Come si può migliorare la globalizzazione? E seguendo quali principi? In molti se lo stanno chiedendo, ma in pochi hanno le risposte giuste per ripartire nel mondo post-Covid. Uno di questi è Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra e ottavo governatore della banca centrale canadese, carica attraverso cui è riuscito a proteggere il Canada dagli effetti della crisi finanziaria di fine anni 2000.
E proprio dalla crisi del 2007-2008 che il banchiere canadese comincia il suo articolo sul Financial Times. Regalando qualche aneddoto su Mario Draghi e Mikhail Gorbaciov, a soprattutto paragonando i due momenti storici.
«Quale ispirazione possiamo trarre per il mondo post-Covid da quei momenti drammatici (crisi 2007-2008 ndr)?», si chiede l’economista. Lo schema di Carney e di Draghi, allora come adesso, è un sistema che valorizzi il futuro, finanzi l’innovazione e prepari una risposta alternativa in caso di fallimento. «Abbiamo bilanciato il dinamismo del mercato con forme innovative di regolamentazione che hanno tenuto conto delle esigenze del sistema mondiale nel tempo. La performance delle borse durante la crisi del Covid-19 dimostra che, sebbene tutt’altro che perfetto, il sistema finanziario è ora più sicuro, più semplice e più equo di prima. Anche grazie alla nuova forma di cooperazione internazionale che queste riforme hanno introdotto», scrive Carney sul quotidiano britannico.
Ma gli aneddoti con l’attuale presidente del Consiglio italiano e l’ex presidente del Soviet supremo risalgono addirittura all’inizio degli anni 90, quando i due si incontrarono per la prima volta. All’epoca Draghi era direttore generale del Tesoro e si trovò a dialogare con Gorbaciov quando l’Unione Sovietica chiedeva consiglio al G7 sulla riforma economica da attuare. «Draghi guardò il segretario generale del Soviet supremo e pensò, “Che ci fa una persona del genere in un meeting con uno come me? Questi russi devono essere nei guai più di quanto pensassi”». Lo stesso ragionamento, aggiunge Carney, Draghi l’avrebbe poi applicato agli Stati Uniti in quell’ottobre del 2008.
Detto ciò, in questo momento storico a farne le spese è stata proprio quella forma di cooperazione internazionale: la globalizzazione. Di fronte a una crisi che ha messo in crisi gli stessi presupposti di un mondo interconnesso infatti, secondo Carney la risposta globale è stata inadeguata. E il risultato, durante questo periodo, è stato l’aggravarsi delle diseguaglianze.
Negli ultimi decenni, la libera circolazione di merci, capitali e idee ha tolto più di un miliardo di persone dalla povertà, reso disponibile l’istruzione a quattro miliardi di persone e aumentato l’aspettativa di vita globale di quasi un decennio. Per molti, tuttavia, tali risultati sono poco veritieri. In troppi luoghi la globalizzazione e le tecnologie innovative significano salari bassi, occupazione precaria e crescente disuguaglianza. E adesso, insieme al Covid, queste situazioni si stano amplificando. Con l’aggiunta di nuovi macro problemi, come la sostenibilità di una transizione climatica, che richiederà enormi e rapidi cambiamenti strutturali.
«La crisi Covid sta accelerando la trasformazione delle società, ma aggravando le disuguaglianze esistenti», spiega l’economista. Gli eventi traumatici dello scorso anno hanno sicuramente dato argomenti validi per rivedere il sistema medico e riformare il modello produttivo in maniera più eco-friendly. Ma a che prezzo per i cittadini? Così Carney propone un’unica matrice su cui si devono forgiare le politiche nazionali future: «se vogliamo preservare gli importanti guadagni degli ultimi decenni di crescita e realizzare la promessa di nuove tecnologie, il cambiamento strutturale dovrà essere gestito per tutti e accolto con favore da tutti».
Secondo Carney, dobbiamo infatti modellare un’economia globale rinnovata e fondata su nuove reti sparse di commercio, capitali e idee che sfruttino la creatività di miliardi di persone, che a loro volta ne condivideranno pienamente i frutti. «Ci sono quattro pilastri di questo nuovo ordine: resilienza, solidarietà, connettività e sostenibilità», scrive ancora.
