Il principio pathémata mathémata coniato da Esopo, tradotto in «i patimenti sono insegnamenti», a quanto pare non è valso per i populisti durante questa emergenza sanitaria. Come spiega un articolo dell’Atlantic, quando Donald Trump si è ammalato di Covid-19 l’anno scorso, alcuni americani si sono chiesti se la sua malattia avrebbe stimolato un cambiamento nella sua gestione della pandemia. Ma non è stato così.
Trump ha continuato a sminuire i rischi legati al coronavirus, a tenere manifestazioni e a non indossare la maschera. Dichiarò che gli Stati Uniti stavano «girando l’angolo», anche se i casi di Covid aumentavano così come i decessi. L’ex presidente degli Stati Uniti non è l’unico populista che si è contraddistinto per questo approccio. Lo stesso scenario si è infatti verificato in paesi come Brasile e Messico, guidati da nazionalisti che sono risultati positivi al coronavirus ma che nonostante tutto hanno scelto di portare avanti le loro politiche negazioniste.
Il brasiliano Jair Bolsonaro ha definito il Covid-19 una «piccola influenza» e, prima che contrasse il virus, ha esortato la sua gente a sfidare le restrizioni locali. Dopo essersi ammalato, e aver ricevuto le migliori cure mediche del Paese, ha continuato a condividere quel messaggio.
Andrés Manuel López Obrador, presidente del Messico, ha invitato i suoi cittadini a «vivere la vita come al solito», mentre il suo governo si impegnava per l’attuazione delle restrizioni e l’intensificazione dei tamponi. Anche a Obrador, come è noto, è stato diagnosticato il Covid, ma dopo essersi ripreso ha continuato a non indossare la mascherina, diffondendo la falsa notizia che la pandemia stava diminuendo, mentre il suo Paese era in netta difficoltà prima con il monitoraggio dei casi e adesso nella distribuzione del vaccino.
Invece di imparare dalla loro malattia, rispettando il ruolo della scienza, a garanzia della salute pubblica, e prendendo decisioni politiche proattive, questi leader hanno scelto la negazione. Secondo la rivista statunitense, i tre casi offrono una lezione sulla pandemia: “se ammalarsi non cambierà le menti di questi leader, forse niente lo farà”.
In Messico, per esempio, Obrador è tornato in carica la scorsa settimana dopo aver trascorso quasi due settimane in quarantena. Come Trump e Bolsonaro prima di lui, il presidente messicano ha evitato di parlare della pandemia. Ha esortato le persone ad abbracciarsi e baciarsi, dicendo che si stava affidando al suo portafortuna di scapolari e banconote da due dollari.
Obrador ha viaggiato spesso e non rispettato le raccomandazioni sul distanziamento sociale. Nel frattempo, il suo governo non ha emanato nessun obbligo di indossare dispositivi di protezione individuale, non è riuscito ad approvare misure di soccorso economico e non ha monitorato ampiamente il virus.
E così il Covid, ad oggi, è totalmente fuori controllo. Per tutto il mese di gennaio gli ospedali di Città del Messico, la capitale, sono stati al completo. C’è carenza di ossigeno per i malati e la campagna di vaccinazione si è bloccata. Il Messico attualmente ha il terzo numero di morti più alto al mondo, fatto ancora più preoccupante se si considera l’età media molto giovane della popolazione e il fatto che questo bilancio è probabilmente un conteggio molto inferiore ai numeri effettivi.
Obrador continua sulla sua strada: la scorsa settimana durante una conferenza stampa ha litigato con i giornalisti che gli chiedevano di indossare la mascherina. Lui si è giustificato dicendo che la pandemia si sta attenuando.
«La prima cosa che ha fatto è stata dire che non era necessario indossare una maschera», ha detto Laurie Ann Ximénez-Fyvie, decente di medicina presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico, all’Atlantic. «In Messico siamo a un punto molto critico. Abbiamo molte varianti che stanno circolando nelle nostre comunità. Penso quindi che le parole di Obrador siano la cosa più irresponsabile che abbia mai sentito», continua la donna.
Stessa strategia quella di Bolsonaro. Dopo essersi ammalato la scorsa estate, il presidente brasiliano ha minimizzato la sua malattia, ha venduto l’idrossiclorochina come antidoto e ha ridicolizzato la mascherina. Ha combattuto con i governatori che hanno imposto blocchi regionali e ha esortato i brasiliani a continuare a lavorare.
Bolsonaro è perfino uscito rafforzato, in termini di consenso, da questa fase. Aver spinto per un piano di aiuti, consistente in versamenti in contanti ai cittadini più poveri del Paese, e non aver bloccato la produzione nazionale lo ha reso più popolare. E la maggior parte dei brasiliani non lo biasima per la crisi.
«È esattamente quello che voleva. Non è che le persone dicano che ha risposto in modo eccezionale, ma tutto ciò di cui aveva bisogno era che la gente dicesse: “Alcuni moriranno, ma almeno non perderemo il lavoro”», spiega Oliver Stuenkel, docente di Scienze politiche all’università Fundação Getúlio Vargas.
Quella di Trump, invece, è stata una tattica più di stampo irriverente. È risultato positivo al tampone dopo essere tornato da una delle sue numerose manifestazioni elettorali, e nonostante tutto ha minimizzato la minaccia del Covid e ha preso in giro scienziati e immunologi. La sua dimostrazione di forza alla Casa Bianca dopo essere tornato dall’ospedale – marciando su un balcone di fronte al South Lawn e strappandosi la mascherina – e il suo messaggio agli americani di non lasciare che il virus «ti domini», è stata la sua dichiarazione al mondo che nulla può scalfirlo, e il virus può essere affrontato come veri uomini.
La speranza, pertanto, che la malattia avrebbe ridimensionato i sovranisti del mondo, incoraggiandoli a mostrare più empatia e comprensione, è completamente svanita. Perché? Questi leader, sotto un aspetto psicologico, sono certi della loro condotta e si fidano del loro istinto. Mentre facendo un calcolo politico: Bolsonaro è in attesa di essere rieletto il prossimo anno e la sua gestione della pandemia potrebbe essere un grosso problema nella campagna. Al momento non deve affrontare una seria opposizione ed è riuscito a consolidare alleanze con i partiti di destra. Lo scenario più probabile, è che Bolsonaro venga rieletto con una pluralità di voti.
In Messico i presidenti sono costituzionalmente esclusi dal cercare la rielezione e il mandato di López Obrador non scadrà prima di altri quattro anni. Il controllo del Congresso da parte del suo partito sarà in palio nelle elezioni di medio termine di quest’anno: la pandemia non ha inferto un duro colpo alla popolarità di Obrador, e la sua alleanza è una delle favorite per ottenere il maggior numero di seggi ed espandere il suo controllo sui governatori. «Sta succedendo qualcosa di molto, molto pericoloso in Messico», ha detto Ximénez-Fyvie. «La gente lo adora. È come se una porzione di messicani fosse stata presa in una setta».
Anche per Trump il ragionamento politico per non ammettere l’errore aveva una certa logica: la sua gestione della pandemia era opposta a quella del Partito democratico, unito e organizzato. Un improvviso cambio di direzione lo avrebbe esposto a forti critiche e forse avrebbe indebolito la sua base elettorale. Alla fine ha perso le elezioni, ma è comunque arrivato a 43.000 voti dalla vittoria, non una sconfitta clamorosa.
Insieme, i percorsi di questi leader, indicano la durabilità del marchio politico sovranista. Che anche di fronte a una minaccia reale come il Covid-19 difficilmente cambierà la loro visione di sistema e di governabilità.