Twilight of MozzorecchiL’arresto degli ex terroristi ci ricorda l’importanza di non avere Bonafede ad accoglierli

Tra i molti motivi per rallegrarsi del passaggio da Conte a Draghi, questo è il primo: avere licenziato un guardasigilli capace di esibire un uomo in manette in un video di propaganda. Una scena immaginabile solo nelle democrazie illiberali descritte da Anne Applebaum

LaPresse

Alla notizia dell’arresto in Francia di sette persone condannate in via definitiva per terrorismo dai nostri tribunali, ogni persona civile cui sia toccato in sorte di vivere nell’Italia di oggi, qualunque cosa pensi degli anni di piombo, dei singoli casi giudiziari e di tutto il dibattito politico annesso, ha almeno un buon motivo per sentirsi rassicurata. E il motivo è la ragionevole certezza che l’attuale ministra della Giustizia, Marta Cartabia, non andrà ad accogliere gli arrestati all’aeroporto mascherata da agente di polizia, come fece il suo predecessore Alfonso Bonafede assieme all’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, in occasione dell’estradizione di Cesare Battisti, girandoci sopra anche un video, con tanto di colonna sonora aggiunta in postproduzione, pubblicato sulla sua personale pagina Facebook, dal titolo «Una giornata che difficilmente dimenticheremo» (l’unica cosa su cui aveva ragione da vendere).

Dovessi dire un solo motivo per cui valeva la pena passare dal governo di Giuseppe Conte a quello di Mario Draghi, dei duecentoquarantotto miliardi che me ne verrebbero in mente, direi proprio questo: non avere più un Bonafede in quel ruolo, e soprattutto non avercelo in un momento simile.

L’esibizione di un uomo in manette in un video di propaganda, da parte del ministro della Giustizia, è uno spettacolo che al giorno d’oggi, in Europa, si può immaginare di vedere solo nell’Ungheria di Viktor Orbán o nella Polonia di Jaroslaw Kaczyński e dei suoi epigoni, i paesi di cui parla Anne Applebaum nel suo bel libro, non per niente intitolato «Il tramonto della democrazia» (Mondadori). Libro in cui racconta una storia che parla anche di noi, e cioè di quell’insieme di fattori – politici, culturali, personali – che possono portare una democrazia avanzata a imboccare di colpo la strada verso l’autoritarismo, utilizzando la retorica populista per combattere ogni forma di pluralismo e rinnegare i più elementari principi dello stato di diritto.

È un racconto angosciante, anche perché assomiglia a uno dei nostri futuri possibili, in quanto, per una parte di questa legislatura, è stato il nostro terrificante presente, che solo le bizzarre sliding doors delle manovre parlamentari (il cielo ce le conservi) hanno permesso di relegare tra i finali catastrofisti scartati all’ultimo in sede di montaggio, favorendo la repentina conversione europeista prima del Movimento 5 stelle e poi della Lega.

Speriamo che il ritorno al bipolarismo di coalizione irresponsabilmente promosso da Enrico Letta non riporti presto di attualità un simile scenario. Sarebbe davvero un bel paradosso, a pensarci bene, se in nome della fedeltà a una legge elettorale (il famoso «spirito del maggioritario»), il Pd finisse per mettere a rischio i principi fondamentali dello stato di diritto e della democrazia liberale, condannando il paese a uno scontro tra due populismi. Perché un tale bipolarismo, considerato anche lo stato dei cinquestelle, non farebbe altro che aprire la strada alla vittoria a valanga di un centrodestra sovranista, per di più riempiendo pure i banchi dell’opposizione con populisti del calibro dell’ex ministro della Giustizia.

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