Chi li capisce è bravo. Dopo tante fatiche, proprio adesso che Giuseppe Conte sembra deciso a realizzare il grande sogno di Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, portando stabilmente il Movimento 5 stelle nel centrosinistra, anzi, di più, addirittura nel Partito del socialismo europeo, ecco che le cose si complicano d’improvviso.
Per l’ingresso nel Pse, infatti, decisivo sarà l’assenso del Partito democratico. Peccato che dalla delegazione europea del Pd sia tutto un prendere tempo, un distinguere, un frenare, un interminabile florilegio di se, ma e però.
Si capisce che si arrabbi Carlo Calenda, già pronto a lasciare anche il gruppo al Parlamento europeo, qualora accogliesse i cinquestelle. Non fa una piega: è quello che il leader di Azione ha sempre detto e fatto in Italia, non si vede perché dovrebbe fare diversamente a Strasburgo.
Stupisce piuttosto la reazione di un esponente vicinissimo a Zingaretti come Massimiliano Smeriglio, che dichiara a Repubblica: «È un passaggio politico fondamentale al quale però dobbiamo arrivare con la massima cautela, la discussione deve essere vera».
Freddino anche il capodelegazione, Brando Benifei, secondo il quale «non ci sono esiti preconfezionati di questo dialogo ma c’è la volontà di lavorare insieme». Per non parlare di chi dell’alleanza strategica non si è mai mostrato particolarmente entusiasta, come Pierfrancesco Majorino, che scandisce: «I gruppi politici europei non sono dei tram su cui salire a piacimento».
Ma come sarebbe? Non era Giuseppe Conte il principale punto di riferimento «di tutti i progressisti», nessuno escluso? Da oltre un anno i vertici del Pd lo hanno incoronato leader del centrosinistra, novello Romano Prodi, nelle ultime settimane del suo governo hanno tentato in ogni modo di inchiodarlo a Palazzo Chigi, hanno twittato #AvanticonConte, gridato «o Conte o il voto». E ora che lui finalmente si decide – lasciando intendere di essere pronto persino a rompere l’opaco vincolo di sudditanza a piattaforme e pseudo associazioni casaleggesi – ebbene, proprio adesso fanno i difficili?
Certo, un filo d’imbarazzo, sulle prime, si può anche comprendere. Specialmente dopo aver letto le sue parole alla riunione dell’hotel Forum in cui si è tenuta la Bad Godesberg del grillismo, quella da cui è uscito un guitto vestito da astronauta seguito da una sfilza di comici minori abituati a fargli da spalla.
Stando infatti alla ricostruzione di Annalisa Cuzzocrea pubblicata ieri su Repubblica, le parole dell’Avvocato del Popolo sarebbero state queste: «È evidente che per noi l’asse è quello di centrosinistra, sono i temi che ci portano lì. Al contempo, però, dobbiamo avere quel populismo sano che è stato motore del mio primo governo, non per prendercela con gli immigrati o parlare alla pancia del paese, ma per non subire le lobby che in Italia hanno influenza soprattutto sul centrosinistra».
Si capisce che la bandiera del «populismo sano», per di più identificato con il suo primo governo, quello con Matteo Salvini, il più a destra della storia repubblicana, ai democratici possa risultare un po’ sgradevole.
Ma è pur vero che, se guardiamo al merito dei provvedimenti, tale bandiera Conte avrebbe potuto a buon titolo rivendicarla a entrambi i suoi governi, compreso dunque quello fatto assieme ai simpatici lobbisti del centrosinistra (sempre stando alle sue parole).
Notevole anche la disinvoltura di quel «non per prendercela con gli immigrati», che assomiglia a una via di mezzo tra una confessione, una battuta involontariamente autoironica e un lapsus freudiano. Ma è da escludere che chi si è tenuto oltre un anno persino i decreti Salvini, come hanno fatto i pazientissimi corteggiatori di Largo del Nazareno, possa essersi irritato per simili sottigliezze.
Il primo sondaggio sul nuovo Movimento 5 stelle guidato da Conte, effettuato ieri da Swg per il TgLa7, dà i grillini al 22 per cento (+6,2) e il Pd al 14,2 (-4,3).
Possibile che la ragione dell’improvvisa ritrosia dei democratici ad accogliere i cinquestelle nella grande famiglia del socialismo europeo sia così meschina? Si stenta davvero a crederlo, a fronte di quella che appare obiettivamente una convergenza totale, sul piano politico e ideale, a coronamento di una strategia perseguita dal Pd con la tenacia di un corteggiatore d’altri tempi.
Anzi, essendo ormai praticamente la stessa la linea politica, e lo stesso il leader, non si capisce cosa trattenga ancora gli attuali vertici del Nazareno dall’aderire direttamente al Movimento 5 stelle.