Addio sovranismoCosa nasconde la repentina svolta pro Biden della Cechia

Praga ha accantonato quel residuo di retorica filorussa e filocinese che aveva abbracciato negli ultimi anni perché ambisce a divenire l’interlocutore privilegiato di Washington nella regione, sbaragliando la concorrenza di Polonia, Ungheria e Slovacchia

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Lo scorso primo marzo la Cechia, il secondo Stato Ue dopo l’Ungheria, ha inaugurato un ufficio diplomatico a Gerusalemme. La stampa israeliana ha celebrato l’avvenimento come il preludio al trasferimento dell’ambasciata, che però per ora rimane a Tel Aviv.  È una mossa forte, racconta molto di ciò che sta accadendo a Praga. E non si spiega solo con il generale favore che quasi tutto lo spettro ceco nutre storicamente verso lo Stato ebraico – un fattore che comunque ha pesato.

Come sottolineato dall’esperto Petr Kratochvíl, a Gerusalemme esiste già un consolato ceco. La scelta di aprirci un ufficio diplomatico non è quindi giustificabile con la necessità di assistere i turisti o i cittadini cechi residenti in città. L’operazione ha un evidente valore simbolico e politico, nonostante le smentite di rito del dicastero degli Esteri, che ha assicurato che tale provvedimento non pregiudica la posizione di Praga (e di Bruxelles) sul processo di pace in Medio Oriente.

Retorica a parte, la Cechia sembra aver già deciso da che parte del campo giocare: quella degli Usa. Anche quando questa lealtà transatlantica obblighi a tradire quello che sulla carta sarebbe il migliore amico, l’Ue, o i due concorrenti con cui le autorità ceche hanno a lungo provato a intensificare i rapporti: Cina e Russia.

La Cechia ambisce infatti a divenire l’interlocutore privilegiato di Washington nella regione, sbaragliando la concorrenza di Polonia (filo-americana fino al midollo ma destinata a venir sanzionata dall’amministrazione per le sue derive antidemocratiche); Ungheria (più autocratica ancora della Polonia, e per giunta filorussa e filocinese) e Slovacchia (visceralmente antiamericana e filorussa, recentemente ancorata alla Germania).

Dopo la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali americane, Praga ha definitivamente accantonato quel residuo di retorica sovranista, filorussa e filocinese che aveva abbracciato per indossare i panni dell’atlantista devota e incorruttibile.

Notevole l’abilità di Praga di riorientarsi subito in base a come soffia il vento. Solo lo scorso agosto, il premier Andrej Babiš aveva gelato il segretario di Stato Usa Mike Pompeo dichiarando di ambire a ricevere più investimenti da parte della Cina.

Pochi giorni fa lo stesso Babiš non ha invece esitato a rispedire al mittente dei test per il Covid19 commissionati a un’azienda cinese, che avrebbero dovuto essere distribuiti alle scuole del paese.

Perfino il presidente Miloš Zeman, un inveterato nazionalista ritenuto il riferimento della frange filorusse e filocinesi presenti nello spettro politico ceco, ha parzialmente ritrattato le proprie visioni, per esempio bacchettando la Cina per non aver tenuto fede alle promesse fatte in termini di investimenti. Anche la decisione di aprire uno sportello diplomatico a Gerusalemme, di fatto una pseudo-ambasciata, sembra esser stata caldeggiata proprio da Zeman, fautore di una linea di politica estera forse sovranista, ma sempre rigorosamente pragmatica. Cechia first.

Confermandosi un campione di Realpolitik, Praga sa bene che per l’amicizia di Washington si possono anche rischiare le lavate di capo di Bruxelles.

L’inaugurazione di questa sede diplomatica è infatti la seconda mossa con cui Praga si allinea a Washington nell’estremamente delicato scenario mediorientale, dopo la scelta di inserire anche l’ala politica (e non solo quella militare) di Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche – un secondo regalo a Israele, per inciso.

Con entrambe queste posizioni, la Cechia si è ribellata alla linea Ue, che riconosce come gruppo terrorista solo la branca militare del partito sciita libanese e ha aspramente criticato la decisione dell’amministrazione Trump di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.

Come già altri Stati Ue, tra cui Ungheria e Slovenia, la Cechia ha cinicamente ammesso che scaricare i palestinesi e farsi amici gli israeliani è un’opzione conveniente. La liaison con Israele può infatti garantire tanto, vista la supremazia tecnologica di cui gode “l’unica democrazia in Medio Oriente”.

Già il giorno dopo l’apertura dell’ufficio diplomatico, la Cechia ha ricevuto in regalo 5000 dosi di vaccino contro la Covid19 da parte dello Stato ebraico. Un privilegio che il paese mitteleuropeo ha condiviso con il Guatemala, che ha già spostato la propria ambasciata nella Città Santa, e l’Honduras, che ha in programma di farlo a breve.

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