È in corso una svolta nello scenario delle materie prime che riforniscono la produzione industriale. Cambiano i materiali, cambiano le determinanti economiche, e in breve tempo può cambiare il rapporto con le risorse primarie e il patrimonio naturale. Un elemento centrale di questi cambiamenti risiede nella comparsa sul mercato di nuovi materiali che definiremo “circolari”.
Questo volume esplora il mondo delle nuove materie prime che, pur prodotte con impatti ridotti sulle risorse naturali, offrono prestazioni e caratteristiche sempre più vicine ai materiali tradizionali. Verrà proposta una definizione di questa categoria di materiali e ci si interrogherà sul contributo che offrono ai processi di ottimizzazione delle risorse; e infine si fornirà una serie di casi-studio concreti attraverso alcune “storie” di materiali circolari, esempi tangibili di questo cambio di paradigma.
La materia è finita
La percezione della finitezza delle risorse ha da sempre accompagnato l’uomo e lo sviluppo delle civiltà; la corsa alle materie prime, fossero esse di tipo alimentare, manifatturiero, o energetico, è stata determinante nelle politiche, nei conflitti e negli spostamenti di merci e persone – basti citare le vie del sale, della seta o delle spezie; la corsa all’oro o le campagne del grano; fino alle più recenti guerre per il petrolio.
Tuttavia, se un tempo tale percezione si esplicitava in una prospettiva locale e immediata, attraverso carestie, siccità, o l’indisponibilità di materie prime per condizioni geografiche o economiche, con il tempo essa ha assunto contorni e dimensioni più complesse e sfumate.
A seguito della Rivoluzione industriale, infatti, e in particolare a partire dal secondo dopoguerra, lo straordinario sviluppo tecnologico dell’Occidente ha determinato un’improvvisa ricchezza complessiva e una percezione di disponibilità di prodotti e materiali pressoché infinita.
A questo fenomeno hanno contribuito diversi fattori: il boom economico e la nascita della cosiddetta “società dei consumi”; la plastica come materiale dalle illimitate possibilità applicative e originata da una materia prima abbondante e a buon mercato come il petrolio; lo sviluppo dei trasporti di materiali e prodotti, che iniziano a spostarsi rapidamente nel mondo consentendo un approvvigionamento di risorse anche da luoghi lontani e attivando quel processo che oggi definiamo “globalizzazione”.
Questa illusione di infinitezza è stata quindi nel contempo causa ed effetto dello sviluppo di un modello di produzione e consumo, definito “lineare”, ancora oggi praticato in gran parte dell’industria globale, basato su produzione-uso-dismissione dei beni. Un ciclo “produco, utilizzo e butto via” che è sempre più rapido, perché per alimentare questo meccanismo e generare una crescita dei consumi il modello lineare non può che prevedere la riduzione dei tempi di vita dei prodotti, tipicamente attraverso politiche più o meno consapevoli di obsolescenza programmata, di tipo funzionale e semantico.
I prodotti, siano essi a elevato contenuto di tecnologia o, all’opposto, di valori immateriali, come avviene nella moda, invecchiano sempre più velocemente, richiedendo una sostituzione con cicli temporali sempre più ridotti. Anche quando il loro valore è riconducibile ad aspetti intangibili, essi sono pur sempre fabbricati a partire da materie prime che tangibili lo sono eccome, e spesso sono anzi preziose, come nel caso, per esempio, di smartphone e tablet, la cui componente elettronica contiene argento, platino, rame, oro, terre rare.
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Pensare i materiali circolari in un’ottica di aumento di valore, e non di diminuzione: è questa la rivoluzione copernicana che è già parzialmente in atto e che viene perseguita con sempre maggiore convinzione, progettando le pratiche di re-immissione nei cicli produttivi (re-cycling) in una logica di ‘upcycle’.
Se a partire dagli anni Cinquanta le materie plastiche avevano sostituito progressivamente quelle di origine naturale, oggi assistiamo a un processo inverso: materie naturali che occupano spazi fino a ieri presidiati da materiali sintetici o comunque non rinnovabili, perché in grado di rispondere efficacemente ai requisiti tecnici anche per applicazioni avanzate.
Parliamo di materie plastiche bio-based, ma anche di compositi in cui fibre di lino, lunghe e resistenti, vengono impiegate in sostituzione della fibra di carbonio, con risultati in alcuni casi addirittura superiori; di isolanti per edilizia realizzati recuperando materiali naturali di risulta, come i batuffoli di Posidonia che si accumulano sulle spiagge del Mediterraneo; di materiali da costruzione e rivestimento, o malte in cui la componente oleosa è costituita da olio di semi di girasole.
Il design riveste un ruolo centrale nella conversione del modello economico attuale verso la circolarità. Mentre la Ellen McArthur Foundation lancia il Circular Design Programme, che punta a coinvolgere 20 milioni di designer in quella che è la rivoluzione progettuale del secolo, sono sempre di più le scuole di design che inseriscono nei programmi corsi legati all’economia circolare: non solo per il disegno industriale, ma anche per il design dei materiali e dei servizi.
È anche questo stimolo accademico a dare origine a molte start-up, che operano con un approccio multidisciplinare, incrociando competenze creative con altre più scientifiche.
È uno degli imballaggi più efficienti che esistano. Non stiamo parlando di qualche invenzione ecologica dell’ultimo momento, ma di un contenitore che esiste dalla notte dei tempi e che non è nemmeno d’origine umana. L’uovo, il contenitore brevettato dalla natura per conservare e sviluppare ciò che c’è di più prezioso: la vita.