Il piano economico disegnato dall’amministrazione di Joe Biden è passato nonostante i numeri risicati al Senato, con 50 voti favorevoli e 49 contrari. L’American Rescue Plan Act tornerà alla Camera dei Rappresentanti del Congresso per un passaggio formale e poi diventerà legge. Si tratta di un programma da 1.900 miliardi di dollari: c’è un bonus di 1.400 dollari per centinaia di milioni di americani, sussidi di circa 300 dollari a settimana fino al 6 settembre per chi ha perso il lavoro, fondi aggiuntivi per i vaccini e poi altri provvedimenti sulla scuola, le famiglie, il lavoro.
«È un grande esempio di forza democratica da parte dell’amministrazione Biden, che affronta la crisi economica e sociale dando prova di una leadership che stimolerà la domanda globale e aiuterà la ripresa in tutto il mondo nel 2021», scrive Foreign Policy. L’articolo firmato da Adam Tooze – professore di storia e direttore dell’Istituto di studi europei alla Columbia University – fa parte del dossier della rivista che analizza nel dettaglio i primi 100 giorni in carica di Joe Biden, raccontandone le politiche amministrative man mano che vengono messe in campo.
Il bazooka economico di Biden non è necessariamente la misura voluta da tutta la base del Partito democratico. È un programma rimodellato dopo giorni e giorni di compromessi: la parte più progressista avrebbe voluto un pacchetto di investimenti destinati alla legge sul salario minimo, da fissare a 15 dollari l’ora. «Ma è senza dubbio vero che la portata e l’estrema urgenza del pacchetto sono anche conseguenza della palese inadeguatezza del sistema di welfare contro la disoccupazione degli Stati Uniti: da qui si può solo sperare che nel tempo l’amministrazione Biden arrivi a costruire un sistema più adeguato», scrive l’autore dell’articolo.
Inoltre è importante ribadire la portata di un’iniezione di spesa da quasi duemila miliardi di dollari, che passa al Senato senza un singolo voto dell’opposizione repubblicana: il compromesso tra l’anima più centrista e quella più progressista dei democratici non può aver minato più di tanto il valore di una simile riforma.
L’articolo di Adam Tooze si concentra poi su un altro aspetto sotteso da questa vittoria politica di Biden: il ruolo degli Stati Uniti sulla scena mondiale e la loro credibilità come leader del mondo democratico.
Alla luce degli eventi recenti, si legge nell’articolo, qualsiasi pretesa al ruolo di leader globale da parte del presidente Joe Biden può sembrare vuota, forse fuori luogo: negli Stati Uniti c’è ancora l’ex presidente Donald Trump che si rifiuta di uscire di scena; su Washington incombono ancora le ombre sulle elezioni di novembre e sugli avvenimenti del 6 gennaio; in più i repubblicani sembrano sempre più ostinati e determinati a fare ostruzionismo al Congresso; e la battaglia per proteggere i diritti di voto degli Stati Uniti è ancora lontana dalla fine.
«Ma la leadership democratica richiede non solo lo stato di diritto e il rispetto della correttezza costituzionale. Richiede qualcosa di più di un comportamento ragionevole dei suoi attori protagonisti. Deve anche essere dimostrato, in poche parole, con i provvedimenti giusti quando ce n’è la possibilità, se sono necessari», spiega l’autore dell’articolo. E poi ancora: «La democrazia si misura in base alla rapidità e alla forza con cui risponde alla crisi, in particolare quando quella stessa crisi colpisce le persone più in difficoltà e con minori tutele da parte della società. Il sistema politico deve avere contatto con la realtà e percepire l’urgenza del momento: a volte la democrazia consiste proprio nel garantire che i processi politici non siano un ostacolo per quelle persone».
Dietro la politica economica di Biden si nascondono diversi rischi. Intanto quello di una crescita dell’inflazione: al momento i mercati obbligazionari sembrano testimoniare questo timore, anche perché l’amministrazione sembra orientata su una strategia in cui sbagliare per eccesso, fare troppo, è meglio che fare troppo poco.
«Per più di una generazione, fino al 1993 e all’amministrazione Clinton, sia nella politica fiscale che in quella monetaria, la preferenza è stata di sbagliare per difetto, intervenire con una piccola quantità di denaro quando si trattava di stimoli e aumentare i tassi di interesse preventivamente, nel caso», spiega Tooze su Foregin Policy, aggiungendo che però questo atteggiamento ha spesso lasciato milioni di persone disoccupate quando avrebbero potuto trovare un lavoro.
Non solo, spesso negli Stati Uniti questo atteggiamento della politica ha indebolito la posizione di contrattazione dei lavoratori quando avrebbero potuto chiedere condizioni e retribuzioni migliori; ha reso più difficile la mobilitazione del lavoro organizzato; ha minato le ragioni per aumentare i salari minimi a un livello decente; ha anche fornito pochi incentivi a dare la priorità agli investimenti per aumentare la produttività del lavoro.
E tutto questo ovviamente ha prodotto un aumento delle disuguaglianze all’interno di un Paese che ha svantaggiato in modo sproporzionato i lavoratori di alcune minoranze, soprattutto quella afroamericana.
«Spendere denaro ora per ottenere la ripresa più rapida possibile è l’imperativo di questa fase. È un bene per l’economia a lungo termine, ma è anche il presupposto essenziale per una politica orientata alla giustizia sociale e in particolare alla giustizia razziale. L’obbligo di piena occupazione sancito dall’Humphrey-Hawkins Act del 1978 è un’eredità del movimento per i diritti civili: l’amministrazione Biden è probabilmente la prima a prendere quell’impegno sul serio, così come dovrebbe essere sempre», si legge nell’articolo.
Infine, il pacchetto di stimoli pianificato dall’amministrazione Biden è anche un messaggio politico: è il primo passo verso un tentativo vigoroso di spezzare il ciclo vizioso che vede puntualmente il presidente democratico perdere alle elezioni di mid-term (e trovarsi in minoranza al Congresso) dopo la vittoria delle presidenziali: in una fase così delicata una ripetizione di quanto accaduto con Bill Clinton nel 1994 o con Barack Obama nel 2010 sarebbe un disastro.