«Questo certificato non è un documento di viaggio. Prima di viaggiare, si prega di controllare le misure restrittive applicate nel luogo di destinazione». Queste parole, che saranno inserite testualmente nel Certificato Covid digitale europeo, ne sintetizzano lo spirito e la funzione. Non si tratta di un passaporto vaccinale, che permetterà ai suoi possessori di viaggiare per l’Unione europea senza pensieri. Sarà invece un documento che attesta vaccinazione, guarigione o negatività al Covid19 e sarà riconosciuto da tutti i Paesi membri, ognuno dei quali avrà però importanti margini decisionali per regolare l’ingresso sul proprio territorio.
Quarantene e restrizioni
Il certificato entrerà in vigore dal primo luglio: nella sessione plenaria di giugno arriverà l’approvazione formale del Parlamento europeo e nel prossimo Consiglio quella dei 27 governi degli Stati membri.
Il punto più dibattuto nelle complicate trattative che hanno portato all’accordo del 20 maggio riguardava le misure restrittive che gli Stati europei adottano per disciplinare l’ingresso alle proprie frontiere: obblighi di quarantena, richieste di test negativo e limiti temporali alla permanenza. I governi nazionali intendevano conservare la possibilità di imporre queste misure a propria discrezione; per il Parlamento europeo il Certificato Covid-19 doveva invece eliminarle, restituendo ai cittadini europei (almeno quelli vaccinati, guariti o negativi) la libertà totale di movimento persa durante la pandemia.
La soluzione, sancita nell’articolo 10 del regolamento che istituisce il certificato, è il più classico dei compromessi comunitari, accettabile da entrambe le parti proprio per la sua vaghezza: «…gli Stati membri dovranno astenersi dall’imporre ulteriori misure restrittive ai viaggi… a meno che esse non siano necessarie e proporzionate alla salvaguardia della salute pubblica in risposta alla pandemia da Covid-19».
In pratica, alle capitali nazionali sarà concesso di richiedere tamponi negativi e periodi di isolamento, come già succede ora. Certo, per farlo dovranno «prendere in considerazione evidenze scientifiche, compresi i dati del Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc)» e anche comunicarlo tempestivamente agli altri Paesi e alla Commissione (possibilmente 48 ore prima), come stabilisce il testo. Di fatto, però, il potere decisionale resterà nelle loro mani.
Come sarà concretamente il certificato
Il Certificato Covid digitale europeo sarà in realtà disponibile anche in formato cartaceo e sarà emesso in tre diverse varianti: un certificato per la vaccinazione, uno per la guarigione e uno per la negatività al Covid. Dovrà essere rilasciato in maniera gratuita, dall’ente che attesta l’inoculazione del vaccino o analizza il tampone: saranno i cittadini europei a richiederlo esplicitamente, ma dovranno essere informati della possibilità di poterlo fare.
Nella pratica, funzionerà con un’infrastruttura digitale operativa in tutta l’Unione europea: ogni certificato conterrà una chiave di autenticazione tramite un codice QR, tramite la quale sarà possibile verificarne l’autenticità in tutti i 27 Paesi Ue. Le prove di interoperabilità, fa sapere la Commissione europea, stanno andando bene: in 18 Paesi, tra cui l’Italia, la struttura digitale è già stata testata, negli altri si procederà a breve.
Conterrà soltanto i dati essenziali allo scopo: nome e cognome del possessore, data di nascita, data e dettagli medici della vaccinazione o del test, nome dell’ente e dello Stato membro che lo emette. Il certificato resterà in vigore per 12 mesi e i dati che contiene non saranno immagazzinati né dalle autorità nazionali, né in un database comunitario, così come non potranno essere utilizzati per altri fini. A ulteriore tutela della privacy, i cittadini possano esercitare i loro diritti di protezione delle informazioni personali in base al Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr).
Il certificato vaccinale
Ognuna delle tre versioni del certificato presenta alcuni dettagli problematici, la cui interpretazione può variare da Stato a Stato. Quella che attesta la vaccinazione, ad esempio, può essere richiesta dal cittadino già all’inoculazione della prima dose di quei sieri che necessitano due iniezioni.
