I prossimi 24 mesi saranno determinanti per il futuro dell’Unione, singoli Stati membri e cittadini, con nuove sfide, appuntaneti, scadenze, nuovi inizi e cambiamenti a livello internazionale. L’associazione Erasmo ha scelto di concentrare la propria attenzione su questo arco temporale, per analizzare gli eventi in programma con le partnership di Linkiesta, Spinelli Group, Re-Generation, Fondazione Antonio Megalizzi, Cultura Italiae, Comunita di Connessioni, Italiacamp, GaragErasmus e A2A.
Lo Stato nazione è una struttura istituzionale che non ha gli strumenti per affrontare le sfide transnazionali che stiamo vivendo: flussi migratori, cambiamento climatico, pandemie, terrorismo. La pandemia, in particolare, è stata una sorta di stress test per lo Stato Nazione.
La prima reazione dei governi nazionali è stata il ritorno alla frontiera interna. Soluzione che si è rivelata totalmente inutile: l’Austria che è stato il primo paese a chiudere la frontiera con l’Italia, primo paese europeo colpito dalla pandemia, ha subito il virus tanto quanto la Francia che non ha chiuso la frontiera con il nostro paese. Entrambi i governi hanno dovuto infliggere vari lockdown ai loro abitanti.
La sensazione di non poterne uscire da soli ha finito per dominare fra le capitali europee e tutti gli sguardi si sono naturalmente rivolti verso Bruxelles. Ci ricordiamo, all’inizio della pandemia, la rabbia degli Italiani contro l’Europa che non era in grado di fornire mascherine e respiratori.
Ecco, l’Unione europea, il Malaussène delle opinioni pubbliche europee, il capro espiatorio preferito.
Ed è vero, l’Unione europea non è in grado oggi di colmare le lacune degli Stati nazione rispetto a sfide transnazionali, come la pandemia. Non è stata armata ed equipaggiata per farlo.
Prendiamo la salute per esempio: articolo 168 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), la sanità è una competenza comunitaria di sostegno: l’UE «incoraggia la cooperazione» e «completa le politiche nazionali», senza sostituirsi a esse. Ciò significa che gli Stati membri mantengono il controllo sulla loro politica sanitaria.
La pretesa di un’Europa più efficiente, più decisionista e politica da parte dei cittadini, anche se si manifesta attraverso rabbia e critiche, lascia intendere che l’opinione pubblica europea è pronta ad allargare le prerogative esclusive dell’Unione a tutti gli ambiti in cui gli Stati nazionali sono di fatto impotenti: ambiente, salute, immigrazione, criminalità e terrorismo, ricerca e innovazione. Oggi, le uniche prerogative totalmente comunitarie sono la pesca e il commercio estero, non ha senso!
Ciò non significa spogliare gli Stati Nazione di tutte le prerogative, tante sono le aree dove l’azione è molto più efficace a livello nazionale che a livello federale, penso per esempio alla giustizia, all’educazione, alla pubblica amministrazione.
Non basta però allargarne le competenze. Il problema è che il mondo va molto più veloce di quanto non riesca a correre l’Europa. Il sistema decisionale europeo non è adatto al mondo di oggi e alle sfide che abbiamo davanti. Il confronto con gli Stati Uniti è schiacciante.
L’Unione europea ha di fatto due camere: il Parlamento europeo dove sono eletti i rappresentanti dei popoli europei al suffragio universale diretto e il Consiglio dove siedono i capi di Stato e di Governo.
In media servono cinque anni per adottare una direttiva europea quando essa riesce a vedere la luce perché tante direttive sono bloccate al Consiglio da anni.
In tempo di crisi, la capacità di prendere decisioni rapidamente è ancora più essenziale. L’abbiamo visto durante la crisi finanziaria del 2008 dove gli Stati Uniti pur essendo all’origine della crisi, ne sono usciti molto prima di noi.
Prendiamo per esempio l’adozione di NextGenerationEU, del nuovo bilancio pluriennale e dell’istituzione di nuove risorse proprie (plastica non riciclata, GAFAM, meccanismo d’aggiustamento carbonio alla frontiera esterna, ecc.). Questo meccanismo di indebitamento comune per il rilancio dell’economia post pandemia è vitale per il nostro paese e non solo.
