Per realizzare il sogno di ringiovanimento nazionale, Xi Jinping e il Partito comunista hanno un estremo bisogno di innovazione e di innovatori.
Le regole tra il settore hi-tech e il regime sono state a lungo molto chiare, una specie di patto di mutuo beneficio. Le aziende hanno contribuito alla modernizzazione del Paese e aiutato la censura a controllare e orientare l’opinione pubblica su Internet.
In cambio, la Grande Muraglia Digitale costruita dalla leadership attorno al web in mandarino le ha liberate dalla concorrenza straniera, permettendo loro di pascolare indisturbate sul mercato digitale più grande del mondo, un mercato di fatto privo delle regole antitrust o sulla privacy che vincolano i loro pari in Occidente.
Le varie Alibaba, Tencent o Meituan hanno potuto espandere le proprie attività in settori paralleli e rischiosi, come la finanza, utilizzando a piacimento i dati degli utenti, facendosi guerre a colpi di esclusive e senza rispettare i requisiti imposti ai loro concorrenti offline.
In questa cavalcata hanno accumulato miliardi di utili e cambiato volto alla Cina.
Ma una leadership sempre più accentratrice, la cui vocazione è tenere sotto controllo ogni aspetto del Paese, non può non vedere lo sviluppo tecnologico anche come un potenziale fattore di rischio.
In fondo, uno dei termini che nella Silicon Valley definiscono l’innovazione è disruption, «rottura». L’introduzione di nuove tecnologie è una scossa tellurica che riscrive le abitudini, sbilancia rapporti di forza e di potere, apre spazi di espressione e di azione, crea vincitori e vinti, quotazioni miliardarie e fallimenti, nuovi occupati e nuovi disoccupati. Per un partito ossessionato dal mantenimento della stabilità, che ha fatto la rivoluzione una volta ma poi ha cancellato il termine dai dizionari ufficiali, è fondamentale governare questo processo, assicurarsi che i suoi protagonisti, diventati nel frattempo gli uomini più ricchi del Paese, non diventino degli elementi di disordine. O addirittura dei potenziali avversari.
Durante l’intervista a Ren Zhengfei, nel salone stile Versailles della reggia Huawei, un collega gli chiese quale fosse la sfida maggiore che la tecnologia ha di fronte. Ecco cosa rispose: «Bisogna eliminare la povertà attraverso lo sviluppo tecnologico ed evitare l’instabilità: quando la società è stabile si sviluppa più velocemente, e questo a sua volta crea maggiore stabilità».
È una risposta che nessun imprenditore occidentale avrebbe mai dato. Ma e una risposta profondamente cinese, e ancora più vera nella Cina di Xi, dove alle aziende si chiede un’effettiva adesione alle priorità politiche, che siano quelle dell’innovazione, dell’armonia, del controllo o della sorveglianza.
Dove «China Inc.», il complesso industriale cinese, si sta trasformando sempre di più in «CCP Inc.», l’industria del Partito Comunista. Xi Jinping ha detto che c’è bisogno di «imprenditori patriottici»: tutti devono aderire alle grandi battaglie nazionali, nessuno può sfidare le regole.
È anche in questa veste di regolatore che il ruolo del Partito-Stato nell’innovazione si sta rafforzando, riscrivendo con impressionante velocità i termini del patto con l’industria hi-tech. A sperimentarlo sulla propria pelle è stato nientemeno che il più illustre e ammirato imprenditore cinese, Ma Yun, per noi Jack Ma.
Nel 2020 Maestro Jack, il genio che con Alibaba ha portato il Dragone nell’era dell’e-commerce, l’unico capitano d’impresa cinese capace di affascinare sia l’Oriente sia l’Occidente, stava per aggiungere un nuovo capitolo alla sua epopea di successo: lo sbarco in Borsa di Ant Group, la società con cui ha rivoluzionato la finanza, digitalizzando pagamenti, prestiti e investimenti. Tutto era pronto a Shanghai per la quotazione più ricca della storia, che avrebbe attribuito alla società un valore di 300 miliardi di dollari. Ma un paio di settimane prima, forse sentendo il risultato in tasca, forse annusando la stretta in arrivo, Jack Ma ha avuto l’ardire di criticare in un discorso pubblico le autorità, a suo modo di vedere talmente ossessionate dalla prevenzione dei rischi – uno degli imperativi categorici del presidente Xi – da ostacolare l’innovazione. «Non esiste un’innovazione priva di rischi» ha dichiarato. «Spesso, azzerare i rischi è il rischio più grande.»
La risposta del regime è stata esemplare. A meno di quarantotto ore da un debutto a cui tutto il mondo guardava, la quotazione di Ant è stata sospesa, sembrerebbe con l’autorizzazione dello stesso segretario generale.
L’apoteosi di Jack Ma, membro del Partito comunista e pluripremiato campione nazionale dell’innovazione, veniva in un baleno cancellata. Non solo la quotazione di Ant era rimandata a data da destinarsi, ma alla società veniva chiesto di ristrutturare le attività e di abbandonare quelle più rischiose e lucrative. Cioè di ridimensionarsi.
In Cina si dice: «Uccidere il pollo per spaventare le scimmie», cioè punire qualcuno di poca importanza per avvertire i pezzi grossi. Solo che Jack Ma non è il pollo, bensì la più grande delle scimmie. E le autorità hanno cominciato da lui perché il loro obiettivo è una stretta sull’economia digitale nel suo complesso. Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 il governo ha approvato nuovi regolamenti in serie: il settore dei prestiti online è stato di fatto azzerato, i comportamenti monopolistici dei colossi del web messi nel mirino, le regole sulla privacy rafforzate.
Secondo molti analisti questa campagna segna la fine dell’epoca d’oro per il settore digitale cinese, l’era dello sviluppo selvaggio.
Come sempre quando scrive le norme, la leadership ha un duplice intento. Da un lato risponde alle esigenze dei cittadini, sempre più insofferenti verso i giganti digitali, in particolare per come abusano dei dati personali.
Castigando Big Tech, il regime difende gli interessi del popolo. Dall’altro serve le proprie esigenze di controllo. Il messaggio che manda è chiarissimo, e il suo impatto sull’industria tecnologica cinese e i suoi imprenditori si potrà misurare appieno solo nei prossimi anni. Prima dell’innovazione, in Cina viene la stabilità. Prima del mercato, viene il Partito.
da “La Cina non è una sola. Tensioni e paradossi della superpotenza asiatica”, di Filippo Santelli, Mondadori, 2021, pagine 264, euro 18