Zona rossaIl silenzio operativo di Draghi, l’iperattivismo di Salvini e il rischio della terza ondata

Il leader leghista non vuole lasciare spazio a Giorgia Meloni, unica depositaria del verbo dell’opposizione e tenta di stare a galla in una lealtà governativa che non sia subalterna. Ma la sua proposta di riaprire tutto è stata bocciata dal presidente del Consiglio. Ma i contagi stanno risalendo

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Non è chiaro se andiamo verso una terza ondata, come si è affrettato a dire l’ingegner Guido Bertolaso, ma di certo sul fronte del Covid la situazione sta peggiorando. E Mario Draghi, il commander in chief, non intende fare passi falsi: la linea dura è confermata, la pressione mediatica di Matteo Salvini per un avvicinamento a ipotesi di riapertura («se si possono frate i pranzi fuori, si possono fare anche le cene») è respinta. Niente da fare. La scelta è politica – verrà spiegata oggi da Roberto Speranza in Parlamento – ma Draghi ha voluto anche l’imprimatur del Comitato tecnico scientifico. E ieri sera da Silvio Brusaferro, Agostino Miozzo e Franco Locatelli, il vertice del Cts, lo ha ottenuto. Cari scienziati, si può pensare a riaprire qualcosa? Risposta secca: no.  

Dati alla mano, Locatelli e gli altri hanno bocciato tutte le richieste arrivate sotto forma di quesiti da vari ministeri. E dunque: no alla riapertura di sale giochi e sale bingo, no alla riapertura di piscine e palestre, nemmeno per lezioni individuali. Non ci sono le condizioni. I contagi stanno risalendo, c’è di nuovo qualche affanno nelle terapie intensive, la variante inglese comincia a fare davvero paura. Ai ministri presenti non è restato altro che prendere atto. Se questo è il quadro è probabile che gli scienziati la settimana prossima diranno de visu a Dario Franceschini che è presto per riaprire cinema e teatri.

Il messaggio arriva chiaro anche a Salvini, che da parte sua ha assoluto bisogno di marcare il territorio. Su tutto. Per apparire come l’uomo forte della maggioranza e se serve vestire i panni dell’anti-Draghi, il quale non agisce con gli stilemi dei leader politici ma esattamente come un comandante in capo che vuole capire le posizioni di tutti, e per questo ieri mattina ha incontrato il capo leghista senza alcun timore reverenziale ma per intendere bene il senso della campagna salviniana per la riapertura: e deve averlo trattato con tanto rispetto e altrettanta fermezza se il numero uno della Lega alla fine nulla ha trovato su cui polemizzare. 

Salvini poi ha capito che nel dibattito politico in questa fase è praticamente l’unica voce in campo, come ha scritto qui Francesco Cundari, grazie al silenzio di un Partito democratico quotidianamente alle prese con il problema di trovare qualcosa da dire senza lacerate il partito; e poi il leader leghista ha anche il problema di non lasciare troppo spazio a Giorgia Meloni, unica depositaria del verbo dell’opposizione: e dunque tenta di stare a galla in una lealtà governativa che non sia subalternità a Draghi. Esercizio non facile, per un istintivo come lui.

E anche se non ha convinto Draghi, Salvini ha però tirato dalla sua esponenti lontani come Stefano Bonaccini e Stefano Patuanelli, evidentemente alle prese con il problema della ripresa rispettivamente dell’apparato industriale dell’Emilia e dell’agricoltura. Tuttavia la realtà impone al governo di mantenere la linea dura, mentre l’infida variante inglese è ormai penetrata nella solita sfortunata Lombardia, e Letizia Moratti ha dovuto inventare la zona arancione rafforzata, a qualche millimetro dalla zona rossa, per vari centri del bresciano. I dati nazionali restano preoccupanti. Palazzo Chigi è in allarme, Salvini deve fermarsi.