Tuttavia i Paesi Ue sono obbligati a riconoscere come immunizzate solo le persone a cui sono state iniettate entrambe le dosi: farlo con chi ne ha avuta una sola resta a loro discrezione. Ciò potrebbe creare un problema in quei Paesi, come l’Italia, che somministrano una sola iniezione a chi ha contratto in passato la malattia: questi individui, considerati vaccinati in Italia, potrebbero non essere tali in un altro Paese.
I vaccini che gli Stati sono obbligati ad “accettare” sono quelli approvati dall’Ema: al momento i sieri di Pfizer/BioNTech, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson. Ciò non toglie che ogni Paese possa decidere autonomamente di allargare la platea, sia a quei vaccini approvati da un’autorità nazionale dell’Ue (come lo Sputnik V in Ungheria) sia a quelli della Lista per l’uso di emergenza dell’Oms, che comprende anche il cinese Sinopharm. Questo aspetto del regolamento potrebbe portare con sé il rischio di un dumping vaccinale, come è stato segnalato da alcuni europarlamentari: siccome il certificato potrà essere rilasciato dagli Stati europei anche ai cittadini extra-comunitari vaccinati (compresi i turisti cinesi o dei Paesi arabi), un Paese che includa più vaccini nei suoi certificati potrebbe risultare più attrattivo per gli stranieri.
Il certificato vaccinale non ha, per il momento, una data di scadenza: chi lo ottiene può presentarlo senza limiti temporali per spostarsi da un Paese all’altro. Resta la possibilità per gli Stati membri di fissare un periodo massimo di validità a partire dalla data di vaccinazione.
Il certificato di negatività
Sul certificato che attesta la negatività al Covid-19 si è consumata un’aspra battaglia negoziale tra Consiglio e Parlamento europeo, dove in verità sembra aver avuto la meglio il volere degli Stati. I test accettati obbligatoriamente saranno solo quelli molecolari, mentre ogni Paese potrà decidere se farsi andare bene anche gli antigenici rapidi, più economici. Anche in questo caso il rischio è la mancanza di uniformità a livello europeo: allo stato attuale, ad esempio, chi si reca in Italia può presentare un antigenico negativo per entrare, chi si sposta in Belgio ha bisogno di un molecolare.
Non c’è un limite di età sotto il quale ai bambini non è richiesto il test (ogni Stato può deciderne autonomamente uno) e nemmeno è stabilito un periodo di tempo univoco entro il quale il tampone va eseguito: alcuni Paesi lo fissano a 48 prima dell’ingresso entro il proprio territorio, altri a 72.
Il Parlamento ha perlomeno strappato l’impegno della Commissione a investire 100 milioni per l’acquisto di test anti-Covid da parte dei cittadini, nell’ambito dello Strumento di sostegno di emergenza. Non è ancora chiaro come questa somma verrà impiegata nel dettaglio: l’obiettivo è rendere i tamponi più economici soprattutto per determinate categorie di persone che ne avranno più bisogno, dai lavoratori transfrontalieri a chi valica i confini per ricongiungimenti familiari.
Il certificato di guarigione
Un altro aspetto scivoloso del regolamento riguarda il certificato di guarigione, emesso per quelle persone che hanno contratto il Coronavirus, superando la malattia. Questo status di “persona guarita” non potrà essere dimostrato rilevando nel sangue gli anticorpi al Covid-19. Servirà invece avere un test positivo, a partire dal quale cominciano i calcoli: trascorsi 11 giorni si potrà richiedere il certificato di guarigione, che sarà valido fino ai 180 successivi alla data del rilevamento.
I test sierologici non sono al momento contemplati, ma potranno esserlo in futuro, spiega il regolamento. A quattro mesi dalla sua entrata in vigore, è prevista un’overview generale che tenga in considerazione i progressi scientifici sul tema.
L’obiettivo concreto del certificato è facilitare il diritto alla libera circolazione durante la pandemia, contribuendo alla graduale eliminazione delle restrizioni e agevolando, di conseguenza, i viaggi nell’Ue. La macchina legislativa dell’Unione europea ha dimostrato di sapersi muovere in fretta quando è necessario: dalla proposta iniziale della Commissione all’approvazione definitiva passeranno circa tre mesi. Non è invece scontato che l’adozione di questo documento scongiuri politiche non uniformi tra gli Stati, né che cancelli la confusione tra gli europei: prima di fare le valigie bisognerà prepararsi, ancora, anche alle richieste del Paese d’arrivo.