«Ho trovato tutto condivisibile, non c’è niente che mi sia dispiaciuto». Andrea Orlando, ministro del Lavoro e vicesegretario del Partito democratico di Nicola Zingaretti, commenta così con La Stampa il discorso del neo segretario del Pd Enrico Letta. Anche l’idea di voler dialogare con Matteo Renzi non gli dispiace, dice. «Ritengo sia un passaggio che serva anche a fare giustizia e verità del posizionamento di ogni forza, di chi davvero sta ancora nel centrosinistra e di chi guarda ad altre prospettive».
Carlo Calenda però ha già risposto che LeU, Cinque Stelle e Azione hanno due linee diverse e che il Pd dovrà scegliere. «Serve un elemento di chiarezza», risponde Orlando. «E se vuole fare un campo largo come dice giustamente Enrico, il Pd non può accettare che si mettano preclusioni su nessuno, tanto più sull’altra principale forza, oltre al Pd, di questo campo potenziale».
Con il rilancio dello lo ius soli, Enrico Letta ha già superato a sinistra la segreteria di Zingaretti, tracciando per giunta una linea di confine netta con la Lega. Noi, commenta Orlando, «avevamo un altro obiettivo non scontato da portare a casa, il superamento dei decreti Salvini: aprendo due fronti contemporaneamente avremmo rischiato di non ottenere nulla. Invece è ragionevole che in questa nuova fase si punti a un ulteriore obiettivo di civiltà».
Salvini, però, si è già scatenato dicendo che se «il nuovo segretario del Pd torna da Parigi e parte così, parte male». Orlando dice: «Mi pare più una cavolata pensare di inibire l’attività parlamentare. Se ci fosse una maggioranza, lo ius soli andrebbe approvato. Ritengo che sui terreni di non stretta agenda del governo il Pd debba conservarsi la massima libertà di azione».
Quanto alla rinascita del Pd nelle mani di Letta, Orlando dice: «Non possiamo far gravare solo su di lui un compito immane». Certo, «restano problemi strutturali e identitari». A partire dal problema delle correnti. «Saranno superate quando ci sarà un partito in grado di esercitare pienamente le sue funzioni», dice il ministro. «Mi spiego: un forte indebolimento del partito nel corso del tempo ha prodotto la crescita di altri luoghi, talvolta impropri, in cui si svolge la selezione e la discussione dei gruppi dirigenti. Noi organizzammo Dems in modo strutturato all’indomani della catastrofe del 2018, dopo la strage delle liste fatta da Renzi. Fu un atto di resistenza, per evitare di vedere cancellata una storia politica. E Dems è stata un punto di forza per la battaglia condotta da Zingaretti».
Le correnti «hanno esondato», dice il ministro. «È la conseguenza del fatto che in molte realtà il Pd sia divenuto solo un partito di eletti, in cui la vita politica gravita prevalentemente dentro le istituzioni. Non basta demonizzare le correnti, si ridimensionano solo rafforzando la forma partito sul territorio e nei luoghi di lavoro».
Per riuscire a eliminare le correnti, secondo Orlando, vanno fatte due cose: «Bisogna investire più risorse economiche sulla struttura del partito, in particolare sulle sue articolazioni territoriali. Secondo, rafforzare le classi dirigenti, per far crescere una leva che sia autonoma e autorevole, non ostaggio di chi controlla le tessere o le preferenze. Anche tornando a fare formazione politica, oggi legata solo all’esperienza dentro le amministrazioni. In tal senso va la giusta proposta di Enrico di università della politica. Se abbiamo dirigenti strutturati, abbiamo un ruolo più contenuto delle correnti che oggi però sono l’unico luogo dove si fa dibattito politico».
Ma una discussione sull’identità va fatta, spiega. «Perché abbiamo idee diverse tra noi dem su molti temi. La sintesi non può essere l’afasia per evitare di litigare. Abbiamo rivendicato poco misure sociali assunte dal governo Conte perché ciò avrebbe provocato un dibattito interno su Stato, mercato, individuo e comunità. Un dibattito che ora dobbiamo risolvere, senza risse e senza conte».