Ma il soprannominato “momento hamiltoniano dell’Unione” è di fatto appeso a un filo: il Consiglio ha trovato un accordo storico nel luglio scorso, dopo giorni di negoziazione, la Commissione ha formulato una proposta che è stata sottoposta al voto del Parlamento europeo.
Adesso siamo in attesa della ratifica da parte dei 27 Parlamenti nazionali. E la tentazione di alcuni Stati membri di utilizzare questo voto come ricatto su altri file, penso per esempio alla condizionalità dei fondi europei al rispetto dello Stato di diritto, potrebbe indurre Polonia e Ungheria a ritardarne l’adozione. Basta un voto contrario di un Parlamento nazionale per mettere in scacco il “bazooka” europeo per il rilancio e la resilienza.
Lo sforzo in materia di risorse per la ripartenza fra l’Unione europea e gli Stati Uniti non è così diversa a livello quantitativo, perché se addizioniamo i piani nazionali di sostegno con il NextGenerationEU arriviamo a somme simili a quelle d’oltre oceano. Quello che invece sarà molto diverso è la velocità con la quale questi fondi arriveranno all’economia reale: imprese, famiglie, collettività locali e questo condizionerà la velocità di ripresa, la creazione di posti di lavoro, la capacità di investimento delle imprese, il miglioramento dei servizi e della qualità della vita.
Nel secolo XXI, dove le crisi non sono più eccezione ma divengono riferimento permanente, l’Unione europea deve accorciare il suo circuito di presa di decisione. Bisogna ripensare l’urgenza, urgentemente!
Il processo decisionale lento e balbuziente è stato un boomerang anche per quel che riguarda la strategia di vaccinazione. Gli Stati membri hanno esitato per mesi se adottare una strategia nazionale o se affidarla alla Commissione europea. Questo ha ritardato di tre mesi gli ordini ai laboratori rispetto agli Stati Uniti. E dopo tanto esitare, i paesi europei sono comunque andati in ordine sparso: alcuni hanno esitato di fronte al prezzo del vaccino ARN, altri erano addirittura scettici, essendo poco toccati dai contagi e non vedevano l’urgenza di investire in una vaccinazione di massa.
Alcuni hanno sviluppato delle strategie nazionali parallele: la Danimarca, l’Austria e Israele hanno creato un’alleanza per lo sviluppo del vaccino al di fuori del quadro europeo. L’Ungheria, la Slovenia hanno preferito, fin da subito, il vaccino russo che non ha avuto un’autorizzazione da parte dell’agenzia europea del farmaco, visto che i russi non ne avevano fatto richiesta a quel tempo. La Polonia e la Repubblica Ceca pensano di fare lo stesso ma con il vaccino cinese anch’esso non ancora autorizzato né esaminato.
Troppo comodo sparare sulla Commissione, quando non gli si è concesso il potere decisionale. Se l’Unione europea fosse stata dotata di un’autorità per la gestione delle emergenze sanitarie, di un’agenzia comunitaria per la ricerca medica in grado di prendere le decisioni rapidamente per tutti i 27 Stati membri, come è il caso negli Stati Uniti con (HERA – Health Emergency Authorithy), NIH (National medical research agency), BARDA (Biomedical Advanced Research and Development Authority), allora forse oggi non staremmo qui a piangere sul latte versato.
L’Unione europea è nata e si è costruita nella storia in modo funzionale: la risposta ad un bisogno specifico, a cominciare dalla pace fra i popoli nell’immediato Dopoguerra. La Pandemia ha fatto emergere in modo brutale e tragico, molti bisogni nei quali l’Unione Europea non ha competenze e dove gli Stati membri sono inefficienti.
Come sottolineato dal progetto del “BIENNIO EUROPEO” promossa da ERASMO insieme a partner di primo livello, questi 24 mesi saranno determinanti per gli appuntamenti che si realizzeranno, tra questi la Conferenza per il futuro dell’Europa sarà cruciale per permetterci di dotarci di un assetto istituzionale capace di proteggerci di fronte a sfide transnazionali colossali.
* Caterina Avanza è Consigliera politica al Parlamento europeo