Progresso universaleTre cose che il mondo ha imparato durante la pandemia

Un lungo articolo dell’Atlantic individua tre insegnamenti fondamentali appresi in questo momento così cupo della Storia: lo studio più approfondito sui vaccini, una maggior conoscenza digitale e un processo scientifico più dinamico

Lapresse

È stato un anno tragico dal punto di sanitario, economico, sociale. Nulla potrà cancellare o scavalcare per importanza le perdite dovute alla pandemia. Ma anche in un anno così si possono individuare elementi positivi, tracce di ottimismo guardando al futuro.

In un lungo articolo pubblicato sull’Atlantic Zeynep Tufekci ha indicato tre insegnamenti appresi negli ultimi 12 mesi: uno studio più approfondito sui vaccini, una maggior conoscenza digitale, una cooperazione maggiore a livello scientifico.

Tufekci è professoressa all’Università del North Carolina e studia l’interazione tra tecnologia digitale, intelligenza artificiale e società. Parla degli aspetti positivi del 2020 e di questo inizio di 2021 in un articolo dal tono ottimistico, scritto con qualche spunto tratto dalla propria esperienza personale.

Per quanto riguarda i vaccini la rapidità con cui si è trovata una formula efficace – anzi più d’una – è stato un grande successo a livello scientifico. In meno di un anno è stato raggiunto un risultato eccellente, quasi insperato all’inizio, considerando i tempi medi dei vaccini: il record precedente era di quattro anni, ed era stato stabilito negli anni ‘60. Ovviamente il grande senso di urgenza ha fatto da propulsore, e i miliardi di dollari di investimento spesi a livello globale hanno i caratteri dell’eccezionalità che difficilmente si ritroveranno in futuro.

Ma, come dice Tufekci, «lo sviluppo che avrà le implicazioni più profonde per le generazioni future sono gli incredibili progressi nelle biotecnologie dell’Rna messaggero (mRna)». Da tempo si conosce il principio alla base delle vaccinazione: l’immissione nel corpo di una piccola quantità di virus, così che il sistema immunitario possa imparare a conoscerlo e sviluppare i sistemi di difesa più adeguati.

I vaccini a mRna, come quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna, funzionano in modo diverso: questi farmaci impiegano forme sintetiche di mRna che contengono le istruzioni necessarie a produrre alcune proteine specifiche del coronavirus, non il virus stesso. In questo modo il sistema immunitario impara a riconoscere e a contrastare quegli elementi, ma senza i rischi che si correrebbero nel caso di un’infezione con il virus vero e proprio.

Le conoscenze acquisite nel contrastare queste proteine possono poi essere impiegate dal sistema immunitario per contrastare un’eventuale infezione vera e propria.

«Nel 2020 abbiamo capito come creare l’Rna messaggero con precisione, programmando il codice esatto che volevamo, producendolo su larga scala e trovando un modo per iniettarlo nelle persone così il fragile mRna lo fa nelle nostre cellule», si legge sull’Atlantic, sottolineando la grandezza di un risultato di questo tipo e l’importanza di una soluzione così tempestiva in un momento di crisi sanitaria.

Questo traguardo, scrive Tufekci, apre il campo a tante altre possibilità che prima erano poco più che fantasie. Cita due esempi in particolare: il primo riguarda gli studi che si stanno svolgendo in questi mesi per un vaccino basato sull’mRna per curare la malaria, che ogni anno uccide centinaia di migliaia di persone, per lo più bambini, ed è notoriamente difficile da vaccinare. Il secondo esempio è la possibilità di trovare strumenti più adatti per combattere il cancro.

«Questi studi potrebbero infine consentirci di passare da un modello di medicina in cui i farmaci sono pensati per essere identici per tutti, a uno fatto di terapie mirate e individualizzate: uno sviluppo che può aiutarci a curare malattie rare che affliggono solo poche migliaia di persone ogni anno e quindi sono solitamente ignorate dalle tecnologie mediche guidate dal mercato», si legge nell’articolo.

Il secondo elemento positivo degli ultimi dodici mesi è un uso più efficace, sapiente, diffuso di internet, della connettività digitale, delle tante app che tornano utili per sbrigare questa o quella faccenda.

