Cucina da viaggioLa rinascita culinaria dell’Irlanda

Una meta gastronomica da scoprire, tra piccoli produttori, chef che hanno abbracciato la tradizione e sperimentatori del gusto. L’isola di Dublino oggi non rincorre più le tendenze estere, ma ha imparato a trarre ispirazione dai prodotti locali

Fino a qualche anno fa quando si parlava di Irlanda si pensava a tutto tranne che al cibo. Scogliere, pecore, il verde ovunque, i film di Rosamunde Pilcher (che, vi svelo un segreto, non sono mai stati girati in Irlanda!), pub, musica tradizionale e Guinness erano considerati l’unico elemento distintivo dell’Isola. Non era affatto raro sentire racconti di viaggio, che quasi sempre si concludevano amaramente con parole come: «Bellissima l’Irlanda, ma ho mangiato malissimo» oppure «L’Irlanda è stupenda, ma il cibo è pessimo». Non erano solo frasi fatte, ma dati di fatto, su cui controbattere era impossibile.

Per decenni l’Irlanda si è mossa su due binari gastronomici: da un lato ha rincorso standard culinari che non le appartenevano, in primis quello francese, senza mai riuscire ad eccellere, dall’altro non ha mai dato valore agli ingredienti locali, relegandoli ad un uso famigliare, casalingo, che bene ricalcava lo spirito conservatore dell’isola. Lo scopo del cibo non era essere buono ma essere “tanto”, le ricorrenze si festeggiavano al pub e non seduti a tavola, il chipper (il locale dove si possono acquistare fish and chips e fritti di ogni tipo) era l’unica tipologia di ristorante contemplata, per ovviare alle sbornie da pub.

Poi, all’improvviso, qualcosa è cambiato: complice una crisi economica di proporzioni epiche, seguita da un boom economico ugualmente epico, l’apertura verso il mondo e lo svecchiamento della società, il ritorno in patria di tutti coloro che avevano lasciato il Paese dopo la crisi della Tigre Celtica e la voglia di sfruttare al massimo il momento di gloria di tutti quelli che, invece, a partire non ci avevano mai pensato, l’Irlanda è diventa una destinazione gastronomica europea tutta da scoprire.

L’elemento fondamentale della (ri)nascita culinaria irlandese è stato innanzitutto il forte attaccamento agli ingredienti locali, agli elementi che arrivano dal mare e dalla terra, ai sapori tradizionali da rivedere in ottica moderna: quello che per anni è stato considerato cibo con cui dover convivere, andando nel frattempo a pescare da altri mercati, da cui si importavano in egual misura materie prime e ricette, oggi è diventato il focus del nuovo corso del cibo irlandese.

Se in passato si cercava di seguire pedissequamente le tendenze che arrivavano dall’estero, oggi l’Irlanda crea le proprie tendenze gastronomiche sfruttando i suoi prodotti migliori.

Del resto, il Paese è ricco di alimenti di altissima qualità: le vongole della baia di Dublino, le ostriche di Galway, il latte, la carne di mucca pascolata al naturale, solo per citarne alcuni. È quindi un processo naturale quello che vede gli chef andare alla ricerca delle proprie origini e lavorare per dare nuovo lustro e vita ad ingredienti e sapori conosciuti e troppo spesso messi da parte.

Un esempio su tutti è Chef JP McMahon, uno dei più importanti rappresentanti dell’Irish Food Wave che nel 2015 ha lanciato Food on the Edge, oggi considerato uno dei festival più importanti. La missione di JP, chef stellato proprietario di Aniar a Galway, è duplice: introdurre la cucina irlandese e i suoi ingredienti al mondo sfruttando la notorietà di chef famosi e sviluppare una coscienza critica in Irlanda relativamente al cibo, troppo spesso considerato come un accessorio e non come parte della cultura del Paese e della sua gente. Nel corso degli anni sul palco di Food on the Edge sono passati chef pluristellati tra cui Albert Adrià, Massimo Bottura e René Redzepi; ma, soprattutto, McMahon sta riuscendo nell’intento di comunicare l’importanza della memoria enogastronomica e della modernizzazione, grazie alla sua cucina irlandese moderna, fortemente influenzata dalla cucina nordica, che mescola ingredienti tipici autoctoni con ingredienti tutti da scoprire che rappresentano al meglio la costa occidentale dell’Irlanda.

