Il Paese realeRealizzare un passaporto vaccinale non è difficile, altra cosa è riuscire a usarlo

A livello tecnologico si può creare facilmente un documento digitale per segnalare se una persona è guarita dal covid-19, se è stata vaccinata o se ha ricevuto un risultato negativo del test. E i sistemi per la tutela dei dati ci sono già. Ma è difficile sfruttarlo al meglio a causa della scarsa digitalizzazione degli uffici pubblici

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«Creare le condizioni per riaprire le attività nell’Unione europea senza rischi». Con queste parole il commissario europeo responsabile dei vaccini, Thierry Breton, ha parlato del Certificato Verde Digitale, il documento che dovrebbe facilitare la libera circolazione nell’Unione durante la pandemia.

Il certificato sarà una prova che una persona è stata vaccinata contro il Covid-19, che ha ricevuto un risultato negativo del test o che è guarita dalla malattia (per questo motivo parlare soltanto di passaporto vaccinale non è corretto), e dovrebbe diventare operativo dal 15 giugno. Chi rispetterà le condizioni potrebbe quindi usare il certificato per prendere un aereo, viaggiare con maggiore semplicità, partecipare a un evento in pubblico.

Anche il sottosegretario agli Affari europei Vincenzo Amendola ha parlato del progetto in un’intervista alla Stampa: «Il rafforzamento della campagna vaccinale va di pari passo con una programmazione delle riaperture. Per questo abbiamo deciso di lavorare su un documento (in forma di Qr code sullo smartphone o stampato) che attesti la vaccinazione, i risultati dei test e la guarigione avvenuta. Un meccanismo, comune agli altri Paesi europei, per incentivare viaggi e turismo in tranquillità. Nel rispetto della privacy e della sicurezza».

Un articolo pubblicato ieri su Agenda Digitale spiega il funzionamento pratico del certificato: «Per il documento ogni ente emittente – un ospedale, un centro di test, un’autorità sanitaria – avrà la propria chiave di firma digitale. Tutte queste saranno memorizzate in un database sicuro in ogni Paese. Per controllare il certificato sarà necessario scansionare il codice Qr così da verificare la firma e leggere i dati, idealmente. Il certificato non potrà essere registrato dai paesi visitati: ai fini della verifica, verrà controllata solo la validità e l’autenticità del certificato, verificando chi lo ha emesso e firmato. Tutti i dati sanitari rimarranno quindi nello Stato membro che ha emesso il certificato».

Inoltre la Commissione europea aiuterà anche gli Stati membri a sviluppare un software che le diverse autorità possono usare per verificare i codici Qr. Ma a livello tecnologico la realizzazione del Certificato Verde Digitale non dovrebbe presentare grosse difficoltà.

L’idea di un documento che faccia da garanzia per lo stato di salute di una persona, così come descritto da Breton e Amendola, è piuttosto semplice. Lo spiega a Linkiesta il docente del Politecnico di Milano e autore di “Il paese innovatore. Un decalogo per reinventare l’Italia” (Egea): «Questo meccanismo è già in funzione in realtà, le nostre vaccinazioni sono già certificate nei nostri fascicoli. Adesso si tratterebbe di creare un sistema che permetta di attestare con facilità quella certificazione, sia essa un foglio di carta, un pdf o un Qr code. Sul mio telefono ho già l’app Fascicolo Sanitario della Regione Lombardia: se lì aggiungessimo il dato sulla vaccinazione o sui tamponi non cambierebbe nulla a livello tecnologico e avrei raggiunto l’obiettivo».

La tecnologia non è un problema. Ma la sua applicazione potrebbe diventarlo in un’Italia in cui l’infrastruttura digitale storicamente manca di interoperabilità tra gli uffici pubblici – come scriveva Linkiesta a inizio marzo – che di fatto si comportano come se fossero separati in compartimenti stagni, incapaci di dialogare. «In Italia manca la cooperazione applicativa: ci siamo preoccupati di fare le app, però manca quello che ci va dietro, nel back-end, cioè i database e l’integrazione tra le Regioni che gestiscono la Sanità», aggiunge Fuggetta.

Aggiornare la Pubblica amministrazione, o comunque permettere agli uffici di stabilire un dialogo potrebbe creare dei problemi. Non progettare tecnicamente il certificato. Oltretutto a livello europeo si discute da anni di un passaporto sanitario digitale, che richiederebbe a maggior ragione interoperabilità tra le autorità pubbliche anche a livello europeo.

«Un fascicolo digitale europeo è sul tavolo da anni e non è un progetto particolarmente complesso. Basta affidarsi una qualsiasi azienda che prende i database li mette su un cloud e garantisce la sicurezza dei dati e il rispetto della privacy come da regolamento», spiega a Linkiesta Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi.

Carnevale Maffè solleva anche un altro punto potenzialmente critico, citato anche dal Sottosegretario Amendola, la privacy: il timore è che la condivisione di dati personali possa creare dei problemi. « Il tema della privacy – dice – non è un problema. Davvero vogliamo pensare che la nostra privacy sia meno protetta in un server di un’azienda qualsiasi, che può essere Google, Microsoft, Ibm o chiunque possa gestire quei dati, rispetto al server di una qualsiasi delle regioni italiane? E poi i dati sul vaccino devono essere pubblici. Lo scriveva addirittura Boccaccio nel Decameron che l’infettività è un dato sociale».

I dati devono anche essere protetti da eventuale falsificazione e contraffazione. Ma quei documenti potrebbero essere protetti con le stesse tecnologie che proteggono le informazioni sanitarie, i dati delle carte di credito e tutte le informazioni sensibili che già sono in rete: «I sistemi di protezione dei dati esistono già, non li stiamo inventando per questo vaccino, sarebbe assurdo. La tecnologia che protegge le nostre operazioni sull’home banking, giusto per fare un esempio, deve essere altrettanto sicura. In termini tecnici è un sistema che si mette in piedi in pochi giorni», dice Fuggetta.

Allora perché la data indicata è il 15 giugno? «Per dare a tutti gli Stati il tempo di vaccinare. In modo da non creare discriminazione tra chi ha già fatto il vaccino e chi sta ancora aspettando», ha spiegato Thierry Breton. Condizione che per Carnevale Maffè non rappresenta affatto un discrimine: «La certificazione dipende da tante cose, il vaccino è solo una di queste. La discriminazione si pone se vengono trattate in maniera diverse persone con uguali condizioni. Il certificato non è mai discriminatorio, anzi semmai certifica, quindi garantisce al prossimo la sicurezza e tutela i meno protetti. Dovrebbe partire subito».

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