«Dobbiamo prepararci alle mutazioni del virus e non fare solo affidamento sull’Europa nella produzione dei vaccini». L’annuncio del Cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha scatenato un grande dibattito in Europa. La decisione di Vienna di stringere un accordo con Israele per produrre vaccini di seconda generazione e fare insieme ricerca di cure è ancora più drastica della decisione dell’Ungheria di dissociarsi dalla strategia vaccinale europea. «L’idea di affidarsi a Bruxelles è sostanzialmente corretta ma il problema è che l’Agenzia europea dei medicinali ci mette troppo ad approvare i vaccini e si crea l’effetto ketchup nelle vaccinazioni», ha spiegato Kurz. Un’alleanza, quella dei cosiddetti First mover che comprende anche la Danimarca, che presto potrebbe includere anche altri Paesi europei alla ricerca disperata di vaccini. Come ha chiarito la premier danese Mette Frederiksen in un incontro poi riportato dal Financial Times, «abbiamo l’urgenza di vaccinare al più presto. Forse potremmo trovarci nella situazione di doverlo fare una volta all’anno per i prossimi 2, 3, 5, 10 anni. È importante sbrigarsi».
Al contrario della Danimarca, primatista europea in materia, la campagna vaccinale non sta andando come dovrebbe in Austria. Secondo il sito Ourworldindata.org i vaccini attualmente somministrati nel Paese sono appena 7,17 ogni 100 abitanti, un valore appena inferiore alla media europea di 7,43 ma ben distante da quello di Copenaghen, dove invece sono 10,53. In totale le punture fatte finora sono soltanto 670 mila, di cui oltre 434 mila sono prime dosi, corrispondenti al 5,6% della popolazione vaccinabile (tutti gli austriaci al di sopra dei 16 anni di età), mentre più di 235 mila persone hanno già completato la vaccinazione, appena il 3,04% dei 7,7 milioni di residenti che riceveranno il vaccino. Numeri nel complesso discreti che però non hanno mancato di sollevare polemiche sulla stampa austriaca, che ha lamentato una diffusa inefficienza nella somministrazione delle dosi.
Il piano di Vienna presenta ancora parecchie lacune. Infatti, il governo Kurz non aveva preparato un piano per la gestione dei vaccini a livello nazionale, preferendo lasciare campo libero ai 9 Lander e ai centri federali locali, come vuole la tradizione austriaca in materia sanitaria. Una differenza significativa rispetto alla Germania, dove invece la campagna vaccinale nei Lander ha seguito le linee guida imposte del governo federale. I ritardi nei vaccini hanno però costretto gli austriaci a rivedere il loro piano iniziale, vista la difficoltà dei medici di famiglia a somministrare il primo vaccino giunto in Europa, il Pfizer-Biontech, che ha precise regole di conservazione e utilizzo. Così Vienna ha dovuto recuperare più dosi del vaccino americano a scapito di quello di Astrazeneca, su cui aveva puntato molto con relative critiche al ministro della salute Rudolf Anschober.
Oggi l’Austria può contare su più di 21 milioni di vaccini, provenienti rispettivamente da Pfizer-Biontech (11,1 milioni), Astrazeneca (5,9 milioni) e Moderna (4,7 milioni). Un cambio di marcia che però non nasconde come la prima fase di vaccinazione sia stato particolarmente difficile: infatti nonostante l’inizio delle somministrazioni fosse stato fissato per il 27 dicembre, la campagna vera e propria è partita soltanto il 12 gennaio, a causa di notevoli ritardi nella consegna che hanno fatto sì che fossero somministrati soltanto 8 mila vaccini su oltre 60 mila consegnati.
Il decentramento sanitario ha inoltre portato le campagne vaccinali dei diversi Lander a procedere a velocità diversa. Così mentre nella capitale Vienna la piattaforma di registrazione online era disponibile già dal 18 gennaio, la registrazione in Tirolo è iniziata soltanto il mese successivo mentre in Bassa Austria i primi 10 mila appuntamenti sono stati fissati il 10 febbraio.
