La tenda del centrosinistra Letta ci sta prendendo gusto a rivoluzionare il vecchio Partito democratico

La nuova triade al vertice del Pd è qualitativamente la più forte possibile e potenzialmente coesa nel suo pluralismo politico. L’operazione del neo segretario di scegliere come vice Irene Tinagli e Peppe Provenzano valorizza le due culture fondamentali della sinistra liberale e socialdemocratica

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È già il Partito democratico di Enrico Letta. Tre indizi fanno una prova, giusto? E altro che indizi: decisioni. Ieri il neosegretario ne ha prese appunto tre: bloccare la macchina infernale che si era messa in moto a Roma con la pseudo-candidatura di Roberto Gualtieri a sindaco; e nominare vicesegretari del partito Irene Tinagli e Peppe Provenzano, una scelta inaspettata e politicamente raffinata. 

Non si tratta infatti dell’abituale uso del Cencelli interno in omaggio alle fin troppo famigerate correnti. Ma di un’operazione che non solo valorizza le due culture fondamentali del Pd, la sinistra socialdemocratica e la sinistra liberale, ma va anche a pescare due figure molto diverse – salvaguardando la parità di genere – e di cui si può intravedere qualche tratto comune e una possibile complementarietà.

Perché Irene Tinagli è sicuramente un’esponente di notevole caratura tecnica (economista con chilometrico curriculum, sta svolgendo il delicato incarico di presiedere la commissione per i problemi economici e monetari a Bruxelles, quella che era di Gualtieri), espressione del liberalismo progressista attratto dal Pd di Veltroni e poi allontanatasi quando quella bandiera venne stropicciata dai successori – vi fu infatti un suo passaggio in Scelta Civica di Mario Monti – e poi ritornata all’epoca di Matteo Renzi.

L’area di riferimento insomma è quella che corre sull’asse Veltroni-Letta-Gentiloni, cioè il cuore dei riformisti dem ma non impastoiata in una logica della corrente.

Una vicesegretaria inaspettata, Irene Tinagli, preferita a nomi più noti, Roberta Pinotti, Debora Serracchiani, Marianna Madia, a segnare un ulteriore elemento di novità e discontinuità con il Nazareno delle correnti che ha dominato la scena in tutti questi anni. È possibile che la nuova vicesegretaria rivitalizzi la battaglia delle idee dal lato dei riformisti rimasti un po’ in ombra in questi due anni.

Meno inatteso il nome di Peppe Provenzano, giovane esponente di punta dell’area di sinistra del partito (prende il testimone da Andrea Orlando) ma anche con l’ex ministro per il Sud si salta una generazione: e il personaggio, anch’egli un economista, ha una sua capacità comunicativa che potrebbe aprire un canale con quelle nuove generazioni che Letta ha stabilito come target essenziale della sua azione politica. 

Nel complesso, la triade al vertice del Pd è qualitativamente la più forte possibile e potenzialmente coesa nel suo pluralismo politico e culturale. E, dulcis in fundo, è anche un segnale di tregua alle correnti e ai loro capi, costretti a sbattere i tacchi senza fiatare e senza contrattare nulla con il segretario.

Vedremo se, come sembra da questa due nomine, l’asse programmatico del Pd mollerà le recenti posizioni sandersiane in auge nel grigio biennio zingarettiano; così come sarà interessante verificare se la pax lettiana reggerà più di qualche settimana: a oggi, sono tutti lettiani.

L’altra decisione di Letta riguarda il pasticciaccio brutto sulla questione del sindaco di Roma. Il segretario ha incontrato Gualtieri e ha bloccato la giostra allestita da personaggi del Pd romano (si è scritto della manina di Claudio Mancini, amico di Gualtieri, che avrebbe fatto circolare la notizia dell’imminente annuncio di quest’ultimo di scendere in campo).

Di fatto, la questione romana è stata avocata da Letta, e se ne riparlerà ad aprile. E non si escludono sorprese: il nome di Gualtieri, ammaccato dalla manina amica, potrebbe saltare. Si direbbe che a strattonare il vecchio Pd, il nuovo segretario ci stia prendendo gusto.

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