Petrolio démodéIl declino inesorabile dell’industria americana dello shale oil

Il mondo della finanza ha già voltato le spalle al settore che negli Stati Uniti sta tentando invano di rinnovarsi tagliando le spese e riducendo la produzione. Un cambiamento necessario per fermare gli investitori in fuga, ma per il momento non risulta credibile né efficace

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Più piccola, più lenta e più redditizia. Ripartirà così negli Stati Uniti, secondo un articolo del Financial Times, l’industria del petrolio prodotto dallo scisto (un petrolio non convenzionale prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso mediante i processi di pirolisi). O almeno tenterà di farlo. Negli ultimi 15 anni il settore ha registrato numeri strabilianti, raddoppiando la produzione di petrolio e gas dell’America e riducendo drasticamente la dipendenza dalle forniture estere.

Le società, però, sono state scaltre anche nell’attirare investitori, per centinaia di miliardi di dollari, senza però garantire un vero ritorno economico. Caratteristica che gli è costata un declassamento delle azioni a Wall Street e che ha reso la crisi in corso più grave del previsto.

La contrazione causata dalla pandemia ha infatti obbligato gli operatori del settore a tagliare le spese e licenziare decine di migliaia di lavoratori, oltre che a spengere impianti di perforazione e bloccare la produzione. Così ha dovuto fare anche la società statunitense Chesapeake Energy, uscita da poco dal rischio di bancarotta. La Chesapeake si è liberata dalle passività che l’hanno affondata quando la pandemia ha ridotto la domanda globale di energia, e ha abbandonato la strategia di crescita che l’ha resa un pioniere della rivoluzione dello scisto. Il valore di mercato di Chesapeake sarà molto minore dei 35 miliardi di dollari che vantava più di un decennio fa, con un raggio di interessi più piccolo: gli aumenti della produzione saranno modesti e finanziati dal flusso di cassa. E l’attività si concentrerà su un minor numero di campi di scisto, principalmente situati in Texas.

Alcuni analisti ritengono che il settore sarà ridotto ai soli 10 produttori più strutturati. «Credo che il momento di svolta sia qui e il nostro settore non tornerà mai come è stato in passato» spiega un esperto al quotidiano britannico. La domanda che però si pongono in molti è una sola: Riuscirà il nuovo volto del settore ad attirare gli investitori? I finanziatori al momento rimangono scettici, ricordando come le promesse passate si sono sgretolate quando i prezzi del petrolio sono aumentati.

In aggiunta, in un’era in cui le istanze ambientali stanno già scoraggiando gli investimenti nei combustibili fossili, la crescita a lungo termine della domanda di petrolio non è più assicurata. «Perché gli investitori dovrebbero fidarsi?» chiede Matt Gallagher, a capo di Parsley Energy, un produttore di scisto acquisito l’anno scorso dall’operatore più grande, la Pioneer Natural Resources. «Non dovrebbero», continua ancora Gallagher.

Dopo anni di crescita il modello di business ad alta intensità di cassa dello scisto si è scontrato con un mercato radicalmente diverso. La caratteristica distintiva del settore è il rapido declino delle riserve di ciascun pozzo di scisto, dove la produzione può diminuire dell’80% dopo appena un anno. Per compensare la perdita è necessario perforarne di continua, un pozzo dopo l’altro. Gli operatori hanno perforato più di 14.000 pozzi di scisto nel 2019, secondo Rystad, una società di ricerca energetica. Questo ha aiutato gli Stati Uniti a raggiungere la produzione di petrolio record di quasi 13 milioni di barili al giorno, un livello troppo alto perfino per Arabia Saudita e Russia.

Il problema, però, è che con l’avvento della pandemia l’intera macchina ha continuato a produrre senza poter vendere. Fattore che ha spinto gli investitori che si sono precipitati a finanziare la ripresa dello scisto dal crollo dei prezzi nel 2014-15 ha fuggire rapidamente, seguendo il trend già emerso nel 2019. Poi è arrivato il crollo dei prezzi dello scorso anno, compreso il momento simbolico di aprile in cui il West Texas Intermediate, il contratto di riferimento del greggio in America, è stato scambiato sotto lo zero per la prima volta.

Solo poche società di scisto hanno dimostrato di poter sopravvivere al crollo, afferma Gallagher. Mentre fusioni e acquisizioni continueranno a ridurre il numero di produttori. Lee Maginniss, amministratore delegato di Alvarez & Marsal, una società di consulenza coinvolta nella ristrutturazione dell’industria petrolifera, afferma che i produttori dovranno affrontare una pressione intensa. Da circa 500 società di esplorazione e produzione negli Stati Uniti prima del crollo solo 50 potrebbero sopravvivere, dice al Financial Times.

L’attività di fusione e acquisizione rimane comunque molto attiva: con 52 miliardi di dollari di accordi conclusi nel settore petrolifero statunitense nel 2020. Chevron si è mossa per prima, acquistando Noble Energy a luglio. ConocoPhillips ha acquistato Concho Resources. Devon Energy si è fusa con WPX Energy. Debiti pesanti, bilanci malandati e valutazioni azionarie deboli hanno fatto sì che le azioni, non i capitali, fossero la valuta di ogni operazione. La maggior parte delle attività di fusione e acquisizione si è verificata per il giacimento di scisto del Bacino Permiano, il più prolifico al mondo, dove gli operatori si concentreranno sui ricchi strati di rocce petrolifere.

«È necessario avere giocatori più grandi, giocatori più forti, team di gestione più disciplinati, bilanci più forti», dice Pierre Breber, chief financial officer di Chevron. Scott Sheffield invece, amministratore delegato di Pioneer, afferma che solo le società con una capitalizzazione di mercato superiore a 10 miliardi di dollari rimarranno interessanti per una base di investitori.

Anche il costo al barile rivede i suoi standard. Rick Muncrief, amministratore delegato di Devon, afferma che la sua azienda può andare in pareggio con 30 dollari al barile, ben al di sotto dei 50 dollari delle ultime settimane. La produzione petrolifera statunitense dovrebbe inoltre diminuire di 200.000-300.000 barili al giorno, rimanendo intorno agli 11 milioni di barili al giorno, ben al di sotto dei massimi record fissati prima del crollo dello scorso anno. «Lo scisto statunitense tornerà a crescere? La risposta è no», afferma Sheffield. «Non aspettatevi un grande aumento nella perforazione, la società non tornerà ai vecchi modelli». Anche se i prezzi del petrolio raggiungessero i 100 dollari, Sheffield afferma che la sua azienda aumenterebbe la produzione solo del 5% all’anno, meno della metà del tasso di crescita medio annuo della produzione totale di scisto tra il 2008 e l’inizio del 2020.

Gli analisti affermano che ciò sarà imposto dal mercato, che ha punito l’eccessiva crescita dell’offerta riducendo la quota di petrolio e gas nello Standard & Poor 500 quasi a una nota a piè di pagina, spiega l’articolo.

Nonostante l’ondata di pentimento degli operatori, altri analisti e investitori rimangono poco convinti delle prospettive future, affermando che le società di scisto non sono in grado di resistere a un altro aumento dell’offerta se il recente rally dei prezzi non migliorerà. Gli amministratori delegati stanno semplicemente «dicendo al pubblico quello che vuol sentirsi dire», dice Art Berman, consulente statunitense. Rinunciare alla crescita è «assolutamente antitetico al Dna delle compagnie petrolifere, e in particolare delle società di scisto». Come del resto dimostrano anche i prezzi più alti del petrolio delle ultime settimane, che sta già mettendo alla prova la veridicità della promessa.