Aggiornamento necessarioPerché la Pubblica amministrazione è così in ritardo nei servizi digitali (e cosa sta cambiando)

Con la pandemia c’è stata una grande accelerazione nell’utilizzo di siti e app governative. Ma in Italia c’è ancora molta strada da fare per un vero rinnovamento tecnologico della PA: il paese si trascina da tempo problemi in termini di governance, di coordinamento tra gli uffici pubblici, di scollamento tra i diversi enti, oltre a una scarsa competenza dei cittadini

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Nell’ultimo anno è diventata sempre più evidente la necessità di digitalizzare i servizi della Pubblica amministrazione. Le persone costretta in casa dalle restrizioni e dalla paura del contagio hanno iniziato a usare i siti e le app governative per fare delle operazioni essenziali – non ultimo, ricevere il bonus vacanze, il cashback e altri ristori.

L’accelerazione nell’utilizzo dei servizi digitali offerti dallo Stato si ritrova ad esempio nelle registrazioni delle identità digitali: lo Spid, il sistema unico di accesso con identità digitale ai servizi online della pubblica amministrazione, oggi conta 17,5 milioni di utenti. Un anno fa, a febbraio 2020, erano meno di 6 milioni.

Ma non solo. Ad aprile dell’anno scorso era stata lanciata l’app Io che, nonostante le molte critiche sul funzionamento e l’utilità del servizio, in meno di un anno conta già oltre 10milioni di download, con un picco registrato a inizio dicembre, quando è stato lanciato il Cashback.

E lo stesso vale per Pago PA, il sistema di pagamenti elettronici per i servizi della Pubblica amministrazione. Ad oggi conta 200milioni di transazioni, ma oltre la metà di queste è avvenuta nel 2020. E quest’anno sono già quasi venti milioni di transazioni, con stima annuale che potrebbe raggiungere i 170milioni (il tasso di crescita a 12 mesi segna +71%).

La spinta verso la digitalizzazione non ha riguardato solo la Pubblica amministrazione. Lo scrivevamo qui a Linkiesta a fine febbraio, in un articolo firmato da Carolina De Giorgi: «Sono oltre un milione gli italiani che si sono connessi ad internet per la prima volta nel corso del 2020. A confronto, i nuovi connessi del 2019 erano stati meno di un terzo».

Insomma, il Covid-19 è diventato un’opportunità per la trasformazione tecnologica, e lo stesso Next Generation Eu – che prevede che almeno il 20% del pacchetto sia stato destinato al settore digitale – dovrebbe contribuire a digitalizzare, velocizzare e rendere più efficienti molti servizi, pubblici e privati. Una trasformazione che con l’arrivo della pandemia sembra sempre più urgente.

Ma se la Pubblica amministrazione sta vivendo una transizione digitale così evidente è anche perché prima della pandemia i suoi servizi online erano usati relativamente poco. I dati Eurostat vedono l’Italia in fondo alla classifica dell’eGovernment: solo il 19% dei cittadini italiani usava i servizi della Pubblica amministrazione online (penultimo posto europeo, davanti alla sola Romania).

Certo, negli ultimi mesi, e in particolare nelle ultime settimane, il numero sarà certamente cresciuto rispetto alle rilevazioni (che risalgono al periodo pre-pandemia). Ma difficilmente l’aggiornamento dei dati porterà l’Italia in vetta alla classifica.

«Se gli italiani non usano i servizi digitali una prima è innanzitutto per una scarsa conoscenza da parte dei cittadini del fatto che alcuni servizi possono essere fruiti in modalità digitale, oppure una scarsa competenze digitali dei cittadini: l’Italia è spesso agli ultimi posti in tutte le classifiche sullo sviluppo delle competenze digitali in Europa», spiega a Linkiesta Luca Gastaldi dell’Osservatorio Digitale del Politecnico di Milano.

Secondo il Digital Economy and Society Index 2020 (Desi) gli italiani sono gli ultimi in Europa per competenze digitali: solo la scorsa estate l’Italia si è dotata per la prima volta di una strategia nazionale per le competenze digitali, con l’impegno di raggiungere il 70% di popolazione con competenze digitali di base entro il 2025 e raddoppiare i possessori di competenze digitali avanzate.

Potrebbe essere un problema di fiducia, dei cittadini, nei confronti dei servizi digitali. Un problema che fa il paio con uno dei temi che Gastaldi indica tra i più urgenti: quello della sicurezza dei dati gestiti dagli uffici pubblici. «Oggi i dati dei cittadini di un qualsiasi comune – dice – si trovano in server qualunque, soggetti a possibili attacchi, e che magari sono buttati in uffici pubblici non proprio inaccessibili. Ecco, con il cloud computing si potrebbe creare una banca dati nazionale, dismettere questi piccoli data center e far gestire a un solo ente pubblico tutti i dati anziché lasciarli in mano ai dipendenti di comuni molto piccoli in cui magari mancano anche le competenze per gestire questi dati».

