La Repubblica delle racchetteCosì il padel è diventato lo sport dei potenti e dei famosi

Il parente meno nobile del tennis è diventato il gioco di riferimento per la classe dirigente della Capitale. Nel 2016 in Italia c’erano un centinaio di campi, oggi quasi 2.500. Si contano più di 500mila praticanti, di cui la metà donne. È diventato il dopolavoro dell’élite, dove fare conoscenze strategiche e stringere accordi

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Raccontano che a Milano il potente amministratore delegato del gruppo Generali, Philippe Donnet, abbia sempre un campo prenotato alle 7 del mattino nel circolo dell’ex calciatore Demetrio Albertini, tra i grattacieli di Citylife. A Roma gioca Alessandro Di Battista, che è stato anche in squadra con Sua maestà Adriano Panatta. «Un po’ troppo irruento, preferisce fare uno smash più forte sbagliando, invece di piazzarla», ha detto il vincitore del Roland Garros a proposito dell’ex barricadero grillino. A padel si cimentano anche il presidente del Coni Giovanni Malagò e l’ex magistrato Luca Palamara. Lo sventurato ex assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera ha rimediato 30 punti alla testa dopo aver colpito un’inferriata metallica durante una partita.

Nei circoli della Capitale è diventato lo sport di riferimento per la classe dirigente. E forse non è un caso che il presidente della Federazione Internazionale Padel si chiami Luigi Carraro. È il figlio di Franco, vera e propria rappresentazione del potere negli anni Ottanta. Capo indiscusso dello sport italiano, alla guida del Coni e della Figc, ma anche tre volte ministro e sindaco di Roma. Carraro Junior, come il padre, sogna in grande: «Lavoriamo perché il padel venga riconosciuto come disciplina olimpica». A Linkiesta racconta le ambizioni di uno sport apparentemente inarrestabile. «Crea una vera e propria dipendenza, gli elementi del suo successo sono la facilità e l’immediatezza. Dalla prima partita chi entra in campo si diverte, sente di poter giocare subito e migliorare velocemente».

Nei circoli blasonati e in periferia le partite non si fermano. Per molti è il fratello povero del tennis, una questione di grandi racchettoni e poca classe. Dicevano che fosse una moda alla portata di tutti, una bolla che prima o poi sarebbe esplosa. Intanto, con buona pace dei critici, il padel è lo sport che ha il più alto trend di crescita nel mondo. Trasversale e amatissimo. La disciplina di derivazione tennistica, che si gioca a coppie in un campo chiuso sui quattro lati, ha conosciuto un’accelerazione impressionante ai tempi della pandemia. Le palestre sono chiuse, niente partite di calcetto. Sempre più sportivi si sono convertiti alla nuova religione nazionalpopolare.

I ritmi di crescita sono esponenziali: nel 2016 in Italia c’erano un centinaio di campi da padel, oggi quasi 2.500. E ogni settimana se ne costruiscono altri cento. Da Nord a Sud si contano più di 500mila praticanti, di cui la metà donne. E sono solo stime prudenziali. Il momento d’oro è testimoniato anche dal numero degli agonisti tesserati, triplicati nel giro di due anni.

I racchettoni bucherellati rappresentano un’occasione di business in tempi di pandemia e ristori. «Montare un campo da padel – spiega Carraro – costa tra i 15 e i 25 mila euro, la manutenzione è minima». La redditività, invece, altissima: una sola area di gioco frutta 6mila euro mensili. I conti si fanno senza calcolatrice, l’investimento è ripagato in quattro mesi. In un periodo di chiusure e restrizioni anti-Covid, sempre più circoli hanno cancellato il prato del calcetto per fare spazio alle pareti di cristallo e cemento. Nascono come funghi intere strutture dedicate al padel. E quasi tutti i centri sportivi più importanti, accanto ai campi da tennis esibiscono quelli dello sport cugino. Che vanta un suo dizionario di colpi: globo, bandeja, controparete.

La nobiltà della terra rossa rischia di essere insidiata? Il commissario tecnico della nazionale italiana di padel Gustavo Spector ha interpretato a modo suo il derby pallettaro: «Tra il padel e il tennis c’è lo stesso rapporto che c’è tra il calcetto e il calcio. Chi non ha mai giocato a calcetto? Bene, male o in porta: è per tutti. Il calcio invece è un’altra cosa». In molti dal tennis si avvicinano al padel. Ma sono ancora di più quelli che, senza mai aver impugnato una racchetta, entrano in campo. È una disciplina democratica, esultano i neofiti. La dignità riscattata dopo anni di racchettoni in spiaggia.

È la rivincita di uno sport nato per sbaglio. Negli anni Settanta in Messico, a Puerto de Acapulco, il magnate Enrique Corcuera voleva costruire un campo da tennis nel giardino della sua villa. Lo spazio a disposizione era poco rispetto a quello per un’area da gioco regolamentare, limitato anche da strutture in muratura. Allora creò un campo più piccolo, circondato da pareti in cemento e rete metallica. La combinazione permetteva alla palla di essere sempre in movimento. Così è nato il padel che poi ha visto la gloria in Spagna, dove oggi corrono cinque milioni di giocatori.

Nel nostro Paese, la diffusione è sempre più capillare: dalla Lombardia alla Sicilia. In Sardegna scommettono sulla nuova disciplina da abbinare al turismo. La Capitale del padel, però, resta Roma con più di 600 campi. Francesco Totti se n’è costruito uno nella sua villa e ha aperto anche un circolo col suo nome. D’altronde i calciatori sono i testimonial più rumorosi e divertiti del nuovo sport. Che ha sedotto anche mezzo mondo dello spettacolo. Paolo Bonolis, Fiorello, Fedez. Tutti a sgambettare tra tornei di beneficenza e sfide settimanali più sacre dell’appuntamento con lo psicanalista.

Dalla televisione al Parlamento. «Oggi il padel è il nuovo golf, il nuovo tennis. Consacrato in tutti i circoli dove si ritrovano parlamentari, presidenti, lobbisti, generali e diplomatici, aspiranti alle migliaia di incarichi pubblici». Il libro “Confessioni di un capo di gabinetto”, edito da Feltrinelli, descrive la vocazione di questo sport. «Tra barbe grondanti sudore e membra spossate si può chiedere, promettere, stringere patti di ferro. Decidere commissariamenti di grandi aziende in crisi che valgono parcelle di decine di milioni di euro oltre al potere di assegnare senza gara consulenze a cascata».

Politici di tutti i partiti, manager statali e non, faccendieri di ogni sorta: la lista degli appassionati del padel è lunga. I racchettoni si confermano una formidabile occasione di diplomazia sotterranea. Per conoscere e fare accordi. Nei circoli giusti, dove la discrezione è assicurata. Una volta il dopolavoro dell’élite era il tennis. Indiscutibilmente. Oggi il vento sta cambiando. Sul campo di padel vincono tutti.

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