Un ruolo fondamentale nella rinascita culinaria irlandese è rappresentato dai piccoli produttori, dai pescatori e dai contadini: se prima lavorare la terra, pascolare le mucche o pescare era semplicemente il fardello che famiglie intere si portavano dietro di generazione in generazione senza stimoli e senza possibilità di cambiare, oggi sono considerate attività di cui andare fieri, soprattutto per via del legame che offrono con il Paese. E sono proprio queste realtà ad offrire oggi l’opportunità di sperimentare con metodologie e approcci diversi, innovativi e originali.

Gubbeen Farmhouse

I Ferguson, per esempio, da decenni gestiscono la Gubbeen Farmhouse vicino Cork e producono latte e prodotti caseari, salumi e verdure coltivate in maniera biodinamica. Nulla viene lasciato al caso nella coltivazione della terra e nella gestione delle risorse, allo scopo di mantenere il suolo ricco e sano; la famiglia Ferguson ha, tra le altre cose, iniziato a concimare terreno con le alghe autoctone della zona di Cork, che essendo ricche di proprietà nutritive permettono alla terra di mantenersi sana e fertile senza utilizzo di prodotti chimici.

Siobhan Ni Ghairbaith e John Harrington di St-Tola hanno implementato tutta una serie di misure sostenibili per la produzione del loro formaggio tra cui la raccolta e il riutilizzo dell’acqua piovana in più fasi della lavorazione del prodotto. Del resto, in un luogo come l’Irlanda trovare il modo di sfruttare la pioggia è imperativo categorico per un’agricoltura sostenibile.

Il sidro prodotto dal The Cider Mill, in county Meath, subito fuori Dublino, è ottenuto dalla fermentazione naturale delle mele secondo il metodo del keeving; lo scopo non è produrre quantitativi eccessivi di sidro ma fare attenzione alla qualità di ciò che si produce. In questo caso, 20.000 litri di Cockagee Pure Irish Keeved Cider, che servono una popolazione di 5 milioni di abitanti.

La Connemara Smokehouse è un nome tra i più famosi in Irlanda; Graham e Saoirse Roberts hanno scelto di portare avanti la tradizione di famiglia di scegliere solo pesce locale e di affumicare salmone e sgombro alla vecchia maniera per esaltare il sapore dei prodotti del mare irlandese invece di coprirli. È possibile visitare la Smokehouse per assistere all’affumicatura del pesce.

Senza dimenticarci del burro, la star della cucina irlandese: il burro irlandese è conosciuto in tutto il mondo per la sua bontà e la sua cremosità, difficili da rimpiazzare. Se Kerrygold è la marca più famosa all’estero, sono le piccole eccellenze locali e disponibili solo in Irlanda che fanno la differenza: Glenilen Farm da Cork, Toons Bridge ancora da Cork (che produce anche mozzarella di bufala!), Glenstal da Limerick/Tipperary sono solo alcuni dei nomi da citare.

La rivoluzione tocca solo di striscio Dublino, dove la multiculturalità la fa da padrona e dove la necessità di soddisfare il turista più che la gente del posto è ancora predominante; non mancano interessanti esperimenti anche nella Capitale, ma a guardare bene è nelle zone più piccole e/o remote che si sperimenta con successo.

Chef Ahmet Dede ha aperto il suo ristorante (Dede) nella piccola Baltimore, zona di West Cork, un anno fa e ha già ricevuto la sua prima stella Michelin. Il segreto? Ricette turche preparate con ingredienti 100% irlandesi e più nello specifico della zona di Cork e aromatizzate con le spezie di famiglia provenienti da Ankara.

