Approvato a metàL’Equality Act divide gli Stati Uniti e preoccupa la comunità cattolica

Alla Camera dei Rappresentanti è passata la legge che vieta la discriminazione sulla base di identità di genere e orientamento sessuale. Lo scoglio è però il Senato che ha una risicata maggioranza democratica. Dura l’opposizione dei vertici della Conferenza episcopale

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Nello stesso giorno in cui Biden annunciava il traguardo dei 50 milioni di vaccini contro il Covid-19 negli Stati Uniti, la Camera dei Rappresentanti ha approvato l’Equality Act che vieta «la discriminazione sulla base del sesso, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale».

Sono 224 i voti favorevoli – compresi tre provenienti dalle file del Partito Repubblicano – e 206 i contrari per un disegno di legge che, proposto la prima volta nel 2015, era stato già approvato dal ramo basso del Congresso nel 2019 ma poi era stato affondato al Senato durante la presidenza Trump. Motivo, allora, quello della presunta violazione della libertà religiosa. Ma lo scoglio ancora oggi resta sempre al Senato, la cui attuale composizione è di 50-50 con una risicatissima maggioranza democratica dopo l’insediamento di Kamala Harris.

Alcuni senatori repubblicani hanno già espresso la loro opposizione, tra cui Mitt Romney. L’ex candidato del Gop alle presidenziali del 2012, ha infatti dichiarato che voterà contro il disegno di legge se non si aggiungerà un emendamento che garantisca «forti tutele alla libertà religiosa». I senatori repubblicani potrebbero d’altra parte prolungare indefinitamente il dibattito sul disegno di legge con la procedura dell’ostruzionismo (filibustering). Per uscire dall’impasse sarebbe allora necessario approvare un’apposita mozione, che da regolamento del Senato richiede la maggioranza dei tre quinti dei membri in un numero fissato a 60. 

L’Equality Act, che, integrando il Civil Rights Act del 1964, estende anche all’orientamento sessuale e all’identità di genere il divieto di discriminazione basato su etnia, colore, religione, sesso e nazionalità, desta soprattutto preoccupazioni per la riformulazione della Sezione 1107. Viene infatti detto che il Religious Freedom Restoration Act del 1993 non potrà essere invocato per eventuali ricorsi contro l’applicazione dei titoli II, III, IV, VI, VII e IX del Civil Rights Act del 1964 con riferimento all’orientamento sessuale e all’identità di genere. L’uno e l’altra, per capirsi, sono indicati come inclusi nel termine sex alla luce della decisione Bostock v. Clayton County (15 giugno 2020), con cui la Corte Suprema ha stabilito che il divieto di discriminazione lavorativa del Titolo VII del Civil Rights Act del 1964 «sulla base del sesso» è appunto da estendersi anche a «orientamento sessuale e identità di genere».

Ad andare subito all’attacco, com’era prevedibile, i vertici della Conferenza episcopale cattolica, che, il 23 febbraio due giorni prima dell’approvazione dell’Equality Act alla Camera dei Rappresentanti, hanno scritto una lettera di fuoco ai componenti del Congresso per esprimere ferma opposizione alla legge. A firmarla i presidenti delle Commissioni per l’Educazione cattolica (Michael C. Barber, vescovo di Oakland), per la Giustizia interna e lo Sviluppo umano (Paul S. Coakley, arcivescovo di Oklahoma City), per la Libertà Religiosa (cardinale Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York), per le Attività Pro-Life (Joseph F. Naumann, arcivescovo di Kansas City) e dal presidente della Sottocommissione per la Promozione e la Difesa del matrimonio (David A. Konderla, vescovo di Tulsa).

I presuli hanno espresso non solo preoccupazione per l’abrogazione parziale del Religious Freedom Restoration Act del ’93. Ma si sono scagliati contro quella che hanno bollato come «un’imposizione da parte del Congresso di nuovi punti di vista divisivi riguardo al “genere” su individui e organizzazioni. Questo include il non riconoscimento delle differenze sessuali, presentando falsamente il “genere” solo come un costrutto sociale» con tanto di esplicito richiamo a Papa Francesco e al numero 56 dell’esortazione postsinodale Amoris Laetitia.

Rilievo, peraltro, non fondato perché il disegno di legge non presenta affatto il genere come mero costrutto sociale. Anzi, specificando il termine sesso, afferma che esso include fra l’altro, oltre all’orientamento sessuale e all’identità di genere, proprio le differenze o caratteristiche sessuali. 

Disappunto, inoltre, per l’obbligo di sostenere le transizioni di genere e preoccupazione per una normativa che, a loro dire, «punirebbe enti di beneficenza basati sulla fede come rifugi e agenzie di affidamento e, a loro volta, le loro migliaia di beneficiari, semplicemente a causa delle loro convinzioni sul matrimonio e sulla sessualità».

Ma a Linkiesta Antonio Rotelli spiega perché l’Equality Act, soprattutto nella riformulazione della Sezione 1107, costituisca un assillo per gli oppositori, che agitano il solito spettro di libertà conculcate: «La novella legislativa stabilisce che non ci potranno essere discriminazioni contro le persone Lgbti+ neppure come eccezione religiosa, quella prevista dalla citata legge del 1993. Il significato di questo passaggio è cruciale, anche se continua a essere oggetto di contestazioni».

Come rilevato dal giurista pugliese, «non si chiede alle istituzioni religiose di rinunciare alle loro convinzioni, ma quando le stesse agiscono nello spazio pubblico, per esempio gestendo un qualunque servizio finanziato con soldi pubblici, dal rifugio per i poveri, a un ospedale, al servizio per l’adozione di minorenni, devono tenere conto che l’utenza è fatta da tutti cittadini, sia di fede diversa, sia senza fede, sia con caratteristiche personali – come l’orientamento sessuale o l’identità di genere – che non possono essere causa di discriminazione».

Cosa che sembra d’altra parte essere ben chiara alla maggioranza della popolazione a stelle e strisce. Secondo un sondaggio del Public Religion Research Institute circa l’83% degli americani, compreso il 68% dei repubblicani, è infatti favorevole a leggi che proteggano le persone Lgbti+ dalle discriminazioni in ambito lavorativo, nella destinazione di alloggi, nella scuola, nelle strutture sanitarie. 

Secondo Antonio Rotelli, «se la legge verrà approvata definitivamente, finalmente si comincerà a porre fine alle troppe discriminazioni che le persone Lgbti+ subiscono negli Stati federati vedendosi negare beni fondamentali per la vita di ogni essere umano come, per esempio, il diritto alla casa, al lavoro, all’educazione, l’accesso ai servizi e agli interventi finanziati da programmi federali. La legge incorporerà così anche la sentenza della Corte Suprema che solo lo scorso anno aveva fatto cessare la discriminazione in ambito lavorativo motivata dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.

Con l’esplicita indicazione della legge, le persone Lgbti+ verranno liberate dal peso, dal costo e dall’incertezza di dover ricorrere ogni volta in tribunale per sperare di ottenere la parità di trattamento in molti ambiti. Poche leggi negli Stati Uniti hanno ricevuto un appoggio così trasversale politicamente, maggioritario nella popolazione e sostenuti ampiamente da tutte le associazioni che si occupano dei diritti delle persone». 

D’altra parte l’approvazione definitiva dell’Equality Act costituirebbe un ulteriore traguardo per Biden: è infatti uno degli atti che, durante la campagna presidenziale, aveva promesso per i primi cento giorni della sua amministrazione. La quale, giova ricordarlo, è stata finora già segnata da memorandum e ordini esecutivi a tutela delle persone Lgbti+. 

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