L’idea di creare una gestione centralizzata apre una finestra su altri due nodi storici della Pubblica amministrazione: da un lato la frammentarietà dei servizi; dall’altro la grande differenza che c’è tra diversi enti pubblici, con nette divisioni geografiche.

Lo spiega a Linkiesta il direttore dell’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano Michele Benedetti: «Uno dei punti critici del processo di trasformazione digitale è la frammentarietà del sistema pubblico: gli 8mila comuni italiani, ad esempio, hanno autonomia nella scelta su moltissime cose. E per quanto ci siano delle linee guida nazionali non sempre sono in grado di gestire i processi di cambiamento e di aggiornamento che l’innovazione tecnologica richiederebbe: occorre strutturare una governance nazionale, per accompagnare gli enti territoriali nella transizione digitale».

Un esempio di governance nazionale digitalizzata di un servizio pubblico è quello dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (Anpr). Nel 2016, quando il lavoro del Team Digitale era appena iniziato, un solo comune su 8mila era collegato, Bagnacavallo in provincia di Ravenna. Meno di cinque anni più tardi l’Anpr è una rete che conta oltre 7.200 comuni italiani, più di 56 milioni di cittadini: fa pensare che un processo di trasformazione digitale, e di efficienza, a livello nazionale sia possibile.

Digitalizzare non è solo poter fare al computer quello che prima era su carta – su cui l’Italia comunque sconta un grosso ritardo, per decenni di documentazione cartacea ancora presente negli uffici pubblici – ma anche una trasformazione dei processi interni alla Pubblica amministrazione, condizione necessaria per poter snellire l’intero apparato burocratico.

Come dice Luca Gastaldi dell’Osservatorio Digitale, lo Spid, l’app Io, il Cashback, Pago PA e altri servizi sono solo la punta dell’iceberg, «i nodi si formano nel coordinamento tra gli uffici, che non dialogano tra loro. Il fatto che lavorino per compartimenti stagni rallenta ogni processo».

Una necessità evidenziata anche da uno studio Uil-Eures pubblicato la scorsa estate: «Il livello di coordinamento e comunicazione tra le diverse Pubbliche Amministrazioni ci vede al di sotto della media europea (48,3% contro 59,4%)».

Ovviamente creare una rete nazionale significa anche mettere in connessione i diversi enti territoriali e portarli allo stesso livello. E qui c’è il nodo delle differenze tra i diversi enti, tra un territorio e l’altro.

Lo studio Uil-Eures indica le maggiori criticità tra i comuni più piccoli: tra i quasi 2 mila comuni con meno di mille residenti solo il 33,7% ha interamente digitalizzato almeno un servizio al pubblico, e si arriva al 40,8% tra i comuni che contano tra i mille e i duemila abitanti. Mentre si arriva all’81% nei 104 comuni che contano almeno 60 mila abitanti.

Sono le stesse differenze che poi si riflettono a livello regionale. Il Digital Economy and Society Index regionale del 2020 – elaborato dall’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano in collaborazione con Agcom, Cisis, le regioni Emilia-Romagna e Piemonte – sottolineava come le regioni italiane siano entrate nella pandemia con sensibili differenze territoriali: se da una parte c’è la Lombardia, con un punteggio pari a 72 su 100, dall’altro c’è la Calabria con 18,8.

«In generale, delle undici regioni con un punteggio superiore alla media italiana, otto sono del nord (Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Liguria, Piemonte, e province autonome di Trento e Bolzano) e tre del centro (Lazio, Toscana, e Umbria). Al di sotto della media italiana troviamo tutte le altre regioni, in particolare le ultime (sotto i 45 punti) sono tutte regioni del Mezzogiorno. Emerge pertanto un gap tra nord e sud del paese che abbiamo già rilevato in passato e che non siamo riusciti ancora a colmare», si legge nel report.

Digitalizzare e rendere più efficienti i servizi della Pubblica amministrazione era un imperativo prima della pandemia – da anni si discute di una riforma che snellisca le procedure – e lo è ancor di più adesso. Grazie anche ai fondi del Next Generation Eu, il 2021 potrebbe essere l’anno in cui la transizione al digitale italiana riduce il ritardo rispetto agli altri Paesi europei e quelli interni, tra una regione e l’altra, tra un comune e l’altro. Il percorso verso la digitalizzazione è ancora lungo, ma è un obiettivo da raggiungere quanto prima e la pandemia lo ha reso ancora più urgente.

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