Jess Murphy

Torniamo a Galway perché quando si parla di realtà locali è impossibile non citare Jess Murphy che con il suo Kai, una Bib Gourmand all’attivo, celebra l’Irlanda proponendo piatti con ingredienti locali e abbinamenti di sicuro effetto. Due piatti su tutti: cervo della contea di Tipperary con datteri, more e arachidi e costolette di agnello della contea di Roscommon, picada di barbabietola e salsa tahini.

Danni Barry ha lasciato la stella conquistata all’EIPIC di Belfast per aprire il suo Clenaghans ad Aghalee, un villaggio in County Antrim, Irlanda del Nord. Qui lo chef si diverte a proporre prodotti locali accostati ai sapori audaci che lo hanno reso famoso tra cui un ottimo filetto di nasello con chorizo spagnolo, peperoncino, spinaci, pomodoro e ragù di fagioli bianchi.

Aidan McGrath è stato il primo chef a ricevere la stella Michelin per la cucina del suo pub (e annesso b&b), The Wild Honey Inn nel Burren, zona Cliffs of Moher; solo ingredienti locali, di terra e di mare, proposti a prezzi da pub in un’atmosfera da pub. La filosofia di McGrath è semplice: “Cucino il cibo che io stesso voglio mangiare. Lo stile è classico e senza tempo, ma tutto è preparato utilizzando ingredienti del Burren. Siamo in una posizione invidiabile e vogliamo che il nostro cibo rifletta questa realtà”.

Oggi non sono pochi coloro che, interessati al turismo enogastronomico, prenotano (o prenotavano, visto il periodo!) le loro vacanze in Irlanda scegliendo l’itinerario migliore per assecondare le proprie passioni. O creando l’itinerario a partire dai locali e i produttori da visitare.

Non è un caso se uno dei focus di Fáilte Ireland, l’agenzia governativa che si occupa della promozione dell’Irlanda all’estero, sia proprio la cucina allo scopo di scardinare la convinzione che in Irlanda si mangiano solo fish and chips, patate bollite, stufati, piatti senza sapore e senza colore e che invece di mangiare si beve.

Chiaramente non è ovviamente tutto oro quello che luccica e non basta una rivoluzione alimentare per superare le tante contraddizioni della società irlandese: l’accesso ad un cibo più genuino e a prodotti di qualità superiore è ancora oggi riservato alla fascia di popolazione più educata, che in qualche modo traina e aiuta non solo il mercato, ma anche il cambiamento dello status quo. Non si tratta (solo) di condizione economica, ma soprattutto di mancanza di educazione nei confronti del cibo, proprio per via della mancanza di una cultura gastronomica condivisa. Il governo sta mettendo in piedi tutta una serie di iniziative per sensibilizzare tutte le fasce della popolazione aumentando le tasse sullo zucchero e il cibo spazzatura e anche il prezzo degli alcolici.  La strada è ancora lunga, se pensiamo che la spice bag (un sacchetto di fritti di tutti i tipi cosparsi di mix multispezie cinese) e che il panino con il formaggio e le patatine in busta sono ancora oggi tra i “cibi” più amati e consumati in assoluto.

Questo per dire che sì, è ancora più che facile mangiare male in Irlanda ma gli standard sono cambiati notevolmente e così sta cambiando l’approccio nei confronti del cibo. E se a Dublino le trappole non mancano, specialmente nelle zone turistiche, fuori dalla Capitale basta guardarsi attorno per scovare piccole gemme frequentate dai locali dove il buon cibo irlandese, quello preparato con gli ingredienti di stagione, con il burro buono, con le verdure tipiche la fa da padrone.

Oggi è più difficile tornare a casa e dire: «Beh, l’Irlanda è stupenda ma ho mangiato malissimo» e più facile concludere il viaggio e pensare: «Toh, non avrei mai immaginato che in Irlanda si potesse mangiare così bene!».

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