Questione di FideszPerché Viktor Orbán ha lasciato il Partito Popolare Europeo

Il premier ungherese considera inaccettabile la modifica del regolamento interno del Ppe che rende più semplice espellere i proprio membri. Per evitare di essere cacciati, i 12 eurodeputati del partito sovranista magiaro hanno deciso di uscire prima di subire la decisione. L’eurodeputato di Forza Italia Massimiliano Salini: «È una sconfitta»

LaPresse

I deputati di Fidesz, il partito al governo in Ungheria, hanno lasciato il gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo, che rimane il più numeroso dell’Eurocamera ma vede i suoi numeri assottigliarsi. «Gli emendamenti alle regole del gruppo sono chiaramente un atto ostile contro Fidesz e i nostri elettori», scrive Viktor Orbán al presidente del Ppe, il tedesco Manfred Weber «Questo è anti-democratico, ingiusto e inaccettabile». In sostanza, il leader ungherese ritira i suoi deputati dalla formazione parlamentare, prima che vengano messi all’angolo dai colleghi.

La lettera arriva infatti dopo un incontro degli europarlamentari del Partito popolare europeo, in cui sono stati approvati a larga maggioranza (84,1%) significativi cambiamenti al regolamento interno. Fino a prima di questo incontro, il gruppo del Ppe poteva espellere un suo membro soltanto dopo il parere favorevole di due terzi dei componenti e, dettaglio fondamentale, con la partecipazione di almeno la metà dei parlamentari al voto.

Con le nuove regole, invece, la soglia necessaria scende dai due terzi alla maggioranza assoluta, se il partito a cui appartengono i membri da espellere è stato già espulso dal Partito Popolare Europeo, la federazione di forze politiche di cui è espressione il gruppo parlamentare.

Le astensioni non vengono più conteggiate nel voto e viene introdotta la possibilità di sospendere l’appartenenza di un deputato, con le stesse percentuali di voti necessarie per l’espulsione: due terzi dei votanti, che diventano la metà più uno se il partito di riferimento è sospeso dalla famiglia del Ppe. 

Proprio questa è la norma considerata ad personam da Orbán è difficile dargli torto. Dal marzo 2019 Fidesz è sospeso dalla federazione del Partito Popolare Europeo. Ma non dal gruppo parlamentare del Ppe, perché questa possibilità non era prevista: prima della modifica al regolamento i suoi deputati potevano soltanto essere espulsi definitivamente, con il voto dei due terzi del gruppo: condizione molto difficile da ottenere che di fatto metteva al riparo la delegazione ungherese. La decisione sul regolamento ha quindi cambiato radicalmente lo scenario.

«È senza dubbio una sconfitta per il gruppo del Ppe», commenta a Linkiesta l’eurodeputato di Forza Italia Massimiliano Salini. La delegazione italiana, così come quelle francese e tedesca, ha cercato di moderare le ostilità verso Fidesz, mentre i popolari dei Paesi nordici hanno preferito la linea dura, spiega il parlamentare. «Sicuramente il partito di Orbán ha messo in atto comportamenti provocatori. Ma non tali, a mio avviso, da giustificare l’espulsione». 

La lunga storia di dissidi fra la delegazione ungherese e il resto dei commilitoni si iscrive in quella fra il loro partito e la famiglia dei popolari europei, attestata su posizioni più moderate ed europeiste. Il culmine della tensione è stato raggiunto durante le trattative sul bilancio dell’Ue, in cui era necessario superare il veto di Polonia e Ungheria al meccanismo sullo Stato di Diritto. Allora Manfred Weber definì il comportamento di Orbán irresponsabile. In risposta, il capo della delegazione ungherese Tamás Deutsch si lanciò in un improvvido paragone fra le parole del presidente dei popolari e il motto della Gestapo

Se Weber si è limitato a dire che i membri di Fidesz non condividono più i valori alla base del Ppe, alcuni suoi colleghi sono andati ben oltre. «È un grande sollievo e un giorno storico», ha commentato Petri Sarvamaa, deputato della delegazione finlandese. I popolari scandinavi, così come quelli belgi, olandesi e austriaci, hanno sostenuto a lungo la necessità di allontanare il partito di Orbán, interprete di una deriva autoritaria e contraria alla visione europea del gruppo. 

Non dovrebbe essere un problema trovare una casa politica per i 12 deputati di Fidesz (un tredicesimo popolare ungherese è stato eletto con il partito KDNP e non lascerà il gruppo). Gli emissari del partito di Orbán potrebbero accasarsi fra i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), dove siedono i deputati di Fratelli d’Italia e i polacchi di Diritto e Giustizia, oppure ingrossare le fila di Identità e Democrazia (Id), il sodalizio della destra più nazionalista ed euroscettica all’Europarlamento, di cui fa parte la Lega. Le due formazioni già si contendono virtualmente Orbán, a cui arrivano segnali di sostegno anche dai politici italiani.

Matteo Salvini ha scritto al leader magiaro per ribadire «amicizia e vicinanza tra il popolo italiano e quello ungherese», prima di incontrarlo in video-conferenza. Giorgia Meloni ha attaccato i popolari, a suo dire sempre più subalterni alla sinistra, attestandosi sulla stessa linea dei presidenti di Ecr, Ryszard Legutko e Raffaele Fitto. «Con la decisione odierna, è ovvio che il Ppe ha perso anche l’ultimo residuo della sua originale anima cristiana», recita la loro nota.

Oltre alla destinazione dei suoi deputati, che passano per il momento fra i non iscritti, la dipartita di Fidesz potrebbe provocare un effetto domino su scala più larga nell’emiciclo comunitario. È vero che le nuove regole del Ppe richiedono per l’ammissione di nuovi membri l’adesione ai «valori fondanti dell’Unione Europea», una condizione che in molti vedono come precauzione necessaria per evitare nuovi scontri di questo tipo. Ma, fa notare Massimiliano Salini, con l’uscita degli ungheresi la pattuglia dei popolari si riduce a 175 membri e vede più vicini i Socialisti e Democratici, che con qualche acquisizione potrebbero contenderle il primato numerico nell’Europarlamento.

Anche per questo motivo torna d’attualità un eventuale avvicinamento fra la Lega e i popolari europei, ipotesi mai del tutto tramontata, nonostante non sia mai stata presentata una richiesta ufficiale in tal senso. Proposta che, nel caso, troverebbe accoglienza favorevole da Forza Italia, stando alle parole di Salini. «C’è un cantiere politico interessante, un asse cristiano-democratico tra noi e la Lega che funziona molto bene a livello amministrativo nelle regioni del Nord Italia. Perché non portarne l’onda lunga anche in Europa?». 

Secondo l’eurodeputato, il Partito Popolare Europeo è vittima di un evidente indebolimento e la tradizionale leadership tedesca non è più in grado di farsi valere come un tempo: prova ne è anche l’ultima uscita dai ranghi sul tema vaccinale del cancelliere austriaco Sebastian Kurz, uno dei membri più autorevoli del partito. 

La forza trainante del nuovo Ppe potrebbe allora essere di matrice italiana, soprattutto considerando la partecipazione della Lega alla compagine di governo europeista di Mario Draghi: «Quanto successo a Roma è un fatto politico molto rilevante. Anche chi nel Ppe nutre dubbi sulla Lega deve tenerne conto». Resta da vedere se gli altri popolari europei accetteranno di buon grado di sostituire Orbán con Salvini.

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