Incalzata dagli Stati Membri, criticata dall’opinione pubblica, irritata per i ritardi nelle consegne di AstraZeneca, la Commissione Europea risponde al fuoco nella lunga battaglia al Covid19 e alle sue conseguenze. Ursula von der Leyen abbandona i golfini dai colori pastello e si presenta con un piglio combattivo, paventando un possibile blocco all’export dei vaccini e sfoderando l’arma che dovrebbe salvare l’estate degli europei: il Digital Green Certificate.
Cosa attesta il certificato
È un battesimo travagliato quello del certificato digitale verde, che fino a poche settimane fa si chiamava ancora Digital Green Pass. Ma la Commissione non vuole far passare il messaggio che si tratti di un passaporto, come hanno sottolineato sia von der Leyen, sia i due commissari che le facevano da alfieri nella presentazione, Thierry Breton e Didier Reynders.
«Il certificato non sarà conditio sine qua non per la libera circolazione e non sarà in alcun modo discriminatorio», spiega quest’ultimo, commissario europeo alla Giustizia. Il documento servirà a facilitare i viaggi all’interno dell’UE, senza lasciare automaticamente a casa chi non lo possiede.
Lo farà riportando tre diverse informazioni: gli attestati di vaccinazione ottenuti, i certificati dei test negativi e le avvenute guarigioni da Covid-19. In questo modo, chi è in grado di dimostrare una delle tre condizioni, dovrebbe evitare le restrizioni all’ingresso in un altro Paese Ue.
Il condizionale resta d’obbligo, perché la Commissione non può imporre le misure sanitarie ai Paesi Membri, che hanno facoltà di decidere in autonomia quali rmisure applicare a chi entra sul loro territorio. Ogni esenzione applicata dovrà però comprendere il Digital Green Certificate come prova: in sostanza le autorità nazionali potranno continuare a chiedere un tampone all’ingresso o imporre una quarantena, ma se dispensano i vaccinati da questi obblighi dovranno “fidarsi” di ciò che c’è scritto nel certificato. Anche perché sarà scritto, tra l’altro, nella lingua ufficiale del Paese emissore e in inglese: con questo formato unico per tutta l’UE, La Commissione punta a eliminare ogni possibilità di equivoco alle frontiere, dove spesso si contestano certificati validi in uno Stato ma non riconosciuti in un altro.
La proposta dettaglia anche i parametri per le tre condizioni prese in esame. La validità del certificato di guarigione dev’essere fissata a un massimo di 180 giorni, mentre i test accettati saranno sia quelli molecolari che gli antigenici rapidi. Più complicato il discorso sulle vaccinazioni, che affronta il problema di quei Paesi dove si inoculano sieri non ancora approvati dall’Agenzia Europea del Farmaco. L’esecutivo comunitario propone che il Digital Green Pass riporti ogni dose somministrata, specificandone il tipo. Poi però la palla passa agli Stati: saranno loro a decidere se sul proprio territorio un vaccinato Sinovac avrà gli stessi diritti di chi è stato immunizzato con i vaccini (finora quattro) approvati dall’Ema.
Il certificato verde digitale sarà gratuito, valido in tutti gli Stati membri e aperto quelli dello spazio Schengen: Islanda, Liechtenstein e Norvegia, più alla Svizzera. Varrà sia per i cittadini europei che per gli extra-comunitari residenti nell’Unione, ma anche per chi arriva regolarmente dall’esterno e poi si sposta da un Paese all’altro. Non apparirà necessariamente verde e nemmeno digitale, visto che il codice QR che ne attesta l’autenticità è riproducibile tanto su carta quanto su schermo.
Per quanto riguarda la privacy, la Commissione prova a fugare ogni preoccupazione con una proposta minimal: sul documento verranno riportati solo i dati essenziali all’identificazione del possessore (nome e cognome, senza il genere) e quelli rilevanti su vaccini, test e guarigioni (da dettagliare con le relative date). Il certificato, inoltre, non durerà per sempre: sarà ritirato una volta che l’Oms avrà dichiarato conclusa la pandemia e che, di conseguenza, salteranno tutte le restrizioni di viaggio fra i Paesi Ue.
La sfida sul piano operativo per la nascita del Green Digital Certificate sarà approntare un sistema tecnologico all’altezza in tutto il territorio europeo, come ha spiegato il Commissario al Mercato Interno Thierry Breton: una corsa contro il tempo, visto che la Commissione vorrebbe lo strumento pronto per giugno, prima dell’inizio delle vacanze estive.
La palla a Consiglio e Parlamento Ue
Quella sul piano legale è invece convincere Parlamento e Consiglio Europeo a dare la propria approvazione in tempi brevi. Certo la Commissione ha diverse capitali dalla sua parte: gli Stati del sud Europa spingono da tempo per l’adozione di uno strumento che salvi le loro stagioni turistiche. Se la Grecia è stata la prima a fare pressioni su Bruxelles, seguita da Malta e Portogallo, ora anche la Spagna si è iscritta a pieno titolo al club dei sostenitori di un certificato vaccinale: il tweet di sostegno del suo presidente del governo, Pedro Sánchez, parla chiaro.
Ma non dappertutto c’è la stessa fretta. Fonti diplomatiche citate dal quotidiano Politico avrebbero fatto trapelare contrarietà a un’adozione così rapida della proposta. Senza contare che ai governi dell’Europa settentrionale non deve sembrare la fine del mondo il fatto che per un’estate i propri cittadini spendano i loro soldi in patria. Secondo gli ultimi dati Eurostat, la Germania è prima nell’UE per pernottamenti turistici nel 2020, un risultato difficile da immaginare senza pandemia.
Dall’emiciclo comunitario invece ci si aspetta un rigoroso esame delle modalità con cui saranno gestiti i dati e un ruolo da garante sul diritto alla riservatezza dei cittadini europei. Le prime reazioni dei gruppi politici sono positive: socialisti, conservatori, liberali e Verdi esprimono soddisfazione per l’idea di un sistema omogeneo invece di 27 differenti, anche se questi ultimi sottolineano come il nuovo certificato non debba comportare discriminazioni di sorta per i non vaccinati.
«Potrebbe essere un’opportunità di rilancio per tutti i settori dell’economia che stanno risentendo delle chiusure, oltre che per ristabilire la normalità nella vita di tutti noi», dice a Linkiesta l’eurodeputato dei Verdi/Ale Piernicola Pedicini, mettendo però in guardia contro un uso “invasivo” dello strumento come biglietto d’ingresso a ristoranti e attività ricreative.
Ci sarà comunque modo di raffinare la proposta della Commissione in Parlamento, mentre quello che manca ora all’Europa sono piuttosto le dosi di vaccino, hanno fatto notare diversi eurodeputati. L’intera strategia del Digital Green Certificate si regge infatti su un tasso alto di immunizzazioni nella popolazione europea. Ursula von der Leyen ha detto che per fine giugno potranno essere vaccinati più di 200 milioni di cittadini, rimanendo in tabella di marcia nonostante le défaillance di AstraZeneca.
Ma per ottenere ciò che le spetta, la Commissione è pronta a “usare ogni strumento possibile”, ha detto sibillina. Con un giro di parole facilmente decodificabile, la presidente ha messo nel mirino il Regno Unito, che importa vaccini prodotti in Europa ma non prevede che i gli stabilimenti sul suo territorio riforniscano gli europei, pur senza applicare tecnicamente un divieto di esportazione. Senza il numero di dosi necessario, salterebbe l’intero piano vaccinale. E a poco servirebbe un certificato per viaggiare in un continente in lockdown.