L’Italia si affida a Mario Draghi, l’ex presidente della Banca centrale europea, per formare un nuovo governo e attuare un programma in grado di risollevare l’economia nazionale, troppo legata – anche prima della pandemia – a inefficienti modelli di gestione. Il programma di Draghi, spiega un articolo del Financial Times, prevede di sfruttare il pacchetto di sovvenzioni e prestiti sottoscritto da tutti i 27 Stati membri dell’Ue (per l’Italia si tratta circa 200 miliardi di euro) completando riforme che spesso saranno considerate impopolari e sgradevoli, ma che daranno nuova energia a un’economia che in termini reali non riesce a crescere dall’inizio del millennio.
Il successo o il fallimento di Draghi nell’impiego dei fondi europei per la ripresa e nell’avvio di riforme chiave sarà fondamentale non solo per il futuro dell’economia interna, ma anche per la credibilità dell’Italia a livello mondiale. «Questa è un’opportunità storica per il paese di investire nella sua economia e prepararsi per il futuro con un ambizioso piano di riforme», afferma Manfred Weber, capogruppo del Partito Popolare Europeo. «Ci aspettiamo che l’Italia faccia i compiti, come ce lo aspettiamo da tutti gli Stati membri. In quanto è una parte esplicita dell’accordo e pertanto tutti dobbiamo attenerci ad esso».
La notizia di Mario Draghi come nuovo premier incaricato è stata accolta con enorme sollievo a Bruxelles, data la reputazione di cui gode l’ex presidente della Bce dopo aver salvato l’euro durante la crisi del debito sovrano. In Italia invece si è ancora alle prese con interrogazioni e indecisioni dei vari partiti sul sostegno al futuro esecutivo e quindi ai piani che ne definiranno il programma. A partire da come l’Italia dovrebbe utilizzare la fetta più grande del Recovery fund dell’Ue.
In aggiunta, la politica tossica, come la definisce l’articolo, dei due governi Conte, rende, nonostante l’arrivo di Draghi, molto ballerina la posizione dell’Italia in Europa. Perché Bruxelles ha sospeso le sue norme fiscali, consentendo al debito pubblico italiano di superare il 150 per cento del Pil, ma ha fatto capire che le risorse del Recovery non arriveranno senza vincoli e programmi chiari.
L’accesso al denaro richiederà a uno Stato membro di sottoscrivere una serie di riforme normative e amministrative. Le proposte dovranno essere consegnate secondo le scadenze e i punti stabiliti in collaborazione con la Commissione, guidata dalla presidente Ursula von der Leyen, come parte dei cosiddetti piani di recupero e resilienza. «La Commissione è molto seria riguardo a questi programmi di riforma», afferma un alto diplomatico dell’Ue al quotidiano britannico. «Non lasceremo farla franca per nessun motivo».
Tra gli addetti ai lavori si respira comunque una solida fiducia nei confronti di Mario Draghi. Paolo Gentiloni, commissario Ue per l’economia, vede una grande differenza tra l’atteso governo Draghi e l’esecutivo tecnico di Monti che ha guidato l’Italia tra il 2011 e il 2013. «La missione di Monti era una missione di salvataggio. Questa è una missione per evitare di perdere un’opportunità storica, ecco perché la leadership di Draghi è così importante», spiega Gentiloni al quotidiano. «È un ambiente molto diverso da quello che avevamo otto o nove anni fa. Alcuni dei problemi sono ancora lì, ma ora c’è l’opportunità di affrontarli in un contesto positivo di forte spinta alla crescita e alla ripresa».
Negli ultimi decenni l’Italia ha compiuto alcuni progressi in settori come le pensioni e il mercato del lavoro, dice Gentiloni in un’intervista al Financial Times. Ma avverte anche che ci sono stati meno progressi in settori come il processo giudiziario e la riforma delle regole di concorrenza, oltre a una mancata riduzione della burocrazia. «Sono sicuro che Draghi utilizzerà la sua straordinaria esperienza e la sua forte leadership per far accadere le cose giuste», aggiunge Gentiloni. «Conosce molto bene tutti i colli di bottiglia, le difficoltà, le sfide legate alla realizzazione delle riforme in Italia».
Il Paese ha, ad esempio, uno dei sistemi legali più lenti d’Europa. Uno studio del 2018 del Consiglio d’Europa ha concluso che il tempo medio per la risoluzione dei processi legali era tra i peggiori in Europa e più lungo di quello di Malta e Turchia. Nel 2016 l’Italia aveva 4,1 contenziosi civili e commerciali pendenti ogni 100 abitanti, rispetto ai 2,4 in Francia e gli 0,9 in Germania. Il Paese è stato classificato al 58° posto a livello mondiale nel rapporto Ease of Doing Business 2020 della Banca Mondiale (appena sotto Romania, Kosovo e Kenya), con scarsi risultati sopratutto in merito alla formulazione dei contratti di lavoro e il pagamento delle tasse.
Lucrezia Reichlin, professoressa della London Business School ed ex capo della ricerca presso la Bce, sottolinea che Draghi non è «un tecnocrate che scende dal cielo» con l’intenzione di spingere il Paese attraverso «un corso accelerato di liberalizzazione della sua economia». Il focus delle sue proposte alla commissione deve essere quello di affrontare «l’incapacità strutturale dell’Italia di spendere denaro, che è correlata alla capacità del settore pubblico di prendere decisioni, perseguire processi trasparenti e intraprendere audit», dice Reichlin al Financial Times.
Una delle più grandi domande della Commissione all’Italia, spiega l’articolo, sarà quindi: il Paese è all’altezza di spendere saggiamente una quantità così grande di denaro come quella del Recovey in un periodo di tempo relativamente breve? La storia dell’Italia i questi termini è tutt’altro che incoraggiante. Insieme alla Spagna l’Italia ha uno dei peggiori track record di spesa efficiente dei fondi strutturali dell’Ue. Nel periodo di bilancio dell’Ue 2014-20, la Spagna è riuscita a spendere solo il 36 per cento dei fondi, con l’Italia solo leggermente migliore al 43 per cento.
Ad oggi, però, Bruxelles è stato maggiormente incoraggiato dalla bozza presentata dalla Spagna che dalle bozze di proposte discusse a Roma. Madrid prevede di ricevere circa 70 miliardi di euro in sovvenzioni nei prossimi tre anni, seguiti da circa lo stesso importo in prestiti fino al 2026. Ha già approvato un budget che le consente di prendere in prestito 27 miliardi di euro a fronte di future sovvenzioni del fondo, ha approvato la legislazione il mese scorso per eliminare le strozzature burocratiche nell’erogazione del denaro e ha stilato un elenco di circa 170 riforme da sottoporre a Bruxelles.
Tra le massime priorità nel piano di ripresa e resilienza del Paese vi sono la digitalizzazione delle imprese spagnole e la transizione all’energia verde. Altri obiettivi includono trasformare la Spagna in un hub per l’industria dei videogiochi e rafforzare il settore sportivo del paese. In Italia, invece, i leader aziendali avvertono che un piano esiste: definisce le priorità tra cui digitalizzazione, transizione energetica, salute e istruzione, ma manca di dettagli cruciali su governance e procedure di investimento.
Bisogna dire anche che trattenere gli esborsi del fondo di recupero per quei Paesi che non riescono a rispettare le scadenze innescherebbe un tumulto politico. Eppure Bruxelles non può permettersi di dare il via a un progetto che prevede miliardi sperperati, progetti abbandonati e opportunità non sfruttate per stimolare l’economia. E questo Mario Draghi lo sa bene.