«La Super League non può andare avanti a queste condizioni». Andrea Agnelli, presidente della Juventus, lo dice alla Reuters, aggiungendo però di essere «convinto della bontà di quel progetto». È un cambio di rotta evidente rispetto alle dichiarazioni pubblicate solo poche ore fa.
«Fra i nostri club c’è un patto di sangue, il progetto della Super League ha il 100 per cento di possibilità di successo, andiamo avanti», aveva detto Agnelli in un’intervista al direttore di Repubblica Maurizio Molinari, dopo che si sono ritirate dal progetto le sei squadre inglesi. La situazione è tesa: in gioco c’è non solo la sfida alla Uefa, ma la credibilità dei più grandi club europei. E intanto anche l’Inter sembra essersi tirata fuori: «Il progetto della Superlega allo stato attuale non è più ritenuto di interesse dall’Inter», scrive l’Ansa.
Andrea Agnelli spiega: «Vogliamo creare la competizione più bella al mondo capace di portare benefici all’intera piramide del calcio, aumentando la distribuzione delle risorse agli altri club e rimanendo aperta con cinque posti disponibili ogni anno per gli altri da definire attraverso il dialogo con le istituzioni del calcio». Ma «nessuna minaccia» per i campionati nazionali, assicura. «C’è piena volontà di continuare a partecipare a campionato e coppe nazionali».
Il presidente della Juventus dice anche che «il bonus di 350 milioni l’anno è falso. Noi rimaniamo nelle competizioni domestiche, andremo a giocare in ogni stadio d’Italia, di Spagna e d’Inghilterra». E «l’alimentazione dei settori giovanili viene mantenuta. Ogni settimana daremo ai tifosi le partite dei campionati nazionali e di una nuova competizione, capace di avvicinare le generazioni più giovani che si stanno allontanando dal calcio».
Al contrario di quanto sostengono i critici del progetto, secondo Agnelli la Superlega andrà incontro alle preferenze dei più giovani. «Vogliono vedere i grandi eventi e sono meno legati agli elementi di campanilismo che hanno segnato le generazioni precedenti, compresa la mia», dice. «Un terzo dei tifosi mondiali segue due club che sono tra i fondatori della Superleague, il 10 per cento segue i grandi giocatori e non i club, due terzi seguono il calcio più per “il timore di perdere qualcosa” che non per altro, e il dato più allarmante è che il 40% per cento di coloro che hanno fra i 16 e 24 anni non ha interesse nel mondo del calcio. Andare a creare una competizione che simuli ciò che fanno sulle piattaforme digitali — come Fifa — significa andargli incontro e fronteggiare la competizione di Fortnite o Call of Duty che sono i veri centri di attenzione dei ragazzi di oggi, che spenderanno domani».
Agnelli non ha dubbi: «Il calcio sta vivendo una crisi enorme di appetibilità verso le nuove generazioni. Avere gli stadi chiusi da un anno per chi ha figli di 10-15 anni di età lo evidenzia: si interessano ad altro. È un processo accelerato dall’epidemia».
L’Uefa intanto vuole espellere i club ribelli, i campionati locali minacciano di non farli giocare e i giocatori rischiano di non poter vestire più le maglie nazionali. Il rischio è di rimanere isolati. «Temo molto di più una situazione di monopolio di fatto con il tentativo di impedire a società e giocatori di esercitare le proprie libertà sancite dal Trattato dell’Ue», contrattacca Agnelli. «Bisogna uscire da questa situazione di monopolio dove i nostri regolatori sono i nostri principali rivali. È un esercizio delle libertà».
Agnelli racconta che «per quasi dieci anni ho lavorato nelle istituzioni sportive internazionali che detengono il controllo delle competizioni, con un monopolio di fatto, senza sostenere alcun rischio economico. Perché i rischi ricadono solo sui club. Non sono riuscito a fargli capire quanto è alto il rischio economico per i club che generano valore per tutti gli stakeholder del calcio. O forse non hanno mai voluto capirlo. Dunque bisognava cambiare le cose».
Ma qual è ora la mossa per rompere l’assedio da parte delle istituzioni del calcio europeo e nazionale? «Abbiamo fiducia nella bontà della nostra iniziativa che crediamo avrà successo nel breve periodo. L’iniziativa intrapresa, come previsto dal Trattato Ue, porterà a veder riconoscere un nostro diritto. Per questo teniamo il dialogo aperto con istituzioni, Fifa e Uefa». Perché – spiega – «ciò che stiamo facendo è perfettamente legale. Stiamo esercitando una libertà prevista dal Trattato dell’Ue. E questo è molto importante».
