Il capitalismo “brutto e cattivo” e il ciboO del perché dovremmo fare attenzione ai risvolti sistemici quando parliamo di gastronomia

Mettere in discussione il nostro sistema gastronomico senza mettere in discussione le storture del capitalismo contemporaneo è probabilmente il modo sbagliato di affrontare la questione

In un ottimo articolo sullʼeredità letteraria di Isaac Asimov, iconico e indimenticato autore di fantascienza che ha definito il genere nel Novecento, Vincenzo Latronico parla di come la sua riflessione sui robot (e sullʼautomazione, la tecnologia, lʼintelligenza artificiale…) debba essere considerata alla luce dellʼidentità e degli sviluppi del capitalismo. Latronico racconta come Asimov fosse sostanzialmente un illuminista, e nella specifica fase storica in cui si è dipanata la sua opera nutrisse ampia fiducia nella positiva unione futura tra capitalismo e socialismo: «Confidava che la ragione, la mediazione, avrebbe portato alla soluzione di ogni conflitto. Confidava che capitalismo e socialismo si sarebbero diluiti e compenetrati e che le nazioni si sarebbero sciolte in una sorta di socialdemocrazia galattica; confidava che l’intelligenza artificiale sarebbe stata messa al servizio del governo eliminando ogni problema energetico e distributivo». Una fiducia, quella di Asimov, che tuttavia si è dimostrata mal riposta: «la tecnologia di oggi molto spesso non protegge gli esseri umani: al contrario, è progettata per spiarli, manipolarli, ingozzarli di notizie falsificate e teorie del complotto calibrate ad arte per fare presa sulle debolezze specifiche di ognuno. I droni militari sono, letteralmente, robot progettati per uccidere».

Così come Asimov non ha fatto i conti con il vero volto del capitalismo contemporaneo, lo stesso possiamo dire di una parte consistente della riflessione e della critica sul cibo e sui nostri sistemi alimentari. Per farla breve: in un mondo (quello gastronomico) che oggi è infarcito di termini come sostenibilità ed etica, ancora in molti faticano a vedere quanto il modo in cui ci nutriamo sia letteralmente definito dalle logiche intrinseche del capitalismo, a cui della sostenibilità e dellʼetica non importa un fico secco, a meno che non possano generare profitti. Parafrasando liberamente Latronico potremmo dire che buona parte del capitalismo alimentare di oggi non protegge gli esseri umani: è progettato per spiare i loro consumi, manipolarli, ingozzarli di cibo-spazzatura per fare presa sulle debolezze specifiche di ognuno. Giusto per capirci, ecco.

Se ancora non era chiaro, proprio alle intersezioni più o meno dirette tra cibo e capitalismo “brutto e cattivo” è dedicata questa puntata di Burp!, a partire dallʼarticolo di Claire Finney per la newsletter Vittles, che racconta come sia profondamente diverso lʼapproccio al cibo delle generazioni più giovani rispetto a quello delle generazioni più vecchie. La solitudine contemporanea si traduce in cucina emozionale e curativa per le prime, e in tristi pasti pronti (turbocapitalisti? chiedo venia per lʼuso del termine) per le seconde, che hanno sempre cucinato per nutrire il prossimo, in uno slancio sociale e relazionale continuo.

A parlare sovente di cibo in unʼottica fortemente anti-capitalista è Alicia Kennedy. Altra newsletter, altro giro di giostra: in On TV scrive del suo rapporto con gli show televisivi di argomento gastronomico e nello specifico del nuovo programma sullʼItalia di Stanley Tucci.

Poi, ancora: una bella disamina di Ferdinando Cotugno di Seaspiracy, documentario sulla pesca che sta facendo parecchio discutere, Chris Crowley su ristoranti e gentrificazione, e Grace Dent sul Covid-19 e la nostra ossessione per le scorte alimentari.

Something on toast – Vittles, 5 aprile

Senza dubbio lʼarticolo più stimolante della settimana, firmato da Claire Finney.

On TV – From the Desk of Alicia Kennedy, 5 aprile

Cibo in televisione, con un bel tocco di considerazioni politiche. In pieno stile Alicia Kennedy.

Seaspiracy è la conferma che Netflix ha un problema con i documentari – Rivista Studio, 6 aprile

Il documentario di Netflix sulla pesca in mare e negli oceani sta girando parecchio, e divide anche perché ci intima – in sostanza – di smetterla (o quasi) di mangiare pesce. Qui Ferdinando Cotugno ne mette in mostra le debolezze.

A Hot New Restaurant Moved In. That Made Its Neighbors Nervous. A gentrification battle erupts in Ridgewood – Grub Street, 8 aprile

Si parla spesso della centralità della ristorazione nei processi di gentrificazione di interi quartieri. Qui un nuovo capitolo.

A lesson from Covid: my needs are pathetically minuscule – The Guardian, 2 aprile

A un certo punto molti di noi si sono fatti prendere dallʼansia e hanno iniziato ad ammucchiare scorte di cibo processato, inscatolato, a lunga conservazione. Ecco, magari è il momento di dire basta, o di disfarsene.

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