Affinché le economie rimangano aperte, devono essere resilienti e saper pianificare il fallimento. «Costruire la resilienza significa costruire dei buffer. La preparazione alla pandemia richiede scorte di dispositivi di protezione individuale, la capacità di testare e tracciare e la capacità di produrre vaccini. Resilienza significa mettere in atto difese e piani di emergenza capaci di intervenire se tali misure falliscono», continua l’articolo.
Il buffer più importante è comunque la capacità fiscale. Quando usciremo da queste misure, spiega Carney, «il miglior supporto saranno le politiche che guidano una crescita su vasta scala». Ciò significa concentrarsi sulla rigenerazione delle industrie più colpite, bilanciare la spesa corrente nel medio termine e concentrare gli investimenti su iniziative fisiche, digitali e in particolare sul clima (che sono ad alta intensità di capitale).
«Ciò richiede politiche normative credibili e prevedibili, come la tassazione sul carbonio, incentivi per i combustibili a idrogeno e moratorie sui veicoli a combustione interna. E deve includere una serie di misure per consentire alle persone di partecipare pienamente all’economia».
Quanto alla solidarietà, invece, si lega a doppio filo con la connettività. Come società dobbiamo scegliere di essere “digital by design” – ovvero capace di sfruttare le nuove tecnologie per creare nuovi posti di lavoro e comunità migliori – piuttosto che “digital by default”, lasciando che la tecnologia guidi le nostre scelte. «Possiamo iniziare valutando i risultati che vogliamo che la tecnologia contribuisca a raggiungere, come la riduzione del carbonio e l’aumento del reddito da lavoro», si legge sul FT.
In aggiunta, è necessario un ripensamento radicale dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Dobbiamo istituzionalizzare la riqualificazione a metà carriera e integrarla con il sistema di assistenza sociale. Dovrebbe essere chiaro, dopo il blocco dell’istruzione durante la pandemia, che l’accesso a Internet universale, economico e veloce è un diritto. «Una maggiore connettività globale può portare a un’esplosione nell’accesso alle opportunità, portando miliardi di persone su nuove piattaforme di commercio. Ma ciò richiederà una nuova architettura internazionale che possa attingere a ciò che è accaduto subito dopo la crisi finanziaria», scrive Carney.
Perseguendo tale internazionalismo cooperativo, ci sono diversi modi in cui le nazioni possono costruire nuove reti per una globalizzazione più inclusiva, resiliente e sostenibile. Primo: il libero scambio di servizi. Il campo di gioco tra il commercio di beni e servizi non è uniforme tra le varie nazioni, e ciò implica una diseguaglianza sia nel mondo del lavoro sia di ricchezza: «L’allineamento di queste barriere potrebbe dimezzare gli squilibri globali, e ciò può contribuire a rendere la crescita più inclusiva», si legge.
Infine, ma non per ultima, c’è la sostenibilità. Le aziende si occupano sempre di più della sostenibilità in tutte le loro operazioni, inclusi fornitori, distributori e consumatori. «Questa attenzione stimolerà sostanziali investimenti verdi nei paesi in via di sviluppo, il libero scambio per le piccole medie imprese e pagamenti digitali più rapidi». Parallelamente, i piani net-zero delle aziende stanno guidando la domanda di compensazioni di carbonio come obiettivo principale per la riduzione delle emissioni assolute.
Inoltre, il mondo ha bisogno di espandere rapidamente la finanza mista, che combina capitale pubblico e privato, per massimizzare l’impatto. Con un’adeguata strutturazione, e puntando sugli enormi capitali e sulle capacità di rischio di istituti come la Banca mondiale e la Banca africana di sviluppo, si possono sostenere trilioni di dollari di investimenti privati nelle economie emergenti e in via di sviluppo. «Lo slancio per il settore finanziario privato deve essere quello di investire nelle realtà che puntano a raggiungere le zero emissioni di carbonio. Ora è anche il momento per il G20 di garantire che tutte le istituzioni finanziarie per lo sviluppo siano completamente allineate all’Accordo di Parigi», scrive ancora.
Il Covid non sarà finito finché non cesserà di esistere ovunque. E solo con una globalizzazione così rinnovata e fondata sui pilastri di resilienza, solidarietà, connettività e sostenibilità, tutti (forse) potranno prosperare, conclude Carney.