La Superleague «affronta il maggior problema dell’industria del calcio che è la carenza di stabilità. Le riforme delle competizioni, nazionali e internazionali, sono temi costanti dell’elezione dei presidenti delle istituzioni del calcio. È il momento di agire», ripete. «Abbiamo scritto ai presidenti di Fifa e Uefa per dialogare». «Cercheremo un accordo con Uefa e Fifa». Ma si «va avanti comunque. Se ci faranno una proposta, la valuteremo».
Ma l’intento è quello di restare nella serie A: «La tradizione del calcio risiede nei campionati domestici. Per noi i tifosi sono importanti e devono avere la possibilità, ogni domenica, di venire allo stadio».
Quanto alle reazioni dei politici europei, Agnelli dice: «La posizione di Draghi è di grande buon senso. Lo sport è da sempre contro le ingerenze della politica. Se i leader politici vogliono intervenire sul fronte economico — dove stimiamo perdite fra i 6,5 e gli 8,5 miliardi di euro — sarà positivo, soprattutto sul fronte con la Uefa».
Il presidente della Juve racconta poi come è nato l’accordo sulla Superlega: «La volontà politica è maturata negli ultimi 20-30 anni. Credo che non si sia capito qual è stato l’impatto della pandemia nel mondo del calcio, al punto che nel budget 2021-2022, che è stato presentato nel dicembre 2020, i presupposti che Uefa ha fatto sono da brividi. Cito: “Le cifre presentate si basano sulla crisi sanitaria superata senza impatto su competizione e eventi, il calcio sta continuando normalmente”. La massima istituzione del calcio europeo a dicembre del 2020 diceva questo. Istituzione che, vi ricordo, non ha nessun rischio economico nell’industria che regolamenta e con la quale compete. Questo conflitto d’interessi è importante sottolinearlo».
«Bisogna tener presente», continua Agnelli, «che l’Uefa gestisce i nostri diritti, li vende, decide quanti che ce ne redistribuisce e ci regola pure. Senza affrontare alcun rischio economico. Ed inoltre è un nostro rivale. Mi pare un aspetto di grande valore per un’industria da 25 miliardi di euro. Fifa e Uefa fanno grandi ricavi con i nostri giocatori ma non ci hanno aiutato nei momenti di crisi. Devono scegliere: o fanno i regolatori o i promotori commerciali».
E se saranno espulsi dai campionati nazionali? «Non sarà così. Se avvenisse sarebbe un grave abuso. Quanto stanno minacciando è illegale. Se ciò avvenisse non sarebbe solo un monopolio ma una dittatura. Vogliamo rimanere vicini ai nostri tifosi», risponde. Ma Agnelli spiega anche che «il calcio non è più un gioco ma un comparto industriale e serve stabilità. Anche a livello domestico. In Europa la partita che vale di più non è la finale di Champions ma i play-off della prima divisione inglese per accedere alla Premier League: ben 150 milioni. Questa non è stabilità. Servono regole economico-finanziarie ferree come quelle stabilite nella Superleague».
Il duello fra Davide e Golia, però, non ci sarà più – fa notare Molinari. E lo sport ne uscirà indebolito, mentre le squadre piccole dovranno rinunciare ai sogni. «All’origine vincevano le squadre delle grandi città – da Bucarest a Belgrado – perché avevano grandi stadi e grandi entrate, poi c’è stato l’avvento dei diritti tv e si sono imposti i Paesi: Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Italia», spiega Agnelli. «Tutti gli altri – dall’Olanda alla Serbia – sono spariti non perché non meritevoli bensì perché non appartenenti a Paesi con un Pil che garantiva diritti televisivi importanti. Il prossimo passaggio sono i marchi globali: possono garantire entrate per garantire alla piramide del calcio ritorni davvero fiorenti. Per questo nasce la Superleague».
Un esempio arriva dal basket, spiega: «Ho parlato con Gianni Petrucci, presidente della Federazione italiana pallacanestro. Nel basket hanno trovato una coesistenza. È un precedente e riguarda il secondo sport europeo. Se osserviamo il percorso che ha portato alla nascita dell’Eurolega e dell’Eurocup troviamo un percorso analogo al nostro. Perché il calcio no?». E conclude: «Mi rassicura il progetto di creare il campionato più bello del mondo, mi preoccupa il populismo che ostacola il dialogo su questa iniziativa».
E i giocatori della Juve come hanno reagito all’annuncio? «Mi hanno chiesto quando si comincia».