappresenta una novità assoluta per l’industria farmaceutica ed è prodotto con un procedimento molto complesso e delicato, diviso in più fasi e che richiede diverse settimane di lavoro (qui lo ha ricostruito brevemente l’agenzia americana Axios).
«Le difficoltà di produrlo su larghissima scala come si sta cercando di fare nascono proprio dalla complessità del processo di produzione», spiega a Linkiesta l’immunologo Guido Forni, accademico dei Lincei. «Con questo tipo vaccino, quello a mRna, stiamo cercando di trasformare in ordinario una cosa straordinaria, mai fatta prima: in un certo senso avremmo dovuto prevedere i ritardi nella produzione, nonostante le parole delle aziende. Anche perché parliamo di un vaccino che è stato approvato appena due mesi fa, e oggi ne chiediamo miliardi di dosi».
Se la complessità del procedimento è un primo fattore di difficoltà al momento di produrre un gran numero di dosi, le aziende stanno cercando di ampliare i centri di produzione proprio per stare nei tempi previsti dalle stime iniziali.
Pfizer ad esempio a febbraio ha portato una parte della produzione nell’impianto di Marburg, in Germania. Ma i primi vaccini che passeranno per la struttura tedesca dovrebbero essere prodotti intorno ad aprile. Prima di allora sarà difficile vede miglioramenti.
Il problema di una catena di produzione così articolata non aiuta le altre aziende, che non sono necessariamente in grado di sfruttare gli studi già svolti. Moderna ad esempio ha sospeso il brevetto sul suo vaccino fino alla fine della pandemia. Secondo Axios la stessa Pfizer è in contatto con circa 10 aziende che dovrebbero aiutarla a produrre più dosi ma, come spiega l’immunologo Forni «è altamente improbabile che si possano aprire veri e propri impianti capaci di far decollare immediatamente questo tipo di produzione: ci vorrebbero ancora diversi mesi prima che altre aziende producano le loro dosi».
Il vaccino di AstraZeneca invece ha una formulazione più simile a quella di altri vaccini già usati in passato. Ma anche l’azienda con sede a Cambridge ha riscontrato problemi nella produzione rispetto alle stime iniziali: la Bbc indica che le consegne del farmaco all’Unione europea del primo trimestre di quest’anno sarebbero ridotte del 60%, a circa 31 milioni. L’amministratore delegato Pascal Soriot ha spiegato che stanno facendo «di tutto per colmare il ritardo, ma sostanzialmente siamo circa due mesi indietro sulla tabella di marcia».
A ogni modo, se davvero tutte le aziende dovessero riuscire a rientrare nei tempi, da aprile ci saranno molte più dosi e le vaccinazioni potranno tornare a correre: solo in Italia nel secondo trimestre del 2021 dovrebbero arrivare circa 64 milioni di dosi divise tra le forniture di AstraZeneca, Pfizer, Moderna, CureVac e Johnson&Johnson (che si basa su una sola inoculazione). Fino ad allora con ogni probabilità sarà molto difficile accelerare la produzione.
Se non si potranno avere nell’immediato nuove dosi, potrebbe essere possibile risparmiarne alcune: venerdì scorso l’alta autorità della Salute francese ha consigliato di dare una sola dose di vaccino alle persone che sono già state contagiate dal virus. «Dopo l’autorità francese, diverse pubblicazioni recenti hanno confermato che è molto più conveniente dare una sola dose alle persone che sono già state contagiate. Credo che presto diventerà una norma più o meno ovunque», dice Guido Forni.
L’Italia, che avrebbe un discreto know-how in termini di produzione di farmaci – in Europa solo la Germania ha un’industria farmaceutica più ricca – ma è coinvolta solo marginalmente nella produzione dei vaccini anti-covid, proprio per l’elevata complessità tecnologica.
Solo lo stabilimento Catalent di Anagni partecipa in qualche modo alla realizzazione dei vaccini: si occupa di mettere nelle fiale il farmaco che arriva dagli stabilimenti di AstraZeneca. La difficoltà che avrebbe l’Italia nel dare un contributo reale all’aumento di produzione si riflette anche sul vaccino di ReiThera. Si tratta di un farmaco ancora in fase di sperimentazione e saranno necessari accordi con diversi centri produttivi adeguati per produrlo in grandi quantità: il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco Giorgio Palù ha ipotizzato per settembre l’inizio delle somministrazioni. Nulla che possa risolversi nell’immediato.