Non è solo la necessità di svolgere da remoto i compiti che prima venivano fatti andando di persona in un determinato luogo, non è solo un dover fare di necessità virtù. C’è stato un vero e proprio aumento delle competenze, un miglioramento delle infrastrutture, una maggior familiarità nell’uso di certe tecnologie.

«La tecnologia ha anche mostrato come possiamo far funzionare meglio la nostra società in tempi normali», dice Tufekci. E l’esempio più evidente è probabilmente quello del lavoro, che si è evoluto, in qualche modo, con centinaia di milioni di persone in tutto il mondo hanno dovuto svolgere le stesse mansioni di prima ma senza passare in ufficio.

«Per molti lavoratori è stato un vero vantaggio. I pendolari, per fare un esempio, perdono molto tempo; la guida invece è tra le attività più pericolose che intraprendiamo ogni giorno. Inoltre la competizione per cercare di evitare lunghi spostamenti distorce i valori delle proprietà e può peggiorare la disuguaglianza, poiché chi ha soldi paga un extra per vivere vicino ai centri di lavoro, mentre gli altri residenti non possono più permettersi di viverci», si legge nell’articolo.

Tufekci cita poi le riunioni in teleconferenza, che sono diventate più inclusive. Così come le grandi presentazioni che prima avrebbero visto alternarsi sul palco solo alcuni nomi selezionati. «Nell’ultimo anno – spiega – ho partecipato a conferenze a cui altrimenti non avrei avuto la possibilità di partecipare senza lunghi spostamenti e alti costi di trasferta. Ho tenuto discorsi durante i quali ho interagito con persone di tutto il mondo, che altrimenti non sarebbero mai state in quella “stanza”. E sebbene mi manchino le conversazioni di persona a margine degli eventi penso che dovremmo comunque fornire un accesso remoto a coloro che altrimenti sarebbero completamente esclusi».

Terzo e ultimo punto nell’analisi dell’Atlantic è la peer review, o revisione paritaria, quella che nel mondo della ricerca scientifica indica la procedura di valutazione e di selezione degli articoli – o dei progetti di ricerca – fatta da specialisti del settore per verificarne l’idoneità alla pubblicazione, o al finanziamento.

Già prima del 2020 era una delle pietre angolari della ricerca scientifica: una buona ricerca progredisce più facilmente quando un gruppo di esperti può esaminarla, replicarne i risultati, testarne le teorie e costruire una sorta di competizione.

Ma ci sono sempre state delle barriere difficili da superare: «La peer review come processo formale, come accade in questo momento, non è solo condivisione di idee tra scienziati. Molte riviste scientifiche “peer review”, specialmente quelle più prestigiose che possono aiutare la carriera di uno scienziato, sono di proprietà privata, appartengono a società a scopo di lucro, e le revisioni il più delle volte sono fatte gratuitamente, su base volontaria, su articoli inviati da scienziati che non vengono pagati dalle riviste».

Negli ultimi 12 mesi l’urgenza della pandemia ha costretto il mondo della ricerca ad andare oltre. Una buona parte della comunità di ricerca ha iniziato a pubblicare i suoi risultati come “preprints”, cioè documenti non ancora approvati da chi deve pubblicarli. Sono stati inseriti in appositi archivi scientifici senza scopo di lucro che non avevano paywall. «I preprint sono stati quindi dibattuti in modo feroce e aperto, spesso sui social media, che non è necessariamente il luogo ideale per farlo, ma era molto utile lo stesso», si legge nell’articolo.

Insomma, scrive Zeynep Tufekci «la pandemia è avvenuta in un momento di convergenza per la tecnologia medica e digitale e le dinamiche sociali, che ha rivelato un enorme potenziale positivo per le persone. Niente cancellerà le perdite che abbiamo subito. Ma questo anno terribile ci ha spinto verso miglioramenti drammatici nella vita umana, grazie a nuove biotecnologie, una maggiore esperienza con gli aspetti positivi della connettività digitale e un processo scientifico più dinamico. E in ogni caso, non rifacciamolo mai più».

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