Sine dieLa Romania ha molto gas ma potrebbe non usarlo mai

Il Paese, tra i più ricchi di idrocarburi, è in grado di fare fronte da solo al 90% del suo fabbisogno energetico. Nonostante questo, problemi di trasporto ed estrazione dell’idrocarburo non permettono allo Stato di sfruttare questa risorsa, su cui pesano anche i limiti imposti dal Green Deal per abbattere le emissioni climalteranti

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Ci sono molte cose che in pochi sanno della Romania. Una di queste è che il primo pozzo di petrolio del mondo fu scavato proprio lì, nel 1840, nel villaggio di Lucăceşti, vicino Bacau.

Un’altra è che, tutt’ora, è uno dei Paesi europei più ricchi di idrocarburi, quasi completamente indipendente dal punto di vista energetico e in grado di fare fronte da sola al 90% del suo fabbisogno energetico (produce 10,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno e ne consuma non più di 12 miliardi).

Non solo. Dopo i Paesi Bassi è il secondo produttore di gas dell’Unione.

In questo contesto di sostanziale autonomia della Romania nella approvvigionarsi di gas si è inserita, nel 2012, la scoperta di un ricchissimo giacimento nel mar nero, il Neptune Deep Sea, che si stima contenga tra i 60 e gli 80 miliardi di metri cubi di gas, ossia quanto basterebbe non solo per alimentare del tutto la Romania per anni, ma anche per dare al Paese un ruolo di peso nello scacchiere commerciale delle fonti di energia che tanto si sta rivelando delicato in questi anni, anche nell’ottica dei tentativi europei di allentare i suoi legami con la Russia.

Nonostante questo, però, il progetto di sfruttamento del campo Neptune Deep Sea, scoperto ormai 10 anni fa, non è mai concretamente partito. Questo per varie ragioni che, in ordine di tempo, potremmo riassumere così.

La prima: la Romania è poco e male interconnessa con gli altri Paesi europei, il che significa che se anche si estraesse questo gas sarebbe difficile trasportarlo in modo efficiente e continuativo al di fuori dei confini nazionali. L’unico progetto avanzato di gasdotto che riguarda la Romania è quello del BRUA: Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria.

La seconda ragione per cui, a fronte del fatto che nel mar Nero ci sia un sacco di gas, nessuno potrebbe aver voglia di estrarlo, ha a che fare con la legge romena sulle estrazioni. In particolare, la cosiddetta legge Offshore (che l’attuale governo ha promesso di cambiare) e che prevede che chiunque estragga gas in Romania debba usare almeno il 50% di quanto estratto per la fornitura interna. Una legge ritenuta poco conveniente e commercialmente controproducente persino da un colosso come Exxon Mobil che, infatti, è uscito dalla cordata di Neptune.

La terza ragione per cui il giacimento di gas Neptune potrebbe rimanere sine die riguarda l’Unione che, questo punto è cosa nota, non vuole nuovi impianti inquinanti nei suoi territori.

I dettami del Green New Deal sono chiari, così come lo è la volontà europea di raggiungere la neutralità energetica entro il 2050. Per questo l’Unione conta di non finanziare, in nessun modo, la costruzione di un nuovo impianto per l’estrazione di gas nel mar Nero, ritenendolo non coerente con i suoi obiettivi economici e ambientali.

Quest’ultimo punto però è relativamente controverso, perché il gas, per quanto appartenga alla famiglia delle fonti fossili, non è il petrolio. Inoltre, per quanto gli impianti per la sua estrazione e raffinazioni segnino in modo pesantissimo l’ambiente, le emissioni effettive del gas sono nettamente inferiori a quelle degli altri idrocarburi.

E i Paesi dell’Europa orientale stanno provando a usare proprio questa differenza d’inquinamento come grimaldello per ottenere il placet dall’Unione all’avvio di nuovi impianti.

In particolare, in un documento congiunto presentato la scorsa primavera, un gruppo di otto Paesi dell’Unione (Bulgaria, Cechia, Grecia, Ungheria, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia) ha chiesto di difendere il «ruolo del gas naturale in un’Europa climaticamente neutra» e di arrivare a «soluzioni combinate elettricità – gas» nella transizione verso emissioni nette zero entro il 2050.

Il documento, intitolato “Il ruolo del gas naturale in un’Europa climaticamente neutra”, in buona sostanza chiede all’Unione di avviare un periodo cuscinetto di transizione che consenta di ammorbidire il passaggio da energie fossili a energie rinnovabili, che per i Paesi est europei sarebbe troppo traumatico, sfruttando nel frattempo il gas naturale, meno inquinante ma più facilmente disponibile. Soprattutto, non a caso, nell’est Europa.

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