Albert Bourla, presidente e ceo di Pfizer, in un’intervista al Corriere e ad altri tre quotidiani europei, racconta l’evoluzione di quello che è stato il primo vaccino anti-Covid a essere autorizzato, per giunta dopo aver rifiutato i sussidi del governo americano.
«Ho cercato di proteggere i nostri scienziati dalla burocrazia che i sussidi portano con sé», racconta Bourla. «Quando prendi soldi dal governo, ci sono obblighi ed è giusto. Io non lo volevo. Volevo che i nostri scienziati avessero risorse, dato che gli stavo chiedendo di rendere possibile l’impossibile. Non potevo chiedere loro di fare in nove mesi qualcosa che richiede dieci anni, se dovevano preoccuparsi dei soldi. Quindi, abbiamo messo a rischio due miliardi. Avessimo fallito, Pfizer avrebbe sofferto ma non saremmo affondati. Avremmo avuto problemi molto più grandi: non noi, il mondo. Dunque non volevo neanche pensare al fallimento».
Poi dà qualche numero sulle consegne in Europa: «Noi stiamo programmando di aumentare drasticamente le forniture di vaccini in Europa nelle prossime settimane. In questo trimestre consegneremo oltre quattro volte in più rispetto al primo trimestre: 250 milioni di dosi, dopo averne date 62 fino a marzo. E siamo in discussioni per fare di più. Certo, c’è sempre la possibilità che qualcosa vada storto, come si vede dai problemi che stanno avendo altre aziende. Qualche questione può sempre sorgere, quando hai a che fare con la manifattura complicatissima di prodotti biologici. Ma sono ottimista, perché finora abbiamo prodotto tantissimo ed è andata bene quasi al 100%».
Ma un ritorno alla normalità in autunno è realistico? «Credo di sì», risponde. «Lo vediamo da Israele. Certo Israele è piccolo, con movimenti in entrata e uscita limitati. Ma lì siamo riusciti a dimostrare al mondo che c’è speranza. Quello era il senso dello studio sui dati israeliani. Sapevamo che l’euforia dopo i primi vaccini sarebbe venuta meno quando, mese dopo mese, la gente vede che la vita non cambia molto. Ma in Israele si vedono i veri effetti: quando vaccini una parte importante della popolazione, diventa possibile tornare quasi alla vita di prima».
Bourla spiega che c’è un calendario mese per mese delle forniture all’Unione europea nel 2021. «Abbiamo una pianificazione rigorosa, ne parliamo con Bruxelles ogni settimana», spiega. «Credo siano soddisfatti, come noi, perché finora siamo sempre stati in anticipo sulla tabella di marcia. Nel nostro stabilimento di Puurs, in Belgio, entro maggio programmiamo di raggiungere il ritmo di circa 100 milioni di dosi prodotte al mese. Con miglioramenti significativi a seguire nei prossimi mesi».
E specifica: «Tutti i 27 Paesi stanno ricevendo quanto richiesto, spediamo in molti centri ogni settimana. Le dosi arrivano con una precisione del 99,9%. Il problema è che la Ue è grande e non tutti i fornitori sono riusciti a consegnare quanto promesso. Questo ha creato problemi. Ma ora stiamo tutti accelerando e credo che entro un paio di mesi non ci sarà più un problema di disponibilità. La luce in fondo al tunnel diventerà sempre più intensa».
Dopo AstraZeneca, sono arrivati i problemi con Johnson & Johnson. Pfizer potrebbe compensare? «Se ce ne danno l’opportunità, Pfizer e BioNTech sono pronte a fornire all’Europa centinaia di milioni di dosi in più nel 2022 e 2023, fatte nella Ue. La nostra rete può produrre più di tre miliardi di dosi l’anno prossimo».