La mancanza di linee guida nazionali coerenti è stato uno dei punti che Gerald Bachinger, avvocato sanitario specializzato nella tutela dei pazienti, ha fatto notare in un’intervista al sito Kontrast: «Questa assenza è un grosso danno per tutti. Nella Bassa Austria il principio utilizzato per le vaccinazioni è stato quello del “primo arrivato, primo servito”. Servirebbe che le compagnie di assicurazione sanitaria aiutassero il sistema nazionale a filtrare le informazioni sui pazienti, in modo da aiutare prima quelli realmente bisognosi».
Questo però non è stato l’unico problema. Come ha rilevato Judith Kohlenberger, docente dell’Istituto per la politica sociale dell’Università di Vienna, in un’intervista a Wien Heute, «il Paese ha impostato una strategia vaccinale bianca, classicamente austriaca. La campagna di vaccinazione Österreich impft (Austria vaccina) non presenta nessun testimonial di origine migrante, quando in realtà negli ospedali ci sono moltissimi infermieri stranieri». Persino la campagna della Croce Rossa austriaca non presenta altre lingue oltre al tedesco e, nonostante sia stato dichiarato il contrario, il sito web non è stato ancora aggiornato. Un dettaglio di non poco conto in un Paese che conta oltre 2 milioni di stranieri e 106 mila di recente immigrazione da Paesi extra UE.
Queste difficoltà nel vaccinare gli austriaci spiegano in parte la volontà di Kurz di stringere questo accordo con Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele. La possibilità di un approccio coordinato dai due paesi sul vaccino era in realtà nell’aria già dallo scorso maggio, quando il cancelliere austriaco aveva rifiutato una prima offerta da parte israeliana di collaborare nella sua campagna di vaccinazione con Pfizer. L’aiuto di Gerusalemme sarebbe soprattutto rivolto alla creazione di un impianto di produzione di vaccini mRNA, che garantirebbe 36 milioni di dosi di dosi nei prossimi 12 mesi.
Una possibilità in più per affrontare anche la possibile diffusione delle varianti: come ha annunciato il premier Netanyahu in conferenza stampa, «Israele conta di ricercare, sviluppare e distribuire rapidamente vaccini di richiamo per affrontare le varianti emergenti del coronavirus nei prossimi mesi e anni». La scelta di questa alleanza con Gerusalemme ha avuto una grande eco non solo sulla stampa austriaca ma anche su quella tedesca, con la Bild che ha titolato “Il cancelliere Kurz rompe con i fallimenti dell’UE…e vuole la propria produzione di vaccini con Israele e Danimarca”.
In un’intervista a Ö1-Journal il presidente dell’Associazione austriaca dei produttori di vaccini, Renee Gallo-Daniel, ha definito l’iniziativa di Kurz «molto, molto innovativa. È importante avere la produzione di vaccini a livello locale, per poter ragionare sul lungo termine e prevenire future pandemie». Il presidente della SPÖ Pamela Rendi-Wagner ha affermato che «è necessario produrre i vaccini in Austria per poter avere a disposizione una quantità sufficiente per la popolazione. Serve che lo Stato sostenga e promuova in modo specifico la produzione».
La preoccupazione austriaca sui vaccini è giustificata dai numeri del contagio e dalla presenza delle varianti sul territorio. Eppure, il timore dei governatori dei Lander è rivolto all’economia. L’ultima riunione con il governo ha infatti concesso le prime timide riaperture di bar e ristoranti per il 27 marzo, poco prima delle festività pasquali. Ad aprire per prima sarà la regione del Voralberg, che, vista la bassa incidenza dei casi (sotto i 70 a settimana), riaprirà le attività a partire dal 15 marzo e permetterà gli allenamenti sportivi per i ragazzi. Per le regioni come il Tirolo che invece superano i 400 casi a settimana sono previsti ulteriori inasprimenti delle misure per evitare una maggiore diffusione del contagio.
C’è infatti la paura che proprio in occasione della Pasqua si possa raggiungere il picco di 5000 infezioni al giorno. Una terza ondata di cui adesso il Paese mostra i primi segnali, visto che negli ultimi 7 giorni la media dei nuovi casi ha raggiunto il valore di 19,2 ogni 100 mila abitanti. Per questo da lunedì il governo ha reso disponibili 3,5 milioni di test Covid gratuiti ogni settimana per testare quante più persone possibile, e riaprire così in sicurezza le attività, e spera di arrivare a vaccinare un milione di austriaci prima di Pasqua. Un obiettivo realistico che segnerebbe una vittoria per Kurz.