Stavolta le dimissioni tante volte minacciate le ha date sul serio. La maledizione del Partito democratico dunque continua, con il segretario a un certo punto o perché sovrastato dai dissidi interni (Walter Veltroni) o perché sconfitto alle elezioni (Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi) si dimette. Nicola Zingaretti ha sorpreso tutti con un post perentorio e polemico: «Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni». È una specie di sfida agli oppositori interni: «Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità».
La domanda a questo punto è: si tratta di un bluff, un grande bluff, per farsi riconfermare dall’Assemblea nazionale già fissata per il 13? A giudicare dal rapidissimo schierarsi intorno a lui di molti dei più importanti esponenti del partito (uno su tutti: Dario Franceschini, l’ago della bilancia in quel partito che ormai è una federazione di correnti) parrebbe che sì, è tutta una manovra per mettere clamorosamente in minoranza i suoi oppositori (Base riformista, orfiniani più altri, da Cuperlo a Zanda, che in questi giorni hanno chiesto un congresso “vero”) in vista di un “repulisti” interno che chiuda questa stagione nervosissima del dopo-Conte. Vuole un nuova incoronazione, lo zar Nicola, altro che congresso “vero”; e le liste per le politiche le farà lui.
Se così fosse, ci sarebbe comunque da chiedersi quanto sarebbe forte un segretario che, anche per il modo con cui si è dimesso che qualcuno bolla come “grillino”, avrebbe dato prova di una certa instabilità e soprattutto tenuto al suo posto da Franceschini, vero dominus del partito.
Non sarebbe un leader dimezzato? Zingaretti tiene il punto assicurando che le sue sono dimissioni autentiche. L’Assemblea deciderà se respingerle (ma ci sono i numeri?) o eleggere un “reggente” contestualmente fissando il congresso. Vedremo come risponderà Base riformista, la corrente di Guerini e Lotti rimasta sorpresa dalla mossa che secondo molti è farina del sacco di Goffredo Bettini, non a caso fra i primi a sfidare le minoranze.
Le dimissioni di Zingaretti rappresentano in ogni caso una tappa drammatica per un partito senza pace: e non è escluso che in questa situazione di nevrastenia diffusa l’Assemblea nazionale possa diventare un ring.