Poche cose sono meno nuove del «nuovo Ulivo» di cui Enrico Letta, appena eletto segretario del Partito democratico, ha cominciato a porre le prime pietre.
Breve riassunto dei tentativi precedenti.
Il 25 ottobre 2009 Pier Luigi Bersani vince trionfalmente le primarie per la guida del Partito democratico con il 53 per cento dei voti, incoronato cioè – almeno sulla carta, ma adesso non facciamo i pignoli – da oltre un milione e seicentomila cittadini (Dario Franceschini e Ignazio Marino si fermano rispettivamente al 34 e al 12 per cento).
Per dare la misura dello slancio, dell’entusiasmo, della carica innovativa che il neosegretario, forte di una simile legittimazione popolare, si preparava a imprimere al dibattito politico – inutile ripetere che al centro della sua piattaforma c’era l’esigenza di costruire una larga coalizione di centrosinistra, già allora ribattezzata, con il consueto sprezzo della scaramanzia, della fantasia e della fonetica, nuovo Ulivo – riporto a titolo di esempio un paio di lanci di agenzia dell’epoca.
«Roma, 27 ott. (Apcom) – La vittoria di Pier Luigi Bersani nelle primarie democratiche dovrebbe riaprire la stagione delle alleanze per il Pd, ma la giornata di oggi è bastata per far capire al nuovo leader che la svolta non sarà facile né indolore. Antonio Di Pietro e Paolo Ferrero, rispettivamente leader dell’Italia dei Valori e di Rifondazione comunista, annunciano una manifestazione contro il Governo, Bersani risponde con una sorta di nì, per ora, attraverso il suo braccio destro Filippo Penati (…)».
«Roma, 29 ott. (Apcom) – Prosegue il giro di consultazioni con gli altri leader di forze di opposizione da parte del nuovo segretario del Pd Pier Luigi Bersani, iniziato ieri con l’incontro con il leader Idv Antonio Di Pietro. Oggi alle 15.30, presso la direzione del Pd in largo del Nazareno a Roma, Bersani incontrerà il leader di Sinistra e Libertà Nichi Vendola. (…) Sul fronte delle sinistre, Bersani vedrà successivamente anche i leader di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, quello dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto, quello dei Verdi Angelo Bonelli. La prossima settimana è inoltre in programma l’incontro con i vertici Udc».
Ed ecco invece l’agenda di Enrico Letta, neosegretario del Partito democratico – pure lui deciso a ricostruire una larga coalizione, chiamata sempre nuovo Ulivo, ci mancherebbe – per la giornata di ieri, giovedì 1° aprile 2021: «Ore 10,00 – Incontro con Angelo Bonelli e la dirigenza dei Verdi. Ore 12,00 – Incontro con il segretario nazionale di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni».
Dite la verità: non sembra anche a voi che sia sempre il giorno della Marmotta? E adesso, seriamente, siete proprio così interessati a sapere che Letta, uscendo dall’incontro con la dirigenza dei Verdi, ha dichiarato che «la coalizione che stiamo costruendo dovrà avere una forte impronta ambientalista», mentre Fratoianni, dal canto suo, ha «ribadito la volontà di lavorare a una grande coalizione alternativa alla destra»?
C’è davvero là fuori qualcuno in grado di prendere sul serio tutto questo, ancora una volta? Qualcuno, intendo dire, esclusi i minori e tutti quelli che per qualsiasi ragione non si siano sciroppati la stessa filastrocca pure nel 2009, già allora con un’analoga, angosciante, anacronistica sensazione di déjà vu dinanzi alla consueta sfilata di generali senza esercito, a questa assurda via di mezzo tra un casting per l’Isola dei famosi e una fila all’ufficio di collocamento, apprendendo solo in quell’istante, e con uguale sconcerto, la prematura resurrezione di partiti e partitini dimenticati da anni?
C’è poco da fare, purtroppo. È la trentennale maledizione del maggioritario e del bipolarismo di coalizione. E Letta è fermamente deciso a tornare al Mattarellum, che del resto fa pendant col «nuovo Ulivo», con Bonelli, con il Subbuteo e con tutto il repertorio prediletto dal suo gusto vintage.
Ancora una volta, insomma, il Partito democratico si appresta a rianimare disperatamente, con trasfusioni del suo proprio sangue, forze politiche che altrimenti non sfiorerebbero nemmeno la soglia di sbarramento, al solo scopo di potercisi alleare. Cioè per permettere anche alla più microscopica di esse di ricattarlo fino all’ultimo, costringendolo a continue ed esasperanti mediazioni, sul programma non meno che su liste, posti e prebende.
Perché il più grande inganno dei fautori del maggioritario, puntualmente smentito dall’intera storia di questi ultimi trent’anni, è stato far credere all’opinione pubblica che il ritorno al proporzionale avrebbe segnato «il trionfo dei piccoli partiti», mentre nel sistema attuale i micropartiti di Clemente Mastella, per dirne uno, con i loro zero virgola, facevano nascere e cadere governi, ottenevano ministeri e sottosegretari a palate, imponevano rimpasti, nomine e dimissioni.
Non per niente l’ultima coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi, e ironicamente chiamata «L’Unione», contava 23 partiti, aveva un programma elettorale di 281 pagine e dopo la risicata vittoria del 2006 formò un agile esecutivo composto da oltre cento persone, tra ministri e sottosegretari. Per essere precisi 103, così suddivisi: 26 ministri, 10 viceministri e 66 sottosegretari, più un presidente del Consiglio (come sempre, in compenso, di breve durata).
Avanti così, dunque. Dal nuovo che avanza al nuovo che è avanzato, con i resti del quale il Partito democratico preparerà anche questa volta una coalizione coi fiocchi, che sarà naturalmente ambientalista non meno che sviluppista, riformista ma anche un po’ populista, progressista e però anche un tantinello regressista.
Con due soli punti fermi inscalfibili, per principio: la legge elettorale (per eleggere i parlamentari) e le primarie (per eleggere il gruppo dirigente). Su tutto il resto, come sempre, si troverà una mediazione.