La Commissione parla di un accordo per 1,8 miliardi di dosi Pfizer nel 2022 e 2023. «Stiamo negoziando con la Commissione e con molti altri Paesi nel mondo su contratti pluriannuali di fornitura di vaccini Covid nel 2022 e 2023. Vogliamo essere dei partner nel lungo periodo delle autorità sanitarie di tutto il mondo nella lotta a questa pandemia», dice il ceo. «In questo momento, la collaborazione di Pfizer con l’Europa è eccellente».
Cosa si sa della possibilità che i vaccinati siano portatori sani ma infettivi? «Nei nostri studi vediamo che l’effetto di prevenzione dei vaccini è molto alto. Ne abbiamo conferma nei dati da Israele, che ha usato solo il nostro vaccino su milioni di persone e riporta un’efficacia del 97%: anche più alta che nel nostro studio. I dati israeliani danno anche un’efficacia al 90% negli asintomatici. È la prova che il nostro vaccino controlla anche le infezioni. In più all’85% il campione israeliano è di casi della variante inglese, la più trasmissibile. Il vaccino l’ha fermata».
E su altre varianti aggressive come quella sudafricana? «Abbiamo uno studio su 46mila individui. Nel campione 800 erano in Sudafrica, ma l’efficacia è stata al 100%. Per ora non vediamo indizi che le varianti conosciute producano perdita della protezione dal nostro vaccino».
Dopo quanto tempo le prime dosi smettono di essere efficaci? «Abbiamo i primi risultati a sei mesi dalla vaccinazione: la protezione è ancora alta. Non come nei primi mesi, ma molto al di sopra dell’80%. È una buona notizia. Sembra che fare un richiamo sarà necessario, ma vanno visti i dati e ora li abbiamo solo sui sei mesi».
Per il futuro, spiega, lo scenario più probabile è «quello in cui arriviamo a una situazione endemica. Ma penso pienamente controllabile. E non sono ottimista a causa del mio temperamento mediterraneo. Ho i dati. So che abbiamo uno degli strumenti più potenti mai stati creati in medicina, un vaccino con almeno il 95% di efficacia. Con l’RNA messaggero (mRNA, ndr), noi abbiamo una tecnologia che si può adeguare rapidamente se compare una variante. Con altre tecnologie lo si fa nel giro di mesi. Con mRNA è tutto altamente digitalizzato, per quello gli errori umani sono rari. E sapendo che possiamo riprendere rapidamente controllo delle varianti e abbiamo un’efficacia al 95%, credo questa diventerà come un’influenza. Ci vaccineremo e vivremo le nostre vite».
Quanto al prezzo più elevato del farmaco Pfizer, dice: «Non conosco i prezzi delle altre aziende, ma ci sono fughe di notizie che ho visto anch’io. E vedo alcuni prezzi più bassi, come altri più alti dei nostri. Noi abbiamo bisogno di alcuni principi di equità, per cui nei Paesi ad alto reddito c’è un prezzo che è il costo di un pasto. È un prezzo sotto a quelli di qualsiasi vaccino abituale, anche se questo non solo salva vite, ma permette di riaprire l’economia. L’impatto benefico dei vaccini si misura in migliaia di miliardi e noi li diamo al costo di un pasto. Nei Paesi a medio reddito, stiamo dando il vaccino a quasi la metà di quel prezzo. E nei Paesi a basso reddito a prezzo di costo. Cerchiamo di fare in modo che tutti abbiano accesso, e non solo perché è giusto: in una pandemia sei protetto tanto quanto il tuo vicino. Se le persone in Africa non ricevono abbastanza vaccini, l’Africa diventa il bacino dove il virus continuerà a produrre gran parte delle varianti».
«C’è sempre un po’ di retorica», ammette. «Ma non è vero che i diritti di proprietà intellettuale ostacolano la produzione. L’intralcio è che ci siamo mossi alla velocità della luce. Non c’era nulla, abbiamo dovuto iniziare da zero, accettando il rischio di fallimento. È stato un miracolo».